domenica 22 maggio 2011

I giusti che salvano il mondo


Giorni di caldo e profumo di fieno, un maggio splendido, con poche nuvole, che in un'intera settimana per contarle tutte bastano le dita di una mano. Qualche nube è dentro me, ma qui ne faccio solo un cenno, per dire che la vita è sempre trovare un punto d'equilibrio. Chiedo scusa soprattutto agli amici, so che ricevo da loro assai più di quanto concedo. Ho due stelle polari, che mi fanno da guida e su cui rifletto: schiettezza e riconoscenza. La prima è una compagna scomoda, che sceglie la via breve e corta, pur quando è irta. Percorrerla richiede fatica ma soprattutto coraggio, però restituisce un sonno quieto. La seconda invece è la moneta con cui misuro il valore di quanto ricevo e, a specchio, cerco di ripagare chi lo merita davvero. Insieme schiettezza e riconoscenza possono essere una potenza, l'eruzione di un vulcano, quando si riesce a riferire in faccia all'altro non soltanto un appunto, ma anche un complimento. Spesso proviamo vergogna del bene che proviamo, mentre dovrebbe essere naturale vedere dell'altro il bicchiere mezzo pieno, facendoglielo notare, non tacendolo. Se potessi esprimere un desiderio, chiuderei gli occhi e direi questo: che le persone imparino a dirsi le cose buone, che non diano nulla per scontato, ovvio, superfluo. Genitori e figli, mogli e mariti, amici, compagni di classe, colleghi di lavoro e pure compagni occasionali di viaggio: è tempo di impossessarci di un nuovo alfabeto. Concludo mettendo nero su bianco una poesia di Borges, che Stefano ha appeso in redazione e che ormai da mesi mi capita di leggere, ogni giorno. S'intitola "I giusti". ed è un capolavoro che toglie il fiato.
Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire.
Chi è contento che sulla terra esista la musica.
Chi scopre con piacere una etimologia.
Due impiegati che in un caffè del Sud giocano in silenzio agli scacchi.
Il ceramista che intuisce un colore e una forma.
Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace.
Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto.
Chi accarezza un animale addormentato.
Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto.
Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson.
Chi preferisce che abbiano ragione gli altri.
Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo.

Foto by Leonora

lunedì 16 maggio 2011

Politici in tv: nessuno a pranzo


Faccio eccezione all'anno sabbatico da telespettatore della politica, infilando tutto d'un fiato La 7, Sky tg 24 e, latte alle ginocchia in fundus, Porta a porta. Per buona creanza nei confronti della categoria a cui appartengo, tralascio ogni commento sull'arredamento in fotocopia dei vari uffici dei direttori dei giornali (a parte le esposizioni di mobili in Brianza, l'unico luogo dove le enciclopedie fanno bella mostra di sè), passando direttamente a loro, ai politicanti per professione, gente che frequenta parlamento, governo e famiglia nelle pause delle comparsate televisive. Video ergo sum. Gasparri, La Russa, La Torre, Enrico Letta, Bocchino, Luppi, Buttiglione (c'è ancora Buttiglione!!!): tutti a spiegare ch'era ovvio, che l'avevano detto, tutti a discettare in punta d'eloquio non solo le finissime strategie del loro partito, ma soprattutto come la penso io, proprio io, l'elettore. A sentirli loro mi conoscono benissimo, sanno cosa voglio, cosa penso, ma se così fosse dovrebbero ammettere che non gli affiderei un centesimo, figuriamoci il futuro di mio figlio. Sono mestieranti sazi e usurati, che al di là del teatro messo in scena, danno l'idea di badare soltanto ai fatti loro: la barca, la casa in centro, le vacanze ai Caraibi, le scarpe Tod's, pranzo e cena al ristorante dove l'antipasto viene venti euro. Per fortuna arriva la pubblicità, a interrompere trenta minuti di chiacchiere inutili e banali, associati a un florilegio di numeri in cui già alla prima tabella mi perdo. "L'Udc, dov'é l'Udc?" grida Vespa alla giornalista che legge i dati. Ovunque sia, l'Udc non lo trovano. Non me ne faccio un cruccio. Riparte la sfilata dei direttori, novelli Re Magi in visita al bambinetto Bruno: invece di oro, incenso e mirra, offrono come gentile cadeau la prima pagina del loro quotidiano. Schiaccio il tasto "spegni" del telecomando, mentre il mio mito de Bortoli, uno che hanno stirato da piccolo e non fa un plissé cascasse il mondo, s'aggiusta il ciuffo. Mi pento. Riaccendo. De Bortoli (come la scrivo la d minuscola, se è in principio al periodo?) s'è congedato. C'è invece Sallusti, stranemente basso, quasi incassato nella sedia, con il piano della scrivania che gli arriva alle ascelle. Sembra Gollum. Rispengo. Mi preparo per andare a letto e mentre spazzolo i denti (con i capelli non lo faccio più da un pezzo) penso che fuori dallo schermo c'è altro, tante persone serie che ancora ci credono, che non si accontentano del bla bla bla e ogni mattina vanno nel loro Comune o anche in Parlamento, cercando di combinare qualcosa di buono. Nelle orecchie ho ancora il gracchiare di Luppi, La Russa, La Torre, Buttiglione, Donati... Mi vengono in mente le loro facce: non ce n'é uno con cui andrei volentieri a pranzo. Ci sarà pure un motivo...

