domenica 30 giugno 2024

Ben tornata (Tirare una linea)

Chi ti conosce sa, chi non ti conosce - o è prevenuto - non capirebbe.
È successo tutto in un vortice, una pressione aumentata a dismisura negli ultimi due mesi, coronamento di un impegno lungo dieci anni, con un finale amaro per te che ci tenevi e per noi che ti vogliamo bene.
Comprendo dunque il tuo stato d'animo e i sentimenti contrastanti di questo scorcio di stagione, in cui puoi finalmente riprendere fiato, anche se tu sei sempre stata abituata a fare tre cose insieme e il vuoto, seppur provvisorio, non è un foglio bianco da scrivere ma una parentesi da accorciare ai minimi termini.
Tra le cattiverie che hai dovuto sopportare la più ridicola è che volevi proseguire "perché non hai altro da fare": di tutte le persone che conosco, e ne conosco molte, tu sei quella che non ho visto mai restare con le mani in mano, lavori da quando avevi sedici anni, hai mantenuto un impiego tirando grandi nel contempo tre figli più uno, ti sei caricata sulle spalle me, che ora comincio ad essere un filo autonomo ma fino a qualche anno fa rispecchiavo il "patriarcato" più obsoleto, lasciando a te incombenze su tutto.
Lascio queste parole qui, pro memoria per chi ci succede, rinnovando la stima per le qualità che hai, per le doti che hai dimostrato, soprattutto l'ammirazione per la mancanza di ambizione fine a se stessa.
Non so se saresti stata una buona sindaca, credo che l'autocritica e il riconoscimento dei propri limiti siano sempre necessari, così come non sono tra coloro che gridano alla tragedia in riferimento a chi ha unito sacro e profano, estrema sinistra e leghismo militante pur di raccogliere il vostro testimone. Essendo il nostro paese mi auguro sinceramente possano fare bene. Di certo attendo al varco chi per anni ha criticato anche sulle minime questioni, non rendendosi conto della differenza che passa tra il dire e il fare: ora constateranno quant'è difficile e speriamo siano perseveranti quanto te a non lasciarsi cadere le braccia e a ricercare il meglio, nonostante tutto.
Da parte mia ho accusato il colpo (in questo senso però lo accolgo con favore: una sana spuntatina all'orgoglio, ch'è una brutta bestia e se di tanto in tanto non gli si tarpano le ali "ne rovina più lui del petrolio"), egoisticamente però sono contento di averti più con noi, a casa, di sapere che potrai tornare a dare per la tua famiglia e anche per te stessa il cento per cento, convinto che cambierà il campo, ma il seme buon che sei continuerà a mettere germoglio.

P.S. Tirare una linea. Io cerco di non portare rancore per nessuno però una linea l'ho tirata, misurando e soppesando molte persone, benedicendo anche le peggiori (le peggiori, per come sono fatto, sono quelle che hanno sempre rifuggito un confronto schietto, palese, aperto, nel merito delle questioni) poiché comportandosi male mi costringono alla virtù della tolleranza, dell'indulgenza, del perdono. Non è facile, lo ammetto, tuttavia nemmeno impossibile, anche se qualche sassolino dalle scarpe sono proprio tentato di togliermelo e lo trattengo non per bontà personale, che non ho, bensì per non dare cattivo esempio alle persone a cui tengo di più e che meritano di sapere che a vincere sempre deve essere il sorriso.

domenica 9 giugno 2024

Mal educati (Più socialità, meno social)

“Papà, mentre leggevo mi tremavano le mani”.
Rabbia, sgomento, delusione, fanno quell’effetto lì. Se ne sono accorti anche i miei figli, incappando in uno dei post a più alto tasso di cattiveria di una campagna elettorale che finalmente s’è chiusa, insieme alle urne, ieri sera.
E se ne parlo adesso, in questo tempo sospeso in cui le urne delle Comunali sono sigillate e non si sa nulla, è perché se lo avessi fatto prima sarebbe stato letto come favorire qualcuno, mentre dopo potrebbe suonare come rancore da sconfitta o supponenza da chi l’ha spuntata.
A me invece del voto importa relativamente.
Ho appoggiato Isabella con convinzione, perché so quanto vale, dopo aver capito che le mie insistenze affinché lasciasse perdere restavano inascoltate, cercando di stare comunque fuori dalla mischia, senza tifo da stadio, considerato l’alto livello di virulenza.
Se scrivo questo post è proprio per cavarne una lezione sull'utilizzo dei social, per mettere in guardia su quanto siano pericolosi, se non ci si educa ad usarli, se lo si fa in maniera superficiale o maldestra.
E non mi riferisco ai ragazzi, bensì agli adulti, a quelli della mia età, perché siamo proprio noi i più esposti al pericolo, cresciuti in un'altra epoca e incapaci ora di utilizzare certi strumenti con piena coscienza.
Ogni volta che vediamo qualcosa su Facebook, prima di mettere un like o commentare, dovremmo leggere con attenzione e pensare: questo frase la direi guardando l'interessato o l'interessata negli occhi, se l'avessi qui davanti, di persona?

