venerdì 31 agosto 2018

Sono io (La vita, il McDonald's e lo specchio)


Sono io quel volto scavato dentro lo specchio, gli occhiali e la barba sempre più bianca e i capelli anche, quelli che restano. Sono io quelle rughe, lo sguardo severo, che si osserva, stupito, sorpreso, non trovando traccia del bambino che cerco, del ragazzo che sono stato e che tuttora mi sento.
Vorrei avere la perseveranza insistente del glicine o del gelsomino, che protraggono incessanti le fronde in cerca di appiglio, di un punto di appoggio per espandersi, per allargarsi più che possono, all'infinito. Constato in essi la vita che avanza incalzante, senza mai fine, neppure quando cade un ponte o c'è un terremoto e pure se dovesse cadere un meteorite dal cosmo.
Sono io che mi fermo, è la natura del singolo che ha passo breve e fiato corto.
Lo accetto, ma non mi rassegno: continuo a guardare quegli occhi che mi osservano dentro lo specchio, la pupilla che a differenza del resto del corpo non muta, rimane identica nel bimbo come nel vecchio.
E' in quel nocciolo che cerco riparo e pure il segreto di ciò che rimane senza età, eterno.
Lo capirai e lo cercherai anche tu, figlio mio, ne sono certo, quando avrai i miei anni e continuerai a percepirti diverso da come sei diventato, fermo a un tempo indefinito, a una gioventù superata soltanto quando ci si fa caso, davanti allo specchio.

P.S. Ad essere onesto, ci ho fatto caso anche in un altro preciso momento: in fila, al McDonald's, che mi ostino a chiamare così mentre per te, per tutti i tuoi coetanei è semplicemente il Mac, il Mèc, anzi, che si fa prima a dirlo. E' successo ieri: me ne stavo quieto quanto un bradipo con il naso all'insù, cercando di capire il gelato da ordinare, venendo superato bellamente dalla massa di ragazzi dai quali ero circondato e che con la rapidità del Velociraptor si palesavano alla cassa, ordinando in un nanosecondo vassoi stracolmi di cibi e bevande, mostrando semplicemente lo schermo del telefonino. Ecco, in quell'istante mi sono sentito come Troisi e Benigni in "Non ci resta che piangere", ma al contrario: ero io quello restato indietro, nel tempo. Così ho mandato un messaggio (scritto) a tua sorella, che lesta me ne ha mandato un altro (vocale) per dirmi che "quelle sono le offerte del Mèc" e che "se tipo usi la loro app risparmi" (ha detto proprio così, "se tipo usi la loro app"), "invece di un menù a sette euro te lo fanno pagare tipo tre euro" (ha detto proprio così, "tipo tre euro") e che "tipo a Natale ne fanno un sacco ed è bellissimo" (ha detto proprio così, "tipo a Natale" ed "è bellissimo"). Le ho risposto con un vocale anch'io, per sentirmi meno superato: "Grazie Giorgia, è bellissimo, tipo bellissimo, tipo davvero".


sabato 25 agosto 2018

Ottocentottantotto (Caro amico ti scrivo)