Foto by Leonora

venerdì 13 maggio 2011

Come fili d'erba (Ogni cosa a suo modo e tempo)


In questi giorni sul giornale sono in versione prezzemolo, per cui scrivo meno qui. E' una sorta di camera di compensazione: non avendo il talento e la fecondita d'un Maupassant, cerco di non abusare e svilire la vena produttiva. A casa, taglio spesso il prato. Una volta alla settimana, così che l'erba resti sempre rasata e non debba raccoglierla, lasciandola invece sminuzzata e sparsa, in modo che marcisca e torni alla terra che l'ha partorita. Fino all'estate scorsa non lo facevo, ma un giorno, proprio mentre ero seduto sul trattorino, passando sotto le fronde del faggio mi sono trovato a riflettere sulla saggezza della natura. Quell'albero immenso estrae dal terreno circostante tutto ciò di cui ha bisogno, però al tempo stesso restituisce sotto altra forma le sostanze che ha assorbito. Un cerchio perfetto. "Perché non faccio lo stesso con l'erba?" mi sono chiesto. L'ho fatto. Vedremo i risultati di questa scelta ecologica tra un anno, o almeno in autunno. C'è un'altra cosa che ho pensato, mentre la lama del tosaerba girava a tutto spiano: il prato sembra uniforme, tuttavia basta osservarlo da più vicino per scoprire una varietà di erbe differenti, che mutano di settimana in settimana. C'è il periodo dei fiori e quello del trifoglio, quello delle foglie ampie e coriacee e di quelle aguzze e affilate... Una varietà ch'è la stessa nella vita di un uomo, che a seconda della stagione, del suo tempo, muta pur se noi lo consideriamo un tutt'uno. Io ad esempio. L'involucro è, all'occhio distratto, sempre il medesimo, invece cambio, soprattutto dentro. In questo periodo sono più pacato, riflessivo, in altri i sensi prendono il sopravvento. Ciò che mi è facile adesso potrebbe esser arduo il mese prossimo e viceversa. Abituati come siamo alla standarizzazione della produzione, applichiamo lo stesso metro all'esistenza, che invece è più simile al vecchio mondo della campagna, del manufatto artigiano. Ci aspettiamo una linea piatta, solitamente in progressiva ascesa, dal bene al meglio, mentre a guardarci bene siamo un percorso di onde, spirali, che a volte sprizzano, altre si raggomitolano. Rendercene conto è un buon modo per non pretendere troppo o troppo poco da noi stessi, così da essere più sereni e in pace con il mondo.

Foto by Leonora

mercoledì 11 maggio 2011

Uomini e donne (L'abc e il resto dell'alfabeto)