P.S. Sui post specifici non aggiungo nulla, si commentano da soli. A lasciarmi mortificato sono stati i commenti d’appoggio e i “like”, messi da persone che considero amici e amiche, che ho sempre stimato o a cui Isabella sono certo non abbia fatto nulla. Non pubblico qui l'elenco, perché voglio evitare l'effetto "lista di proscrizione", ma a loro, in privato, lo farò sapere.
I miei figli e chi mi conosce bene infatti sanno che non sono buono di natura, che sono nervoso, anzi, e collerico, talvolta. Però sanno anche che uno dei principi che da quasi cinquantotto anni mi fanno da bussola e che spero di non perdere mai, è il non avere nemici e salutare sempre con il sorriso, e parlare con tutti, senza mai portare rancore con nessuno, né dover abbassare gli occhi per astio o vergogna. L'unico modo per riuscirci, per andare oltre, è non tenersi dentro nulla, dire le cose schiettamente, in maniera personale, diretta. Perché perdono esiste soltanto quando c'è giustizia, altrimenti è soltanto ignavia. O indifferenza.

martedì 4 giugno 2024

Trent'anni (Un dono)

Di quel giorno ricordo che è stato il più bello e che andò tutto benissimo, senza un dettaglio fuori posto, come accade soltanto per grazia ricevuta, mai per volontà, bravura o progetto.
E se trent’anni dopo siamo ancora qui, a condividere non soltanto un anniversario, bensì un pezzetto di noi, ogni giorno, lo dobbiamo alla Provvidenza (o al destino) e lo considero un dono.
Che se mi guardo indietro e ripenso a quanti errori commessi, a come siamo cambiati, alle reciproche rigidità, differenze, gusti, distanze, mi pare un miracolo non aver inforcato un paletto ed essere ruzzolati fuori pista, in quello slalom gigante senza binari obbligati che è la vita di coppia al nostro tempo.
Di certo, tra i due, il più fortunato sono io, per mille e una ragione che non starò a elencare, ma che tra me e me, in ogni esame di coscienza, riconosco.
Il frutto più dolce di quel giorno lontano sono i nostri figli e i rami d’amicizia che con tante persone abbiamo mantenuto o formato di nuovo, ma il complimento più bello l’ho ricevuto da te, ieri sera, a distanza di chilometri (perché neanche allo scoccare del nostro anniversario c'ero), al telefono, sentendoti dire senza enfasi, con leggerezza: “Lo rifarei, di nuovo”.

P.S. Giacomo, Giorgia, Giovanni e Kadir ci hanno fatto un regalo speciale, che mi ha commosso. E nulla turba la felicità piena, totale, di questo giorno, neppure le turbolenze dovute agli ultimi giorni prima del voto. C’è però un pensiero fisso, costante, che mi accompagna e rimanda a una persona che non c’è più e mi ha insegnato senza troppe parole il senso del restare insieme, nonostante tutto. Non c’è giorno in cui non mi venga in mente, sentendo quasi una colpa, perché noi siamo qui e lui no, a godersi moglie, figli, gioie della vita, sconfitte della nostra squadra del cuore uno accanto all’altro, lui sulla sedia io sul divano, e giorni nella baita in cui se chiudo gli occhi lo “vedo”, tuttora, mentre sorride e guarda il golfo di Piona, sul lago. Forse tra altri trent'anni saranno passati il dolore, lo sgomento, la fede, la rabbia, e resterà di certi congedi anticipati soltanto la dolcezza del ricordo. Nel frattempo unisco a treccia sentimenti contrapposti, consapevole di dover essere grato per ciò che in dono ho ricevuto.

sabato 4 maggio 2024

Prometto (Dietro ogni donna...)

