domenica 31 luglio 2022

Tu, io (In compagnia del bambino che eravamo)

Ti ho di fronte, allo specchio, che guardi e provi un brivido, "realizzi" chi sei, un te "altro", pronunciando più volte il tuo nome, abbinandolo a quelle pupille, quel corpo, quel volto.
Ti vedo seduto sui gradini di casa, annoiato, il caldo di luglio, osservi le lucertole senza il coraggio di afferrarne una, invidiando la piena libertà che hanno.
Ti sento singhiozzare, rannicchiato sotto un tavolo, mentre i tuoi genitori gridano, un mattino di Natale lontano.
Ti metto una mano sulla spalla, nell'ampio salone che ora sembra piccolo, all'asilo, le suore che sorvegliano, le persiane accostate, un ombra che non è proprio buio.
Ti cerco in camera tua, seduto a un tavolo trasformato in scrivania, un piccolo televisore portatile acceso, disegni fumetti, sfogli libri di animali, ti dai un tono e fantastichi di diventare grande, adulto.
Sono trascorsi decenni, quel "tu" è un "io", adulto lo sono diventato, rapidamente, più di quanto immaginato.
Il tempo, che allora non passava mai, visto da qua, oggi, è un precipitare vorticoso, uno schiocco di dita, un lampo.
Ecco perché tutti noi, ogni tanto, dovremmo stare "in compagnia" del bambino che eravamo, provare ad ascoltarlo, guardarlo negli occhi, tenergli la mano. 

P.S. Possiamo far finta di nulla, cercare di dimenticare, scacciare il pensiero, non darvi troppo peso, ma chi siamo stati influenza inesorabilmente chi siamo. E spesso le fragilità, le debolezze, il disagio nostro o di chi ci sta vicino, non sono altro che il bambino o la bambina rimasta in noi, che piange "perché vuole essere accettata e amata per ciò che è". Non dimentichiamolo.




mercoledì 27 luglio 2022

Ho imparato (A piedi, in Umbria)

Ho imparato che quattro chilometri all'ora è la velocità massima con cui ci si sposta e insieme davvero si pensa.
Ho imparato che in un piccolo zaino può starci tutto l'occorrente per starsene in vacanza qualche giorno e in genere, anche così, ci si porta appresso qualcosa che non serve, che avanza.
Ho imparato che l'Umbria è una regione splendida, rurale, per molti aspetti "dipinta", come sospesa nel tempo, rimasta ancorata agli stili di vita degli anni Cinquanta.
Ho imparato che il fardello di pensieri, ansie, timori, obblighi, doveri, aspettative, responsabilità, incombenze che gravano consciamente o inconsciamente su di me, nel tempo ordinario, sono un peso ben più greve di quello dello zaino di cui sopra.
Ho imparato che bastano pochi passi in salita perché di quel peso non esista più traccia.
Ho imparato che la linea di confine tra fatica salutare e strapazzo non è sottile e sta anch’essa nell’arte del “togliere”, in questo caso chilometri, scegliendo di fare tappa mai oltre i venticinque, una giusta distanza.
Ho imparato che quella "in cammino" è una vacanza piena, sorprendendomi del fatto di non averlo scoperto prima: al mattino si percorre un tratto di strada che dà senso e orizzonte al resto della giornata, allenando il fisico e bruciando calorie, poi tutto è in discesa, godendo il riposo e concedendo appetito senza senso di colpa, proponendo ogni giorno una tappa diversa, evitando la noia.
Ho imparato che amicizia si coniuga sempre al plurale e in prima persona.
Ho imparato che dove c'è sobrietà, povertà, c'è meno miseria.
Ho imparato che "ospite" è parola d’accoglienza a senso unico alternato, buona sia in uscita sia in entrata, al presente e al passato, ospitante ed ospitato.
Ho imparato, sopra tutto, che di imparare non si finisce mai, non c'è un "abbastanza". E si può ricominciare sempre, ogni mattina.

P.S. Grazie a Isabella, Roberta, Brunella, Angelo, che c'erano, ma c'erano anche molti altri, che mi hanno "accompagnato", pur a distanza.
Delle molte immagini ne ho scelta qualcuna - poche, sempre per la regola del "togliere" - a futura memoria e per desiderio di condivisione, poiché tra il molto che ho imparato c'è anche che la luce, i colori, raccontano, informano, esprimono un'idea e non soltanto bellezza.



















martedì 5 luglio 2022

Specchio riflesso (Il disagio di crescere)

Un diavolo per capello è ciò che hai, quanto di questi tempi monopolizza la tua attenzione, la "testa" di ogni problema direi, a giudicare dal tempo che stai di fronte allo specchio o in doccia alle prese con balsamo e shampoo o le innumerevoli volte in cui ti passi le mani tra i capelli, il tuo centro di tutto.
Credo che ciascuno di noi - almeno ciascuno che abbia sensibilità spiccata - finisca per sentirsi inadeguato, sbagliato, fuori posto.
Capita a tutti e per qualcuno a tutte le età. Alla tua però di più, per quel bozzolo di essere umano che sei, sospeso tra il bambino che eri e l'adulto che diventerai.
Un passaggio che in te è ancora più evidente, esplicito, poiché - per fortuna - sei abituato a mettere in piazza molto, anche se la prima risposta alla domanda su come stai è: "Bene" o "Niente" è la replica naturale al "Cosa hai?".
Valentina, che con te ha da poco concluso un percorso ampio, osserva che i capelli sono un simbolo, sono la parte in cui rivedi tutto te stesso, con il senso di incompletezza e di identità confusa che l'età e la tua storia personale sommano ed esasperano.
Mi pare una lettura illuminante, che intuisco giusta pur se non l'avevo colta appieno.
Se l’appunto qua è perché sono certo che tra qualche anno di questa fase non resterà che un ricordo pallido, eppure l'uomo che sarai avrà tratto forza e robustezza proprio dall'averla attraversata, dall'esserci passato.
Il disagio, l'insicurezza, infatti, non si possono evitare come compagni di viaggio. L'unico modo per affrontarli senza farsene schiacciare è imparare ad averli accanto e farci i conti, affrontarli, passarci in mezzo appunto, come stai facendo tu. Anche guardandoti così spesso allo specchio e non piacendoti affatto.

