domenica 28 febbraio 2021

Maestro febbraio (La buccia e il nocciolo)

Ha chiuso la parentesi, tonda come i giorni che ha portato, ventotto in tutto, da lunedì a domenica, lasciando che per altri ventotto sia replicato identico anche marzo.
È stato un febbraio terminato in "bellezza", travestito da aprile, grazie a un'espressione da meteorologi che mi piace moltissimo: è l'anticiclone a "proteggerci", a mettere al riparo.
Lo fa tuttora, in queste giornate che pian piano si allungano e regalano un cielo terso, ottimo per stare all'aperto, per curare il giardino. Lo faccio appena posso, apprezzando la fatica, l'esercizio, l'ordine creato, soprattutto il silenzio.
Il silenzio. Con la pandemia credo di aver acquisito una sorta di iper-sensibilità al baccano, alle chiacchiere inutili, al rumore di fondo che a volte somiglia a un brusio petulante, noioso quanto il ronzio delle mosche in volo, delle zanzare quando si avvicinano all'orecchio, altre invece al frastuono del legno che si squarcia, al clangore del colpo sul bidone di metallo.
Non sono mai stato tipo da fioretti o digiuno, ma un buon proposito per la quaresima appena iniziata potrebbe essere quello di parlare io stesso meno, di dare più peso a quanto detto.
La scrittura, in questo, è uno straordinario maestro.
Costringendoci a scegliere sillaba per sillaba, permettendoci di cancellare e di tornare indietro, elimina molte impurità e buona parte delle buccia, lasciando quasi sempre polpa e nocciolo.

P.S. Forse per questo e non per caso possiamo dire che, del pensiero, la scrittura è il frutto.

venerdì 5 febbraio 2021

Occhi fissi sul campo (Spalla a spalla, a Italo)

Perdonami. Perdonami figlia mia se nel tuo giorno di festa ho il cuore cupo, striato dal dolore di persone care, che soffrono.
Conoscevo Italo da una quindicina d'anni, da quando tuo fratello Giacomo era voluto andare a giocare a calcio in una categoria superiore, dimostrando già allora un'ambizione insospettabile per quel carattere in apparenza imperturbabile, cheto.
Quel mondo Italo lo frequentava a suo agio, essendosi messo anch'egli alla prova spesso, per decenni, sul campo e in panchina, roccioso e arguto nel contempo.
Entrambi genitori di figli in calzoncini corti e alti poco più di un metro, siamo stati sovente spalla a spalla, due volte la settimana almeno, da settembre a giugno, pioggia o sole o vento, alle partite o di fronte al cancello, terminato l'allenamento.
Ero io ad andare a cercarlo, perché sapevo che mi aspettava volentieri, in tribuna o a bordo campo. Lui conosceva il mio stile garbato, io apprezzavo i suoi lunghi silenzi, concentrato a osservare il gioco, e ancor più le occasioni rare e preziose in cui apriva bocca, per esprimere sottovoce un commento, un giudizio mai banale, lapidario.
I giorni più luminosi erano quelli in cui accanto a noi arrivava un altro padre, Piero: non soltanto il suo migliore amico, ma l'emblema stesso dell'amicizia che può esserci tra due persone, quel miracoloso vincolo che si crea a dispetto delle differenze, anzi, forte in modo direttamente proporzionale alle diversità di stile, di gusto, di carattere, di fisico.
Italo e Piero. Piero e Italo. Massiccio e pratico e interista uno; esile e fantasioso e milanista l'altro. Insieme, uno spettacolo. Di ironia, sarcasmo, soprattutto di bene, stima, affetto.
Italo se n'è andato in questo giorno mite di febbraio, spezzato in nemmeno quattro settimane da quel virus che - sbagliando - credevo avessimo ormai imparato a tenere al guinzaglio, almeno per le persone vicine, per coloro che non penseresti mai possano essere estratte a sorte dal mazzo.
Un lampo di sgomento, che mi ha riportato a dieci mesi fa, al dolore di altre persone care, a Luciano, alla sua famiglia, a quella di molti colleghi bergamaschi, al dramma identico di questa epidemia che non vediamo l'ora sia finita, illudendoci che stia tutto tornando normale, anche se di normale c'è nulla o poco.
Per questo sono così, nel giorno del tuo ventunesimo compleanno, perché non riesco a non pensare a Stefano e Irene e a Rossella, i figli di Italo, che hanno più o meno la tua età e a Giovanna, sua moglie, e a Piero stesso, schiacciati da un vuoto che è come un manto, di piombo.
Un dolore ingiusto, che non ha motivo, mai, per nessun essere umano, da che mondo è mondo.
Un dolore che si unisce all'apprensione di altre persone che mi sono vicine e in questi mesi vivono la morsa di un altro male, combattendo tenacemente ma accusando spesso il colpo, com'è comprensibile, non essendo noi fatti di gomma, avendo crepe pure quando non le mostriamo.
Per questo aspetterò che ti addormenti, Giorgina, per venire a osservarti un minuto, nonostante il buio, ascoltando il tuo respiro, calmo, piano, chiudendo gli occhi, cercando di sentire in quel momento ancora Italo vicino, spalla a spalla, come quando eravamo in tribuna di sperduti campi, e so che non lo guarderò, non riuscirò a guardarlo, continuerò a tenere lo sguardo fisso sul prato, per non commuovermi, e gli dirò quello che non sono mai riuscito a dirgli ma che lui sapeva, perché era un uomo acuto, oltre che buono. Un uomo che sono orgoglioso di avere conosciuto e di considerare per sempre amico.