Prometto che ti sosterrò, anche se sono stato la persona che più ti ha messo i bastoni tra le ruote, colui che ha tramato e brigato, alla luce e nell’ombra, affinché ti tirassi indietro, ti dedicassi ad altro, scegliessi pace, tempo libero, vacanza.
Prometto che ti sosterrò, perché tu sei fatta così: la persona più fragile e insieme più forte che conosca. E anche stavolta hai dato a tutti noi, cominciando dai nostri figli, una lezione del coraggio che a me manca, mettendoti in gioco, accentando il rischio, affrontando una sfida.
Prometto che ti sosterrò, perché hai molti difetti - come tutti - ma sei certo generosa e trasparente, limpida e tutta alla luce del sole, mai voltafaccia o doppia.
Prometto che ti sosterrò perché grazie a te esercito ogni giorno (con fatica) le virtù della pazienza e della tolleranza, resistendo alla tentazione di parlare o pensare male di chi ha fatto altre scelte, ricordando che chi si impegna al giorno d’oggi merita sempre e comunque riconoscenza.
Prometto che ti sosterrò, e se non faccio pubblicità smaccata, con tanto di frasi ad effetto e foto di famiglia felice, è perché noi non siamo una famiglia felice, da copertina, come credo non lo sia nessuna. Ma essendo da trent’anni esatti una famiglia viviamo moltissimi momenti felici e in quelli ardui, impervi, ci sosteniamo a vicenda.

P.S. Prometto che ti sosterrò, perché tu lo hai sempre fatto con me. E perché dietro una donna in gamba... c’è sempre un uomo di cui quella donna si è presa cura.

venerdì 19 aprile 2024

La bellezza della Miseria (L'aver vissuto non passa mai)

Io non so come sia il sole nel Laos. L'altra mattina però splendeva alto a Torre Boldone, in un cielo terso che pareva un drappo teso e tinto di fresco d'un azzurro intenso, con una brezza lieve che rendeva tutto perfetto.
La signora Banchit, mamma del mio amico Paolo, per il suo funerale immagino non avrebbe potuto desiderare di meglio. Almeno qui, in quella Bergamo diventata gioco forza la sua casa, mentre certo avrebbe apprezzato qualsiasi clima nel Laos, terra in cui è nata e che ha dovuto abbandonare troppo presto: a metà degli anni Settanta, complice una rivoluzione cruenta e le coincidenze che ricama il destino o la Provvidenza, per chi nei colpi di spatola della vita scorge un disegno.
Della cerimonia, composta ed essenziale come dovrebbero esserlo tutte quelle di congedo, non dico nulla, mentre tre dettagli ho impressi, marchiati a fuoco.
Il primo è il ciglio asciutto dei tre nipoti a funerale concluso. Un poco Anna, la più piccola, riusciva a stento a trattenere il magone, mentre Marco ed Elisa parevano già adulti, stretti nella morsa di un dolore muto, nudo, di quelli che bruciano più a fondo, ma rendono uomini e donne, onorando così nel migliore dei modi il tributo di vita di chi li ha preceduti, il ramo da cui hanno preso germoglio.
Il secondo è stata la voce strozzata di Paolo, che per una volta è stato in pubblico come io lo conosco in privato, cioè una delle persone più sensibili e profonde che conosca, d'una tenerezza direttamente proporzionale all'esser spiccio, a tratti persino cinico, nelle situazioni in cui non c'è possibilità di alternativa o via di mezzo.
Il terzo è stato il prete, missionario, che con Banchit e suo marito Mauro ha incrociato i passi e messo a dimora un'amicizia, nel Laos. Sua è stata la frase appena sussurrata ma talmente potente da risuonare come un colpo di gong, un tamburo: "Il vivere passa, l'aver vissuto non passa mai". È proprio vero.
 
P.S. Di sua mamma Paolo ha ricordato soprattutto la capacità di ascolto, di silenzio, citando una sola frase, che non ricordo esattamente, ma che riguardava i colori e i profumi della miseria. "Soltanto oggi, poco fa - ha detto, come tra parentesi, Paolo - ho scoperto che 'miseria' è il nome di una pianta". Non lo sapevo neppure io. La "Tradescantia fluminensis" detta anche "Erba miseria", originaria delle foreste pluviali, dove prevale l'umido e passa poco sole, abbastanza però da far sbocciare fiori piccoli e delicati. Proprio come Banchit e le persone che insegnano come la vera grandezza sia chiusa a guscio nell'umiltà. E che non servono troppe parole, per volersi bene conta l'esempio.

sabato 30 marzo 2024

Il giorno più bello (Prima dell'inciampo)