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Non hai volto e ne hai mille, insieme. E sia che conosca il tuo nome o che mi sia sconosciuto è per te (e per me) che metto queste parole in fila, cercando ogni volta di cavarne qualcosa che meriti di restare nero su bianco, ignorando le inesorabili leggi del cosmo ("tutto ciò che c'è di importante è già stato scritto e comunque tutto, ma proprio tutto, finisce per essere dimenticato") e aggrappandomi a quel bisogno innato nell'essere umano, di comunicare, di entrare in relazione l'uno con l'altro.
Tre otto. Un numero che a pronunciarlo riempie la bocca, costringendo la lingua a battere a mitraglia tra denti e palato: ottocentottantotto.
Ottocentottantotto, i post che finora qui ho pubblicato, tanti da far invidia a un Diderot o a un Tolstoj, senza averne per fortuna l'ambizione e il talento.
Scrivere è stata la scintilla, la molla a scatto per farmi diventare ciò che sono: un lettore onnivoro, accanito.
C'è stato un tempo in cui per mestiere e per diletto scrivevo un sacco. La vena non si è inaridita, basta uno spazio bianco, vuoi di fronte a un computer, vuoi sul display del telefonino, affinché le sillabe si compongano da sé, lasciando alla ragione e all'orecchio l'attività di cesello.
Alla scrittura e alla lettura debbo molto, principalmente la capacità di ragionare con la mia testa, di formarmi un pensiero proprio, coltivando le virtù alle quali sono più affezionato: l'apertura mentale, l'insistenza del dubbio, la tolleranza nei confronti di chi è differente da me, il desiderio di conoscere, la capacità sintesi e di approfondimento, l'indispensabilità del dialogo.
Perciò continuo a leggere molto (nelle ultime settimane "Il Conte di Montecristo", "Paolo VI, una biografia", "Il lupo della steppa", "Un eroe borghese") e a scrivere, non più per mestiere, soltanto per il piacere di creare un filo rosso e di tesserlo, intrecciandolo con le storie di chi passa di qua e butta un occhio.
Se procedo a ritroso e lo osservo dall'alto noto gli argomenti variegati, gli stili diversi che compongono questo blog, che in quasi undici anni mi accompagna fedele, senza pretendere troppo. Ultimamente la forma che preferisco, direi l'unica che non stride con un certo cinismo o disinganno che si è andato formando, è quella dell'epistola, della scritto indirizzato a qualcuno.
L'ho già fatto nei mesi recenti e vorrei continuare, nel futuro prossimo, con maggior costanza e senza tentennamento, inviando lettere senza spedirle, omettendo talvolta il nome, mai il volto - almeno nella mia testa - a cui sono indirizzate.
"Caro amico ti scrivo", insomma, così non mi distraggo, neanche un po', e la persona rimane saldamente al centro, senza che l'idea prescinda da tutto, prendendo ottusamente il volo.

domenica 5 agosto 2018

A come Agosto (e come vAccanza, con due c)


https://www.flickr.com/photos/lyonora/6099725560/
C'è chi si accontenta di poco, io di moltissimo.
Due giorni a casa da solo, un fine settimana regalato dalle persone che mi vogliono più bene e che sanno quanto apprezzo l'abitazione di famiglia, l'ombra del sottotetto, i refoli di aria che lieve o forte da nord soffia sempre, le comodità dell'elettronica, le parole da leggere, le compagnie improvvisate e occasionali e soprattutto il tempo davanti senza ostacoli, gabbie o impedimento.
E' un bell'agosto, che dà modo di sentirmi appieno umano e invita a dire grazie per ciò che ha valore grande, nonostante sia in apparenza piccolo.

Cinque esempi.
  • Le discussioni davanti a un aperitivo o a cena, attorno a un tavolo, parlando del più e del meno, condividendo, confrontandoci, cambiando idea o rafforzandola, se è il caso.
  • Le chiese aperte a mezzogiorno (sono sempre meno e mi spiace, anzi, credo dovremmo rifletterci, invitare a un cambiamento, poiché non è possibile che sia nei paesi sia in città in pausa pranzo si possa fare di tutto, tranne entrare e sostare nei luoghi dedicati allo spirito).
  • I messaggi inviati senza uno scopo preciso, soltanto per dire: "Ciao, mi sei venuto in mente, volevo salutarti e dirti che mi ricordo di te e che per qualsiasi cosa ci sono".
  • I libri, attraverso i quali viaggio ovunque, nello spazio e pure nel tempo (da una settimana faccio compagnia al Conte di Montecristo, capace di sorprendermi in ciascuna delle mille e trecento pagine che mi porto appresso)
  • La frutta e la verdura di stagione, nell'orto e ancor meglio nel piatto.
P.S. Giorni così a casa nostra li chiamiamo "vaccanza", con due c, per sottolineare come l'unica regola sia fare ciò che più aggrada, senza altro limite che rispettare la libertà altrui di trascorrere a loro volta momenti simili.