Vorrei averle qui tutte, oggi, o almeno parlar loro, chiamarle, sentirne la voce, guardarle negli occhi, anche a costo di abbassare per qualche istante il mio di sguardo, per non essere stato all'altezza, per averle in qualche misura deluse, pur se non ero in cattiva fede, semplicemente perché come (quasi) ogni maschio sono così banale, squadrato, povero rispetto alla varietà, alla complessità, alla ricchezza loro. Sto parlando delle donne della mia vita. Tutte. Da mia madre a mia moglie a mia figlia alle amiche più care che ho e che ho avuto, alle compagne dell'asilo e di scuola, a quante hanno condiviso con me momenti indimenticabili e anche coloro che ho soltanto sfiorato, scambiato qualche parola, guardato, immaginato, sognato. Vorrei avere una seconda possibilità con tutte, per chiedere in qualche modo scusa, per dir loro che anche se non riesco a capire fino in fondo ciò che hanno di speciale, di unico, di ricco, di così eccezionalmente diverso, però l'intuisco. Specialmente in questi giorni, che pur sono stati per me un tormento, per una serie di malintesi e incomprensioni con chi mi è più vicino. Credevo di essere dalla parte della ragione assoluta, ero arciconvinto delle mie posizioni, come il matematico che somma due più due e fa quattro, non cinque né tre e mezzo o quattro e un quarto. La vita non è però matematica e il cuore dell'essere umano ha sfaccettature variegate, fragilità che io, ottuso, nemmeno immagino. Me ne sono accorto di fronte alla macchinetta del caffé, ieri l'altro. "Come siete elementari, voi uomini - mi è stato detto da una collega - siete le lettere abc, mentre noi donne siamo tutto il resto dell'alfabeto". Aveva ragione. Me ne sono reso conto subito, senza bisogno di farmelo ripetere, come tutte le cose che si sentono anche quando non si sanno, e basta una lama di luce per illuminare l'intero universo. A chi mi parlava non ho detto nulla, ma in quell'istante, come in una bolla spazio temporale, mi sono tornate in mente le migliaia di discussioni, anche le litigate, gli estenuanti arroccamenti sulle reciproche posizioni, e la mia stolida sicurezza, la granitica certezza che fosse chi mi stava di fronte dalla parte del torto, e il mio stupore perfino, che colei che avevo di fronte si sentisse ferita, offesa, che non capisse, non si rendesse conto di una verità tanto palese, che restasse nell'ombra pur in presenza di un bagliore per me acciecante, chiarissimo. Collegavo due punti, tiravo una linea e per me tutto era a posto, sistemato. Neanche sospettavo che potesse esserci attorno una casa, una strada nel bosco, un lampione acceso, il cielo stellato, campi di grano, torrenti, ruscelli, montagne, laghi, abissi profondi e vette ampie, dirupi, animali feroci, uccelli piumati, mostri angoschianti o angeli, insomma un libro, un paesaggio, un mondo. Non so se in futuro questa lezione servirà, non so se saprò evitare gli sbagli commessi in passato, se questa consapevolezza durerà a lungo oppure, come temo, resterà uno strappo isolato, prima che torni a prevalere l'ottusa corazza mentale del maschio. In ogni caso lascio queste righe a futura memoria, come colui destinato a perdere la memoria e lascia in una cassetta di sicurezza un messaggio, da poter rileggere quando l'illuminazione sarà svanita e tornerà a baloccarsi felice con le prime tre lettere dell'alfabeto, convinto che siano il tutto, dimenticando l'immenso resto.

Foto by Leonora

lunedì 9 maggio 2011

Gli scogli che ti portano in alto



Luca gioca in porta, ha un bel viso, caschetto di capelli biondi e sguardo sempre serio. Luca non può distrarsi nemmeno un attimo, perché è un po' più basso degli altri e ogni tiro, se non è più che attento, diventa insidioso. Luca ha sempre voluto fare il portiere e non si è mai arreso: alle insistenze della mamma perché facesse altro, ai sorrisini degli avversari e del pubblico. Luca non riceve regali e non fa sconti a nessuno: tra i pali è un gatto, ha coraggio e cuore per mettere a tacere chi è scettico, dimostrando che non bisogna essere giganti per difendere quella linea bianca che separa il nulla dal tutto. Una donna, dietro me, quando a fine partita l'ha notato passare insieme con i compagni a bordo campo, ha detto alla vicina di posto appena arrivata: "Eccolo lì, il portierino. Dovevi vederlo giocare". Ieri l'ho visto. E dentro di me ero contento, pur se giocava contro la squadra di mio figlio e si meritava gli applausi e l'ammirazione di chi era in tribuna. Tornando a casa ne ho parlato proprio con Giacomo, dicendogli che quel ragazzo è in qualche modo un modello e un esempio, poiché dai propri limiti ha saputo trarre il meglio, affinando quelle doti (la concentrazione, la reattività, la perspicacia, il senso della posizione, l'essere deciso...) che gli permettono di supplire e di fare bene lo stesso. Lo scrivo qui, pro memoria innanzi tutto per me stesso, confidando che Luca non smarrisca l'umiltà, anche quando in altezza raggiungerà i compagni d'età, ricordando che nella vita come in mare, sono gli scogli a far salire le onde più in alto, talvolta sfiorando il cielo.



