sabato 22 gennaio 2022

Il dono (Per un mondo differente)

"Il regalo più grande che puoi fare a un'altra persona non è condividere le tue ricchezza, bensì farle scoprire le sue".
Benjamin Disraeli

Ti ho di fronte a un tavolino di bar, bella come quando avevi vent'anni, ma d'una bellezza diversa, meno appariscente, più complessa, tale e quale al lago il cui colore d'inverno somiglia ai tuoi occhi quando t'arrabbi e metti il muso, diventando fredda, gelida.
Con me sorridi spesso, forse perché ci conosciamo da una vita anche se per una vita non ci siamo visti né sentiti, condividendo parenti e ricordi in bianco e nero di un'infanzia mai perduta.
Mi pare dì vedere in te più di quanto tu scorgi di te stessa e invidio l'esistenza piena di ogni fase dei tuoi anni, compresi questi che soltanto in apparenza sono quieti, calmi, ripetitivi fino alla monotonia.
Tutto scorre, nulla si conserva, nessuno è indispensabile, tuttavia ritengo sia un peccato che tanta cultura, che tanto senso del bello, tanta sapienza e conoscenza facciano deposito, impedendo così il dono più bello, quell'essere "generativi" che hanno gli esseri umani, non soltanto di lombi, ma con la testa, il cervello.
È lì, di fronte a te, mentre mi parli di Parigi, New York, Amsterdam, Napoli, Berlino, Stoccolma e Ginevra, che rivolto su di me, a specchio, questo pensiero di talenti ricevuti e che non meritano di restare celati in una zona d'ombra.
E se il mondo produttivo si chiude a riccio espellendo chi non è funzionale al modello attuale di economia, giusto immaginarne un altro, essere audaci, non addormentarci nel letto che le convenzioni hanno preparato per noi, creando opportunità di condivisione, realizzazione, crescita.

P.S. Le tue fotografie stupiscono, parlano anche senza bocca. Riesci con le immagini a dire tanto in così breve tempo - il lampo di un'occhiata - poiché nel taglio che dai all'immagine, nell'inquadratura che scegli, nel punto di vista in cui ti poni, racchiudi inconsapevolmente, senza darvi peso o farci caso, decenni di cultura, ciò che hai visto e sentito e toccato, di quanto ti si è impresso come una matrice, una seconda pelle, un filtro naturale in grado di cogliere, trattenere e secernere stile, bellezza, gusto.

martedì 18 gennaio 2022

"Peccato non approfittarne" (Arrivederci Loris)

Vicino, troppo vicino mi sei, perché io possa dare sbocco a tanto dolore, a una pena infinita che ha afflitto la nostra famiglia, drenando in questi mesi leggerezza e pace interiore.
Uso il verbo presente, non il passato, perché è così che ti sento, Loris, che ti sentirò sempre.
Nei mesi scorsi ho cercato spesso conforto, facendo memoria di persone care, raccontando vicende di addii e dolore. Ogni volta, devi saperlo, eri tu che avevo nel cuore, era il dispiacere per ciò che stava capitando che faceva da spunto, binario e motore.
Per riguardo non potevo condividere pienamente l'angoscia, la preoccupazione, ci limitavamo entrambi al non detto, alla comprensione reciproca e silenziosa, all'allusione: così il lutto altrui è diventato lo specchio in cui si sbircia Medusa, per guardare in faccia la sofferenza senza diventare in pietre.
Perdonami se con te, proprio con te, non riesco a esser bravo quanto vorrei, a raccontarti degnamente.
Vicino, troppo vicino ti ho, per riassumere in poche righe chi sei, quanto per la nostra famiglia rappresenti, marito, fratello, cognato, cugino, padre.
Scelgo la parola "amico" perché le riassume tutte e non fa differenze.
Con la tua compostezza, la tua serietà, ch'era a volte come una maschera, indossata d'abitudine e che rendeva per contrasto splendenti le occasioni in cui ridevi.
Con le tue mani laboriose, che riuscivano a far tutto e a tutti: non c'è casa delle nostre che non contenga memoria di te, in uno scaffale, una parete di pietra, un impianto d'allarme, cornici, prese, pannelli, tubazioni, quadri (persino qui a Bergamo, ho una farfalla ad ali spiegate, in metallo lucido, che avevi detto non essere riuscita bene, ma a me pare perfetta, anche ora, che la guardo con nostalgia e attenzione).
Con le tue parole, soprattutto. Rare, preziose, che ogni volta parevano distillate, mai banali, sempre argute.
Proprio con qualcuna di queste - che mi hai mandato qualche mese fa - voglio salutarti.
Senza dirti addio, ma arrivederci.
"Ci sono stati giorni in cui vedevo più buio che luce davanti a me e in quei giorni mi sono rammaricato delle cose che avrei potuto fare nei tempi passati, cose semplici tipo un week-end lungo, una cena al ristorante, una sera a teatro, qualsiasi cosa occupasse il tempo insieme alle persone care, poche o tante, agli amici... Quelle cose che spesso rinvii e poi non fai più per ragioni che solo ora hanno assunto un altro valore nella graduatoria delle priorità (il lavoro, la pigrizia, i soldi...).
Se il destino vorrà essere benevolo ecco, quello è il mio buon proposito: cercare di sfruttare il tempo per arricchire l'anima e il corpo di quei piaceri che la vita ti offre, anche una semplice camminata nel bosco o in riva al lago parlando del più e del meno. Piaceri, persone care, possibilità non scontate per tutti e che sono una fortuna, un peccato se vivessimo senza approfittarne".