P.S. Già che ci sono, proprio poiché la memoria è labile, metto in nota qui qualcosa che caratterizza questo periodo. Tipo: i film che vediamo insieme (su tutti "Doctor Strange e il multiverso della follia" e "Hustle" con Adam Sandler); le partite di basket perse (ne vincerai prima o poi una, ne sono certo); gli spostamenti con il monopattino (e Isabella che si arrabbia perché non usi più la bici); le cene e i pranzi che prepari, dimostrando però quanto sia bravo in cucina (bravo davvero); l'aiuto che sporadicamente dai ad Angelo, in giardino (ma quante zucchine avete piantato???).

venerdì 1 luglio 2022

Mettersi in moto (Incontro al destino)

Leggenda vuole che la prima cosa che hai chiesto sia stata: "Dov'è la retromarcia?".
Non credo sia avvenuto o, se anche fosse, l'avrai detto per burla, con lo spirito scanzonato che ti distingue e ti rende unico non soltanto ai miei occhi. La riporto ugualmente, perché come direbbe un ormai vecchio direttore di giornale riguardo a una notizia di prima pagina: "È talmente bella, vuoi anche che sia vera?".
L'ho presa larga, come spero tu non prenda mai una curva, per raccontare il tuo primo giorno di moto, quelle due ruote sospese tra inferno e paradiso che da oltre un secolo ammaliano milioni di persone, generazione dopo generazione, compresa la mia.
Tuo nonno era un appassionato, io meno, forse non soltanto per una madre angosciata al pensiero che potesse accadermi qualcosa. Fu così che a sedici anni mi arrivò in casa un Laverda 125 di seconda mano, con il manubrio da pista e che qualche anno dopo venne rottamata, senza aver fatto più di una manciata di chilometri (quasi tutti un sabato pomeriggio che non c'era nessuno a casa e con il mio amico Angelo andammo a provarla sul rettilineo dietro la Nelsa).
Prima c'era stato un Motobecane 50 prestato e poi chiesto indietro da un amico di famiglia e un Ciclone usato che non partiva mai e procedeva più che altro a spinta (colpa della carburazione, ma cosa ne sai tu della carburazione: del resto, pure io non è che sia un meccanico Yamaha).
Venne infine la Vespa Px 200, la stessa che uso tuttora e credo sia all'origine del tuo desiderio di sentire l'aria sul viso e la libertà di poter andare ovunque, in moto appunto, anche se per i puristi associare le moto a uno scooter è una bestemmia.
Continuo a tenermi a distanza dal centro del discorso, quasi girassi in tondo, su una pista.
In verità se riporto tutto ciò è per lasciare a futura memoria la ragione che, a differenza di mia madre, mi ha impedito di fare resistenza ad oltranza, concedendoti il permesso di adottarne una.
La premessa è stata la stessa di tutte le altre decisioni che riguardano te e i tuoi fratelli, convinto che non posso proteggervi pretendendo di rinchiudervi in una bolla, in una casa di vetro, limitandomi a formarvi affinché di voi stessi abbiate cura.
Un rischio che si chiama "educativo" non soltanto per facezia.
Il motivo vero però che mi ha acquietato la coscienza è stata una tragedia.
Non in moto, non una delle tante, troppe storie strazianti che mi è capitato di raccontare aprendo il Tg, compreso ieri sera.
Piuttosto, le tragedie di Eschilo, Euripide, Sofocle. Quella di Edipo o di Elettra. Il racconto di come il destino alla fine sia padrone di ogni cosa e se le strade intraprese sono scelte soltanto in base all'obiettivo di evitarlo, alla fine proprio quelle conducono ad incontrarlo, spesso pestandoci il muso, sbocciando in sciagura, in rovina.
Per questo ho cambiato idea. Perciò ho allentato le maglie dell'intransigenza.
Non perché sia certo di non pentirmene: tutt'altro. Ma è una consapevolezza che devo saper accettare, se non voglio morire insieme a te ogni giorno, di paura.

P.S. Sii prudente. Senza ossessione, ma con determinata perseveranza. Il problema della moto, nove volte su dieci, non sta in chi sta in sella, bensì in tutti gli altri, maldestri o distratti alla guida. E oltre a questo, più di tutto, temi la confidenza. Quando tutto ti sembrerà facile, naturale, quando avrai macinato centinaia di chilometri in modalità tranquilla. Un grande del motociclismo, Giacomo Agostini, che intervistai anni fa e che tuttora in moto viaggia, mi disse che importante è essere sempre vigili, senza distrazioni, pronti a svoltare rapidi o ad usare il freno. Perché di accelerare sono capaci tutti, quel che conta però è sapersi fermare rapidi, nel lampo che conta.