Foto by Leonora

giovedì 5 maggio 2011

L'evoluzione digitale (analogico il nonno)


Con un orecchio ascolto sul web l'inno dei Responsabili e il delirante Scilipoti, con l'altro sento "Father and son" nella versione video di Cat Stevens, che ripropone Mtv Gold, intanto scrivo al computer e mando anche un sms col telefonino. Sono "multitasking", come si dice ora, esprimendo in un modo semplice un concetto complesso: fare un mucchio di cose, senza capirci un tubo. Perciò chiudo la pagina di Youtube, allontano il cellulare e mi limito a lasciare in sottofondo le canzoni, mentre porto a compimento il pensiero che mi aveva portato qui ed è stato partorito nel primo pomeriggio, mentre tornavo al lavoro ed ero in macchina (uno dei pochi posti, mentre guido, dove la mente vaga libera e riesco a riflettere senza vincolo). Ragionavo sul fatto che la tecnologia, da semplice protesi, stia trasformando i riflessi condizionati e le abitudini consolidate in milioni di anni di progresso umano. Non vorrei far la figura di colui che "dopo di me il diluvio", commettendo l'errore di quanti sostengono che la rivoluzione che li riguarda è più rivoluzione di quelle che l'hanno preceduta e che in ogni caso era meglio quando si stava peggio. Forse però non è il caso di archiviare come "normale" ciò che sta succedendo, considerando l'introduzione del computer - ossia di un'intelligenza artificiale, di qualcosa che interviene, interagisce e chiama in causa la mente - alla stregua di pur fondamentali invenzioni quali la ruota, la leva, il motore a scoppio. E non sto parlando di mio figlio Giovanni, ch'è connesso al Nintendo Ds con le sinapsi del cervello, tanto che se dovesse accadere un terremoto o sprofondare la casa in una voragine di fuoco, non farebbe una piega, continuando a pigiare bottoni e cercando di salire di livello. Parlo di me, bronto(lo)sauro informatico, che pure si trova a mutare pelle e abitudini con la rapidità di un velociraptor.
Due esempi banali. Non c'è volta in cui mi trovi di fronte a uno schermo e non mi venga l'istinto di appoggiarci le dita sopra, di interagire con esso, in versione "touch screen", anche se non si tratta dell'iPad o del Nokia, bensì del vecchio televisore di casa o del lunotto termico dell'auto. Ricordo quando il mio amico Angelo ha portato dagli Stati Uniti un eBook, il Kindle, e per prima cosa quando l'ho acceso, ho cercato invano di sfogliarlo toccando lo schermo invece che utilizzando i cursori di cui era provvisto. Era un anno fa, eppure il primo istinto era già quello e ho capito in quello stesso istante che così com'era non avrebbe fatto successo, nascendo già vecchio, anzi, morto. Un altro fenomeno da "contagio tecnologico" è l'effetto MySky, quel diabolico aggeggio abbinato alla tv satellite, semplicissimo da usare (mica come il vecchio videoregistratore Vha o Video 2000, che ci voleva un master al Mit di Boston per impostarlo) poiché con tre tasti permette di andare nei programmi avanti e indietro. Basta un clic e zac, le immagini scorrono a ritroso, permettendomi di vedere ciò che mi era sfuggito o non avevo compreso. Funziona sia con le trasmissioni registrate, sia con quelle che vedi in diretta, che vengono mantenute in memoria, consentendo la funzione stop o replay in qualsiasi momento. Bene, direte voi, e allora? Allora mi capita di cercare quel benedetto / maledetto tasto del telecomando "pausa, avanti, indietro" anche quando ascolto la radio per strada, o sono al cinema, o - quel che è peggio - nelle relazioni personali, mentre uno parla. E se a me capita così, non immagino neppure come vivranno i miei figli o i figli dei miei figli in un mondo digitale in tutto e per tutto, in cui analogico sarà soltanto il ricordo di quel rintronato del nonno (cioè, io).

