mercoledì 14 agosto 2013

Il ragazzo che sono (dentro)

Foto by Leonora
L'ho letto in un romanzo di Maigret e lo provo anch'io: nonostante gli anni siano passati, penso a me stesso come al ragazzo che ero.
Pur se sono cambiato, se mangio molte più cose rispetto ad allora, se non sono più così schizzinoso, se ho perso buona parte di quell'olfatto finissimo che proprio a tavola era un handicap pazzesco (quante volte ho detto: "Puzza!", confondendo il gusto con lo schifo), se sono molto più sicuro di me stesso, se non divento più rosso quando parlo, se non mi sento mai così solo come i pomeriggi di luglio in cui i miei genitori lavoravano e a parte le lucertole dai marciapiedi attorno a casa mia non passava nessuno, se amo leggere romanzi mentre da piccolo li detestavo, se ho scordato cosa significhi amare gli animali (e ringrazio Francesca, che due giorni fa mi ha ricordato quanto sono adorabili gli asini, che hanno occhio umano), se sono diventato finalmente ordinato, se mi spaventa meno il futuro, se ho imparato che si possono superare gli addii, anche quelli strazianti, senza possibilità di ritorno.
Sono un uomo ora e l'ho ben presente ogni volta che mi guardo allo specchio, quando a parte il corpo - che s'è mantenuto più in forma di quanto avrei creduto: in questo, devo essere onesto, sono migliorato - per il resto vedo un viso scavato, con i capelli corti, stempiato, gli occhiali, le rughe e i peli bianchi della barba, un volto di quelli che capisci di essere invecchiato perché le ragazze più giovani, quando ti passano davanti, non ti degnano di uno sguardo, come se avessero di fronte soltanto il muro (anche questa immagine l'ho letta da qualche parte, non ricordo però dove, se in Pirandello o in Facebook, e questo la dice lunga sulla mia memoria, oltre che sul modo discutibile in cui passo in questi giorni d'agosto il tempo).
E' un me stesso che mi sorprende proprio le volte in cui inseguendo un pensiero, una sensazione, uno stato d'animo a riflettere rimane quel ragazzo, come se la natura avesse tracciato una linea sui vent'anni e l'orologio mentale fosse rimasto fermo.
Non so se capita anche a voi, mi consolo scoprirlo in Simenon, non a caso uno scrittore universale, capace di emozionarmi ancora adesso. Credo capiterà anche quando diventerò vecchio, come allo zio Emilio, che ha quasi novant'anni e ogni tanto incespica o cade cercando di prendere un piatto o pulire la parte superiore di un armadietto. Mia madre lo rimprovera, io invece credo di conoscere il motivo: anche lui, come me, come tutti noi, è rimasto con la testa agli anni in cui poteva fare tutto. Lo scrivo qui non per la scoperta d'acqua calda che ho fatto, bensì perché chi legge queste righe possa essere comprensivo e non arrabbiarsi troppo quando si trova di fronte i tanti zio Emilio che esistono al mondo.

martedì 13 agosto 2013

Fai il bravo

Foto by Leonora
Nel primo vero giorno di vacanza guardo un film d'animazione con Giovanni e Giorgia. S'intitola Hotel Transylvania e come molti altri cartoni animati affronta il tema della diversità razziale, dei pregiudizi e del rapporto tra genitori e figli, in particolare tra un padre apprensivo e protettivo e una figlia desiderosa di indipendenza. La morale è scontata: la vita dei nostri figli non ci appartiene e non si può tenerli sotto una campana di vetro.
Quante volte, andando a letto, la sera, ritrovo pensieri disseminati di domande senza risposta. Cosa faranno da grandi i miei figli? Se la caveranno? Riusciranno a finire le scuole? Troveranno un lavoro? Formeranno una famiglia? Saranno felici? Potranno contare su tutto il ben di dio che ho avuto io?
Avrei altri punti interrogativi del medesimo tenore e che non trascrivo per non trasformare queste righe in un elenco ansiogeno.
A farla da padrone è l'incertezza e ci sta. Me ne sono fatto una ragione e ho accantonato da un pezzo l'ossessione di dare loro una sicurezza materiale, ben sapendo che per quanto riguarda il destino aveva colto nel segno Epicuro: abitiamo tutti una città senza mura. Così pure i consigli o gli ordini, che mi ostino a dispensare più per rispettare un dovere nei confronti di me stesso che per la reale convinzione servano davvero (semmai è l'esempio a poter marcare un sentiero, ma in quel caso non sempre il mio è positivo). E se per quanto riguarda l'essere umano troppo vari sono gli ingredienti e la loro miscelazione per tentare di riassumere ciò di cui sono convinto in un motto, se invece mi fosse chiesto di scegliere dal mazzo un'indicazione per quanto riguarda il lavoro, un suggerimento da dare, non soltanto ai miei figli, ma a tutte le persone che nello zaino hanno più futuro che passato, ripeterei la frase che di recente ho ascoltato da qualche parte (forse nel libro "Cambiamo tutto" di Riccardo Luna, ma non ne sono sicuro): "Diventa bravo a fare qualcosa, diventa il più bravo in quella cosa, se riesci". Il resto è contorno.

