sabato 23 marzo 2013

Il coraggio di casa

Foto by Leonora
Il coraggio della conoscenza. Capire, non voltare la testa dall'altra parte, non fare finta di nulla, non negare la malattia come prima regola per respingerla, curarla. Mi ha aperto gli occhi Nando Dalla Chiesa, l'altra sera, anche se la prima a darmi la sveglia era stata Federica con la sua tesi di laurea sulle donne della n'drangheta. Un morbo che s'insinua subdolo, poco per volta, un paese della Calabria che colonizza e attacca uno della Germania, del nord Italia, della Lombardia, compresi quelli più piccoli, non escluso il mio, contando sul fatto che nessuno se ne accorge, che tutto avviene in silenzio, sotto traccia, fino a che è troppo tardi per prevenire e l'unica risposta è quella più dolorosa: la convivenza con la malattia e il tentativo di estirparla, lacerando la propria stessa carne, come sta accadendo nei paesi dove è diventato palese che la criminalità aveva messo le mani sui consigli comunali, nell'urbanistica, nelle attività produttive prese per uno sputo, sfruttando la difficoltà economica, e fatte diventare contenitori vuoti, esattamente come fa la vespa con il frutto che attacca.
Non sono parole e vorrei interrogarmi se il mio paese, Lurate Caccivio, è immune al contagio, se l'ha già preso oppure se esiste il rischio che lo subisca. Mentre lo scrivo penso alle parole di un amico, una persona d'un'onestà cristallina, che l'anno scorso mi aveva raccontato un episodio capitatogli nel comune accanto al mio, di alcune pressioni per mettere in lista con il suo partito un certo personaggio senza apparente radici né storia, arrivato pochi mesi prima proprio dalla Calabria, senza lavoro ma con amicizie potenti nel mondo della politica locale. Allora non avevo dato peso alla cosa, sciocco e ignorante che sono stato, mentre ora il due più due mi viene naturale e vorrei approfondire la vicenda. La scintilla c'è stata, come dicevo, l'altra sera, ascoltando in un teatro di Monza la testimonianza scientifica del professor Dalla Chiesa, che raccontava come in un piccolo borgo della Germania nel giro di pochi mesi si erano trasferiti un'ottantina di persone provenienti da San Luca, tutti imparentati in un modo o nell'altro con il boss locale. "Riescono a colonizzarci perché sono organizzati e non lasciano nulla al caso, mentre noi non abbiamo anticorpi, non siamo abituati a combattere e bisognerebbe prendere lezioni da chi la n'drangheta la combatte là dov'è nata, in Calabria" ha detto Dalla Chiesa. A prescindere che abbiamo tempo o che sia troppo tardi, io quel coraggio voglio sforzarmi di averlo. Sono impreparato, è vero, e affrontando questi temi ammetto di farlo con pudore, forse anche paura, ma questa è casa mia, è la terra in cui vorrei vedere crescere i miei figli, i miei nipoti, e non voglio un giorno non riconoscerla più soltanto perché oggi preferisco occuparmi di altro e farmi una gran dormita.

domenica 10 marzo 2013

Se non avessi più un soldo

Foto by Leonora
Se non avessi più un soldo venderei i miei libri, uno a uno, o li darei in prestito per poterne leggerne altrettanti, ricevuti in cambio. Se non avessi più un soldo coltiverei il prato che mi ha lasciato mio padre e farei legna nel bosco che era di mio nonno, comprerei una mucca, tre maiali, mezza dozzina di galline e un gallo, getterei nella spazzatura meno di quanto butto adesso, imparerei a rammendare i vestiti, non guarderei se la giacca è passata di moda, cercherei di diventare abile a riparare tutto, mi darei da fare aiutando il vicino nel riparare la casa così che lui aiuti me, quando ne ho bisogno. Se non avessi più un soldo pregherei che uscisse spesso il sole perché così potrei lavarmi con l'acqua calda dei pannelli che ho sul tetto, direi addio al telefono e alla tv e mi cercherei quei computer di cui ho letto da qualche parte, che hanno una dinamo e una manovella di lato per ricaricarli e farli funzionare come la torcia dell'Ikea che ho comprato a Giovanni, il mese scorso. Se non avessi più un soldo andrei in biblioteca per usare Internet, accetterei gli inviti degli amici per guardare alla tele le partite della Juve e qualche film, ogni tanto, aspetterei il giorno in cui si può andare gratis nei musei e aggiusterei la bicicletta per spostarmi con quella, cercando un lavoro da garzone in una falegnameria o da un fabbro, sperando che mi prendano. Se non avessi più un soldo chiacchiererei di meno, ascolterei di più, tornerei a suonare la chitarra, continuerei a raccontare storie e forse scriverei un libro. Se non avessi più un soldo la mia vita cambierebbe e certo cambierei pure io. Forse non in peggio.

domenica 3 marzo 2013

Lo scopo del lavoro

Foto by Leonora
Ho letto molti libri, la frase che mi ha aperto la mente l'ho trovata in un film. In un cartone animato. Neanche uno dei più famosi, tipo Bambi, il Re Leone, Kung Fu Panda (il mio preferito), Madagascar... No, l'ho scovata in "Robots", figlio minore e mai cresciuto dei creatori di L'Era Glaciale, passato inosservato ai più e anche a me stesso, la prima volta che l'avevo visto, anni fa. L'altra sera invece, mentre ero seduto sul divano con Giovanni, c'è stato uno di quei rari momenti in cui senti una cosa e per un'istante diventa tutto buio e hai solo quella luce, in fondo, che tuttavia chiarisce meravigliosamente tutto. A pronunciarla è Bigweld, inventore e fondatore delle omonime industrie, che a un certo punto dice: "Per me il solo scopo del lavoro era di rendere migliore la vita ma il fare soldi è passato al primo posto".
Il solo scopo del lavoro è rendere migliore la vita... Non è semplicemente vero? D'una semplicità pari alla verità: disarmante. Eppure me lo sono dimenticato, ce lo siamo dimenticati, non so perché, non so per come, per uno di quei meccanismi molto umani per cui si parte da un punto e ce ne si allontana piano piano, inesorabilmente, finché non rammenti più l'origine, l'inizio, l'obiettivo del viaggio.
Il solo scopo del lavoro dovrebbe essere quello: rendere migliore la vita. Invece il far soldi è passato al primo posto, l'ha sostituito goccia a goccia, palmo a palmo. "Soldi per far soldi per far soldi": se n'era già accorto Giorgio Bocca, in un reportage illuminante proprio della regione in cui vivo. Era il 1962. Cinquant'anni dopo in meglio è cambiato poco. Proseguiamo su quel crinale asciutto e a rischio, preferendo sbattere la testa contro il muro piuttosto che fermarci un attimo e tornare indietro, all'origine di tutto, a quello scopo del lavoro che ricerca non la ricchezza, bensì la felicità.

P. S. I film, il libri, i blog, servono anche a questo: ricordare da dove sei partito facendoti capire perché nonostante continui a camminare non ti senti mai arrivato. Da domani ogni azione che farò al lavoro sarà finalizzata a questo: rendere migliore la vita e il posto dove abito, il mondo.