Foto by Leonora

mercoledì 4 maggio 2011

Con gli occhi al cielo


Di tanti volti, monumenti, viali, scorci di città, il momento più toccante è stata un'alba, mentre la nave raggiungeva Marsiglia e il sole è sputato dai monti, diventando in tre minuti da spicchio sottile a un tondo rosso e perfetto, facendo brillare le coste brulle e chiazzate di verde alle nostre spalle, mentre il cielo da azzurro intenso diventava chiaro. "Non può finire tutto qui" ho pensato, "deve esserci qualcosa d'immenso nascosto nelle piccole cose che neppure vediamo". Era più di un pensiero, era una certezza, una consapevolezza, di quelle che non durano a lungo e che assomigliano a un fare dieci o dodici passi in perfetto equilibrio su una corda tesa a due metri dal suolo. Poi crolla tutto e non ci si capacita di come sia potuto accadere e anche se ci si mette d'impegno e si riprova non si riesce a ricreare quell'estasi in cui la mente si apre all'intuito, illuminandosi per un istante al mistero. C'era qualcos'altro però, quella mattina, ed era la rivelazione che nulla di ciò ch'è materiale può dissetare, sfamare, acquietare e dare pace all'animo umano. C'è una dimensione spirituale che troppo spesso trascuro e che invece è necessaria quanto l'aria che respiriamo o la pasta, il pane, l'acqua che mai manca in tavola, ogni giorno. In questi mesi sto molto attento al fisico, facendo spesso movimento, badando a tenermi in forma, tonico, mentre il tempo che riservo al cuore e alla testa rasenta lo zero. Non è giusto. La pigrizia e la mancanza di consapevolezza completano il quadro, facendo di me un uomo più arido, gretto, asciutto, di fiato corto e orizzonte piatto. E' ora di aprire la finestra, di alzarsi dalla sedia e mettersi qualche volta di più con gli occhi al cielo, magari in ginocchio.

Foto by Leonora




martedì 3 maggio 2011

Grandi uomini, piccoli traguardi


"Nessuna foto, nessun video dell'uccisione di Bin Laden. La Casa Bianca ci sta pensando su". Dice proprio così la corrispondente di Sky Tg 24, sulla decisione degli Stati Uniti di non diffondere la documentazione del blitz con cui Osama Bin Laden è stato giustiziato. "Foto atroci" li definisce il portavoce del presidente Obama, coprendo con il velo dell'ovvietà una scelta assai fragile, simile alla virtù di certi personaggi dei romanzi popolari, che con un occhio ammiccano e l'altro sfuggono. Da parte mia, pur se mi rendo conto dei rischi, credo sia giusto fornire le prove di quanto successo. Il principio della trasparenza, il diritto di sapere, è più forte del pur sacrosanto pudore. Detto ciò, anche se per carattere e formazione sono scevro da infatuazioni per i personaggi famosi e tendo a vedere di ogni dritto anche il rovescio, non posso negare che Barak Obama esercita un fascino fuori dal comune, come prima di lui Martin Luther King, il Mahatma Gandhi, John Fitzgerald Kennedy, Giovanni Paolo II, Nelson Mandela... Non è questione di pelle, potere o posizione, bensì di carisma, cuore e visione. Non li considero infallibili, su alcune questioni mi sento distante, ma riconosco loro un talento unico, un alto senso di responsabilità e l'impronta che distingue i grandi dell'umanità, coloro che possono essere indicati a modello positivo, stella polare specie quando il cielo è più buio. E' guardando ad essi che avverto tutta la meschinità, la piccolezza del mio essere, ma anche il desiderio di essere un poco migliore, la possibilità di elevarmi, di non restare incollato con i piedi al suolo, bensì di spiegare le ali e tentare il volo.

Foto by Leonora

lunedì 2 maggio 2011

Cinque città e la tentazione di una pigrizia


Dieci giorni senza blog: praticamente una vita, considerata la frequenza con cui ho scritto nei mesi recenti. Complice una settimana in nave, lontano da Internet e da qualsiasi mezzo di comunicazione, ne ho approfittato per risciacquarmi se non l'anima, almeno la testa, visitando cinque diverse città, ciascuna delle quali portatrice di conferme e anche di una sorpresa. Napoli è come l'immaginavo, originale in tutto e quasi una nazione a parte, icona di se stessa e più reale di quanto sia descritta, pure nelle esagerazioni. Palermo è assai più ordinata ma anche ordinaria, con contraddizioni meno laceranti e un grigiore forse accentuato dal fatto che pioveva. Palma di Maiorca, come ha chiosato Roberto, è la città di mare più Svizzera che abbia mai visitato. Barcellona ha perso l'anima. Marsiglia mi ha stupito per la bellezza ed è l'unica che in qualche modo m'è parsa in movimento, non congelata. Ringrazio tutti i compagni di viaggio, per la varietà di gusti, desideri e conoscenze, che hanno contribuito a trasformare una vacanza in un'esperienza a mosaico, bella quanto irripetibile. Rimando a un altro post rilievi più precisi, qui mi limito a rompere la pigrizia del rientro.

Foto by Leonora