lunedì 12 agosto 2013

Il vecchio sogno

Foto by Leonora
Una casa di legno, un bracco tedesco, pareti zeppe di libri, un vasto prato, un albero di fico, l'orto, un angolo del giardino dove piantare l'erba salvia, la menta, il timo, il rosmarino, un pergolato di uva americana, un tavolo all'aperto, il sole che entra da un enorme vetrata, al tramonto, le rughe sul viso, le mani con la pelle avvizzita e le dita che come ora scelgono lettere, scrivono.
La mia vecchiaia la immagino così e immaginandola un po' già la vivo, sapendo che manca molto, ma meno di quanto poi sembrerà il giorno in cui vi giungerò, avendo corso tanto, sovente in apnea, rincorrendo obiettivi che oggi paiono vitali mentre nulla c'entrano con l'essenziale, con ciò che conta davvero per un essere umano.
So che non rimpiangerò gli anni passati, avendoli vissuti appieno, che apprezzerò il silenzio, che continuerò a fare quello che mi piace e che occorrerà uno sforzo di cui forse non sono capace per segnare il confine e per uscire di scena, per produrre uno scostamento tra ciò che sono sempre stato, che sono tuttora, e ciò che dovrò diventare, se il cielo me lo consentirà: un uomo al crepuscolo (sperando di conservare di quell'ora i colori stupendi, il senso di pienezza del giorno, la temperatura migliore rispetto alle ore che seguono o lo precedono). Adesso come adesso non credo di esserne capace, tuttavia ritengo sia possibile - quasi certo - che quando verrà il momento la biologia riuscirà a scalfire l'ostinazione, a farmi capire che l'ultima campana è suonata e che potrà durare poco o a lungo, in ogni caso non ne seguirà un'altra, almeno in questo mondo.
Chi volesse farmi compagnia, quando giungerà quel giorno, sarà benedetto. Non si accettano tuttavia prenotazioni: quando verrà il momento basterà presentarsi all'uscio e suonare la campanella all'ingresso, sapendo che non mancheranno cortesia ed accoglienza, oltre che una bottiglia di vino rosso, in cantina, o di bianco, in frigorifero.

sabato 10 agosto 2013

San Lorenzo (parola presente)

Foto by Leonora
Un mese e mezzo senza lasciare qui impronta. Per scelta, non per pigrizia o distrazione, schiacciato dalla consapevolezza che tutto finisce, che nulla è per sempre - in questo mondo - e che per quanto bravi o ostinati si possa essere la nostra traccia verrà spazzata via in due, massimo tre generazioni.
E anche se così non fosse, se qualcosa di me (ad esempio questa pagina o questo blog o qualche articolo che scrivo sul giornale) dovesse per un caso trasformarsi in arco e solcare più tempo di quanto ora immagini, esso sarà soltanto una di quelle scintille che salgono dal falò o uno di quegli agglomerati di ghiaccio incandescente a contatto con l'atmosfera, che chiamiamo stelle cadenti aspettandole nel cielo proprio oggi, San Lorenzo. Brevi scie luminose, faville di notorietà e memoria che non potranno mai comprendermi né comprendere chi realmente sono, proprio come io non so nulla a parte il nome di mio bisnonno Giovanni o del trisavolo Giacomo.
Non sono triste per questo e neppure arrabbiato o malinconico. L'accetto. Unica tentazione di risposta semmai è proprio l'astenermi dal reagire, l'abdicare al ruolo che mi è stato ritagliato, farmi ancor più piccolo, anonimo, insignificante, quasi per fare un dispetto al destino, come per dire: "Mi vuoi burattino? Ebbene, muovi pure i fili del teatro ma non pensare che ti aiuti, che ti dia la soddisfazione di illudermi d'esser dio (perché soltanto un dio può sopravvivere a se stesso), che ceda alla vanità e mi metta a costruire castelli di sabbia convinto che sia marmo".
Perciò in queste settimane non ho scritto e avrei continuato a stare in silenzio a lungo se non fosse per l'esempio di tante persone che pur senza saperlo, senza le paturnie che mi faccio io, con i loro pensieri, con le frasi, con le parole sono per me consolazione e diletto. Ci pensavo proprio ieri, leggendo un tweet di @nina_mau. Non so come mai, ma quelle poche parole, che niente avevano a che fare con ciò che ho poco sopra scritto, sono state la scintilla per mostrarmi un orizzonte nuovo. Ho riflettuto e credo che il motivo sia questo: è vero, nulla è eterno, nulla sopravviverà a un tempo limitato, però qui ed ora ciò che realizziamo, ciò che scriviamo, ci permette di essere più contenti, soddisfatti, realizzati. Di vivere meglio insomma. Sono alla resa dei conti un dono, che facciamo a noi stessi e agli altri, un modo non per ipotecare il futuro ma per rendere il presente colorato.