martedì 2 febbraio 2021

Il silenzio, come rifugio (Poi c'è lui)

Scrivo poco, quasi nulla. In questi giorni buona parte delle energie risparmiate da affetti e lavoro se ne va nel portare pazienza, masticare amaro, mordersi la lingua per non replicare a tutti coloro che parlano a vanvera, che ostentano sicurezza mentre di sicuro c'è soltanto la loro ignoranza e la presunzione di avere ragione su tutto.
Il contagio da Covid, le elezioni americane, la situazione politica in Italia...
Chiacchiere. Anche da parte di uomini e donne per molti versi stimabili, con l'unico torto di abdicare all'uso della ragione, per brandire invece il maglio del tifo, come allo stadio.
Chiacchiere. Sui social soprattutto, perché di sedersi attorno a un tavolo e discutere non si contempla neppure la possibilità: ogni predica accetta soltanto il pulpito.
Chiacchiere. Senza competenza alcuna, lasciando che a prendere posizione sia la pancia, evitando di comprendere le ragioni reciproche, limitandosi a sputare fiele e sentenziare, su questo o su quello, per partito preso.
Un vortice di stati emotivi che si riversa su di noi ogni giorno, con qualsiasi mezzo: radio, giornali, tv, social...
A superficialità, ignoranza e arroganza sto diventando allergico, fatico a restare lucido, perciò ho scelto la via del silenzio, del non ti curar di loro, passando e guardando senza muovere un dito.

P.S. Poi c’è lui. Giovanni Bachelet. Una persona per bene, che si ostina a replicare uno ad uno ai commenti più o meno sensati, compresi quelli insulsi, beceri, grevi. Puntiglioso ma mai pignolo, ne ho ammirato fin da subito il senso civico, l'ostinazione con cui persegue il vero, astenendosi da qualsiasi supponenza o tracotanza, con quella passione cocciuta che hanno i giardinieri, nel coltivare fiori, alberi, prato.
Una scoperta piacevole, una boccata d'ossigeno, e insieme l'implicito sprone per me ad essere diverso, a non usare il silenzio come scudo, al dovere del prendere posizione, non essere tiepido.
Con la consapevolezza che proprio i Giovanni Bachelet, tutti i Giovanni Bachelet di questo mondo, sono l'unico vaccino al virus della retorica, della faziosità, del muro contro muro e del ginocchio piegato dei fatti oggettivi - chiaramente accertati - di fronte alle emozioni e convinzioni di chi urla di più e più fa caos.