martedì 15 dicembre 2015

L'antidoto (Persone che vanno d'accordo)

Foto by Leonora
Ci sono persone come il tepore di una casa in inverno: scaldano il cuore e danno conforto, riparo. Le cerco spesso, negli occhi di chi incontro, come antidoto naturale alle molte divisioni, ai troppi distinguo che ascolto nei discorsi, che percepisco nelle reazioni, anche all'interno dei gruppi informali a cui appartengo.
"Concordia". Parola stupenda, di cui abbiamo smarrito persino la pronuncia nel vocabolario quotidiano.
"Concordia". Andare d'accordo. Non è tacere le cose, bensì dirle avendo riguardo per il modo. Trovare un punto di incontro, di equilibrio. Superare le distanze, tessere trame ad uncinetto, costruire ponti invece di un muro.
Azioni che richiedono buona volontà e una predisposizione dell'animo, una motivazione forte, perché per raggiungere la meta spesso occorre chinare il capo, deglutire amaro, ricacciare bruscamente il peccato di orgoglio, sforzarsi di comprendere soprattutto le ragioni dell'altro e, quando non ha ragioni, almeno il motivo per cui agisce in quel modo.
"Concordia" non è materiale grezzo, che si trova in natura, come i sentimenti, le emozioni: somiglia più a un manufatto d'artigiano, realizzato su misura, pezzo per pezzo, oppure al concerto di un'orchestra e sono grato agli uomini e alle donne che ne diventano loro stesse strumento, perché sanno portare pace, sorriso e armonia attenuando il rumore forte e indistinto di chi si lamenta, di chi brontola, di chi protesta per ogni virgola o punto.

martedì 8 dicembre 2015

Il valore dell'assenza (tuteliamo lo stupore)

Foto by Leonora
Toglieteci tutto, non lo stupore. Quell'attimo di vuoto allo stomaco, quello schiocco d'emozione, quell'istante che fa da asola tra immaginazione e realtà e costituisce della vita il gusto, il sapore.
La sala da pranzo di casa mia vecchia, quando avevo cinque anni, il mattino di Natale. Luci accese sull'albero, sul tavolo sei, sette regali. Erano piccole cose, non ne ricordo alcuno nel dettaglio, ma la sensazione provata, quel mancare di fiato e quello scoppio di gioia nel petto, è impossibile da dimenticare.
La radice è la stessa che ho notato negli occhi di Giacomo, Giorgia, Giovanni e dei tanti bimbi che per svariate circostanze mi sono trovato di fronte in questi anni, nelle feste di compleanno o Natale. Con una differenza d'intensità che non dipende da loro, bensì dal contesto d'abbondanza in cui sono cresciuti.
I miei cinque anni coincidevano con un tempo in cui nel resto dell'anno non arrivava nulla, sul davanzale della finestra si conservavano al massimo una dozzina di noci, il barattolo della Nutella non esisteva e semmai alle quattro, per fare merenda, c'erano quelle confezioni di plastica che con quattro cucchiani di numero era bella che finita la porzione. Per ricevere un regalo che non fosse a Natale attesi i nove anni, quando un pomeriggio dissi che sognavo il Manuale delle Giovani Marmotte e mia madre dieci minuti dopo fermò l'auto di fronte alla tabaccheria / cartoleria del paese dicendomi: "D'accordo, lo compriamo". Fu come se il cielo si squarciasse, non stavo più nella pelle.
Ora che i tempi sono cambiati, per fortuna in meglio, con un'abbondanza di tutto (beni materiali e pure emozioni, sensazioni, stimoli), credo che dovremmo escogitare un modo per tutelare e rinforzare lo stupore, esattamente come si fa con le bestie a rischio di estinzione.
Associamo all'idea di bene il dare tutto, mettere a disposizione prima possibile ciò che viene chiesto o che banalmente riteniamo utile, piacevole, gradito, ignorando il valore dell'assenza e l'eventualità che almeno il dosare la generosità sia un modo per dare sostanza al desiderio, alimentando il senso di sorpresa. Perché il rischio altrimenti è di crescere generazioni di uomini e donne che hanno tutto, ma restano apatiche e indifferenti.
P.S. I regali di Natale sono l'esempio pratico più semplice, ma vale per la sessualità, le relazioni, gli affetti... Ho in mente ragazzini di sedici anni che ottengono da mamma e papà il permesso di fare le vacanze loro due, insieme. Capisco loro che domandano, non chi lo concede. Lo scrivo qua per vincolo, come Ulisse quando chiese di essere legato all'albero della nave per non cedere al canto delle sirene, così quando lo domanderanno a me avrò meno tentazioni di essere incoerente e potrò rispondere uno dei tanti "no" che fanno male e bene insieme.

lunedì 7 dicembre 2015

Regaliamo leggerezza (anche a noi stessi)

Foto by Leonora
Regalate leggerezza. A Natale e anche prima, in questi giorni che rischiamo di vivere in apnea, correndo appresso a rituali e incombenze. Regaliamo leggerezza per primi a noi stessi, mettendo in cima al podio i sentimenti, le relazioni, i biglietti piuttosto che i regali, la convivialità dello stare attorno a un tavolo invece dell'abbondanza e della varietà del menù.
Stefania mi ha ricordato oggi una frase di Calvino: "Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità ma planare sulle cose dall'alto". Vero. Sempre di Calvino rammento un dettaglio delle sue Lezioni americane, in cui scrive della lievità, dello sforzo di togliere piuttosto che aggiungere, nella narrativa come nella vita.
S'è presentato "leggero" il bambino che ricordiamo il 25 di questo mese: niente case, palazzi, servi al seguito, neppure il riscaldamento. Un bue, un asinello, una mangiatoia, poco altro. Ce ne andiamo leggeri tutti noi, un giorno, lasciando su questa terra soldi, risparmi, beni materiali, persino il corpo. E' partito leggero Damiano, con uno zaino sulle spalle e la voglia di scoprire insieme al mondo pure uno spicchio di se stesso. Vado io leggero quando corro, senza altra attrezzatura di un paio di scarpe adatte e calzoncini e magliette scartate dai miei figli. Leggeri sono questi pensieri, che non hanno altro scopo che essere condivisi con le persone che considero amiche, creando un legame più forte, più intenso.