P.S. Il destino - a differenza di quanto auspicavi - non è stato benevolo con te, che sei stato per la nostra generazione ciò che tuo suocero è stato per la sua: un'apripista, colui che "porta il lume e a sé non giova ma dietro sé fa le persone dotte".
Tocca a noi ora dimostrare che non sei vissuto invano, imparare la lezione.

sabato 8 gennaio 2022

A inizio anno (Riflessioni semplici)

Sono passati pochi giorni, il tuo sorriso disegnato a virgola resta vivo, non più fuori, soltanto in me, nelle molte persone che ti hanno conosciuto, nei tuoi cari soprattutto, che ti sono stati accanto e fino all'ultimo hanno versato lacrime, pregato, sperato, sofferto, accarezzandoti la fronte pallida, stringendoti la mano.
Ho scritto più volte di te, della tua famiglia, dell'ammirazione e del coraggio, spettatore impotente di un dolore muto.
Parole non ne ho più, resto in piedi, a capo chino, osservando la tua fotografia, Armida, al camposanto, sapendo che non sei lì, che l'essenza di te è viva, altrove, e che sei vissuta troppo poco, ma non invano.

P.S. Per fortuna ci sono gli amici. Come Raffaele, che un mattino si alza e scalda il cuore, condividendo queste riflessioni "semplici", esprimendo ciò che anch'io sento e che riporto pari pari, non potendolo scrivere meglio.
"Penso ci sia una verità in tutto questo caos... Ma valla a trovare!?!
Spero arrivi il più tardi possibile, ma penso che la morte saprà rivelarci tutti i nostri interrogativi.
Intanto continuo a vivere cercando, non sempre riuscendoci, di essere sincero con me e gli altri.
Mi sento un privilegiato quando entrando in casa trovo calore umano e reale.
Un po' me lo sono meritato, un po' devo ringraziare dove sono nato.
Ho degli amici che incontro ora come quarant'anni fa.
Un po' è merito nostro. Che ci siamo voluti bene. Che ci siamo stimati. Che abbiamo reciprocamente chiuso un occhio sui nostri difetti per apprezzare di più i nostri valori. Così come succede in una coppia che si vuole bene.
E chiudo qui... Semplici riflessioni di un normale sabato mattina ad inizio anno".

sabato 1 gennaio 2022

L'ascia (Accettalo)

Ho scoperto di recente che "decidere" vuol dire tagliare e risulta arduo, comporta impegno, ansia, persino dolore, proprio per tutto ciò che di conseguenza si scarta, si lascia, si esclude.
Scegliere è una mutilazione, ma pure l'unico modo per non restare fermi, per andare avanti: accettarlo è condizione necessaria per ottenere leggerezza, assenza di peso eccessivo nel cuore, sulle spalle e nello zaino delle provviste.
Facile a dirsi, meno a farsi. Lo scrivo contemplando lo scaffale di fronte e i due borsoni ai suoi piedi, i cassetti del comò e il ripostiglio nella mansarda (il garage no, quello è troppo, è l'Alpamayo dell'oggettistica accantonata, quasi come la cantina e l'inarrivabile capanno degli attrezzi, un deposito enorme che la mente fatica persino a concettualizzare).
Eppure lo so, "lasciare", "lasciare andare", tra i buoni propositi di quest'anno non potrà mancare, perché labile è diventato il confine tra accortezza e parsimonia patologica, tra conservazione giudiziosa e accatastamento compulsivo, tra effettiva utilità e calcolo delle probabilità infinitesimali che qualcosa scartato oggi venga rimpianto domani.
Tanto ne sono certo che sarà così: il primo oggetto da cui mi separerò - una vecchia penna che a tratti abbozza scie di inchiostro verde, le videocassette con i cartoni animati della Pimpa, la tastiera con relativo mouse a filo del computer non funzionante dal 2006, uno dei centosette cavi e cavetti di accessori elettronici ormai dimenticati, le tre scatole di latta che contenevano panettoni, gli occhiali che mettevo quando avevo due diottrie in più, i singoli tomi in omaggio con Repubblica e Corriere di enciclopedie i cui volumi non ho acquistato, una delle diciotto felpe consegnatemi dai miei figli nei recenti diciotto mesi... - sarà quello che per primo rimpiangerò, appena il furgoncino della nettezza urbana si sarà allontanato. Fosse anche lo scaldavivande grande quanto una pallina da tennis che funziona con presa Usb rimasto a prendere polvere da sette anni nel luogo segreto in cui per tradizione ripongo gli "indifendibili" (cioè ciò per cui è impossibile immaginare un'utilità anche futura): dietro i libri, negli scaffali.

P.S. Le persone no. Quelle non voglio "lasciarle andare", non quest'anno, a meno che proprio non se ne vadano da sole, ma allora si tratterebbe di una tragedia, nel senso greco, qualcosa di inevitabile, ineluttabile. Gli altri, chiunque altro, compresi scocciatori, noiosi, contestatori, saccenti, conformisti, boriosi, indisponenti, presuntuosi, possono rimanere. Poiché nell'anno appena terminato ho imparato questo: gli altri non sono mai un problema, siamo noi che possiamo far diventare un problema gli altri, pretendendo che cambino atteggiamento loro, mentre i primi a non riuscire a cambiare siamo noi.