“Eravamo felici e non lo sapevamo” è una frase che mi suona spesso nella testa, specie in giorni in cui come i vecchi orologi  meccanici avrei bisogno per me stesso di ricarica.
L’esercizio della nostalgia, pur seducente e talvolta lenitivo, ha tuttavia la controindicazione di essere fine a se stesso: porta con sé qualche emozione, mai un cambio di pagina.
Per questo provo a spostare al tempo presente e in positivo quel pro memoria, declinandolo al qui ed ora: “Sono felice e lo so”.
Non capita sempre, di essere felici.
La felicità è puntiforme, mai continua, va a momenti, sfugge a qualsiasi gabbia e laccio con il quale trattenerla. In più, ha la stessa natura dei sogni, che puoi ricordarli vagamente o nel dettaglio, ma non è mai la stessa cosa, non si archivia: una volta che l’attimo trascorre si sbiadisce, evapora.
Io ad esempio ho traccia del giorno in cui sono stato più felice, ad occhio e croce, nell’ultima dozzina d’anni.
È stato il 24 febbraio scorso, un sabato (il sabato capita spesso sia tra i giorni felici, tranne che per chi fa il commessa o la commessa).
Per un combinato disposto di eventi su lunga e corta scala - un lavoro soddisfacente e stimolante, la sostanziale salute fisica mia e delle persone a cui tengo di più, il raggiungimento di obiettivi importanti per i figli, la vicinanza degli amici… - mi sono ritrovato la sera non potendo far altro che ringraziare per ciò che ho, non avendo null'altro da chiedere.
Ricordo nitidamente quell’istante.
Per due motivi: la sensazione bellissima di essere in cima a una montagna e insieme la certezza che da quel momento esatto in poi non poteva che esserci peggioramento, discesa. 
La felicità è così, l’esatto contrario della sventura: la seconda è orrenda, ma contiene in grembo un seme; la prima stupenda però porta in dote un tarlo.
Ed è così che si accompagnano, sempre, in eterno equilibrio, come morte e vita.

P.S. Per giorni ho taciuto persino a me stesso che quel giorno di pienezza poteva essere il perno di una svolta, l’apice a cui segue il declino, ripido o dolce che sia.
Anche gli adulti infatti, al pari dei bimbi piccoli, a volte chiudono gli occhi confidando che così nessuno li veda.
Qualche scricchiolio l’ho avvertito subito, ma poca roba, tanto da illudermi che mi sbagliavo, che forse potevo farla franca.
Mercoledì 28, sempre di febbraio, invece, a tarda sera, è giunta la certificazione di un balzo all’ingiù, in tutti i sensi. Per mia mamma, che ruzzolando sulla scala della cantina - la foto che ho messo e che ho scattato qualche giorno dopo, casualmente, a Brescia, rende bene l'idea - s’è rotta entrambi i talloni. E per me, che ho subito compreso come da lì in poi sarebbe stata dura.
Lo racconto ora, senza pesantezza, poiché il peggio è alle spalle e di quell’inciampo potrei elencare anche qualche seme positivo che ne è derivato. Ma questa è un’altra storia.

sabato 24 febbraio 2024

Ad alta voce (Elogio d'un puro)

Di nome fa Nicola ed è un puro.
Se ne scrivo qui è per mandargli idealmente un abbraccio, visto che ieri è andato in pensione e l’ho sempre stimato tantissimo, non tanto come cronista, che di colleghi bravi ce ne sono un sacco, bensì come persona, come essere umano.
Chi è poco attento alle vicende extra redazione Nicola Panzeri lo conoscerà a malapena o niente affatto: esordio professionale nella sua Brianza alta, se non ricordo male al Giornale di Merate, poi una vita a La Provincia, con una parentesi a Il Cittadino di Monza, dove l’ho conosciuto.
Un omone alto e grosso, anche di voce, tanto che convivere con lui non è stato facile per chi aveva la scrivania a un passo.
Anche perché, a differenza della maggior parte di noi, che utilizziamo (e spesso abusiamo) di messaggi o mail, lui è rimasto fedele al telefono, alla comunicazione diretta, alla relazione fatta di botta e risposta, spiegandosi a tono, anche se nel suo caso con qualche decibel di troppo.
Un dettaglio marginale, tuttavia, rispetto al motivo per cui ai miei occhi si è sempre distinto: il suo candore di fondo, una bontà d’animo scevra da ogni smanceria o pelosità, e che riassumo in un dettaglio che di lui dice tutto: non l’ho mai sentito parlar male di nessuno. Di nessuno. Mai. Neanche un accenno, un allusione, un pettegolezzo. Al massimo un sopracciglio alzato o un’espressione attonita, di stupore o perplessità, a cui però non aggiungere verbo. E anche quando esprimeva una riserva o un dubbio, era sempre contestualizzato a un fatto, mai alla persona in sé.
Ecco perché Nicola Panzeri mancherà, in un piccolo mondo qual è il nostro. Perché i grandi giornalisti possono scrivere articoli bellissimi, ma sono le persone serie, leali, a fare da colonna a un tempio qual è quello dell’informazione, sempre più a rischio d'esser profanato.

P.S. C’è un secondo aspetto per il quale Nicola ha da insegnare a chiunque, quello della fedeltà nell’amicizia. Se penso a lui non posso infatti prescindere da Ernesto, Ernesto Galigani, che di carattere è assai differente da Nicola, ma che con Nicola s’è sempre completato, esattamente come capita a me con gli amici a cui più tengo.