domenica 29 luglio 2012

Traformar le debolezze in forza

Campate di silenzio così lunghe in quattro anni ce ne sono state poche ed è possibile che in futuro i post, qui, saranno più rari, ma scomparire no. Questo è e rimarrà sempre il mio spazio di libertà, la casa accogliente dove poter condividere tutto, dai fatti eclatanti a quelli più intimi). Una casa a immagine e somiglianza proprio della mia, reale, che per uno dei figli che diventa grande e ci vuole restare il meno possibile, cercando la compagnia degli amici, trova ogni anno ospiti in arrivo da lontano e graditi. L'estate scorsa era arrivato David, con la sua splendida famiglia dal Vermont, quest'anno è tornato Milan a farci visita dalla Serbia, con la sua ragazza, Adriana. Milan, per chi non lo sapesse, ha ventisette anni e per me è un fratello. Quando la guerra ha costretto la sua famiglia a fuggire e abbandonare la casa aveva solo dieci anni. Con il padre scappato sui monti e  la madre e le due sorelline in fuga verso Belgrado, trovò un tetto qui, per quei disegni misteriosi che solo il destino sa creare. Allora era un bimbo stupendo ma dagli occhi tristi, oggi resta stupendo uguale però con anche il sorriso negli occhi e un cuore buono, che ha saputo trasformare l'odio di troppe generazioni in compassione. Tra le tante cose che egli mi ha aiutato a capire c'è questa: le debolezze possono essere sempre trasformate in forza, basta saperle usare. Prendiamo l'inglese, che Milan e Adriana parlano benissimo come la maggior parte dei ragazzi delle loro parti. "Sai Giorgio - mi ha detto - il fatto è che voi in Italia avete tradotto tutto, dai film al cinema ai cartoni animati, dalle istruzioni per gli elettrodomestici a milioni di libri. In Serbia invece non è tradotto niente, per cui se vogliamo capire o leggere o usare le cose ci dobbiamo svegliare". Svegliarci. Un buon verbo per uscire dalla crisi.

venerdì 13 luglio 2012

Come la ghisa (è l'uomo contemporaneo)

Come la ghisa. Voi, la maggior parte delle persone che passano da qui intendo, probabilmente lo ignorate, perché leghe e metalli non sono certo la vostra passione e non avete avuto un padre che per metà della sua vita li ha comprati e venduti. Io che lo ho avuto invece so quanto pesante e duttile è il piombo ad esempio, che leggerezza ha la barra d'alluminio, in che oggetti si nasconde il preziosissimo nichel, la lucentezza del rame nei cavi, come si capisce che l'acciaio di quella pentola è veramente inox 18/10 e non ferro banale (basta usare la calamita: se attacca è ferro e vi hanno fregato, se scivola via avete speso i vostri soldi bene). La ghisa invece è durissima, una lega di ferro e carbonio utilissima per certe applicazioni perché a buon mercato e poco intaccabile, ma che ha proprio nella durezza il suo punto debole. La ghisa infatti è facile da spaccare. Basta un colpo di mazza, assestato bene, per mandarla in pezzi, essendo rigidissima, per nulla elastica, adattabile. Ecco, in questi giorni, in queste settimane, io mi sento come la ghisa: forte, ma ch'è sufficiente un imprevisto (una delusione, un inghippo, per non parlare di una malattia, di una preoccupazione) per farmi saltare. Una condizione che penso sia paragonabile all'attuale società, a questa nostra generazione, gigante dai piedi di argilla, apparentemente tutta d'un pezzo, tostissima, ma che per un nonnulla può andare in frantumi. P.S. Il difficile è allora come trasformarsi in acciaio, forte ma elastico, destinato nel tempo a durare adattandosi a danni e intemperie.

domenica 1 luglio 2012

Italia o Spagna (purché non sia mai un magna magna)


Foto by Leonora
Soltanto una constatazione, a margine della partita di calcio tra Italia e Spagna di stasera, partendo da quel biscotto più volte evocato e mai consumato.
Primo: non ero tra quelli preoccupati che Spagna e Croazia si mettessero d'accordo, ma neppure tra coloro che etichettava come "i soliti italiani sospettosi" chi temeva un epilogo con inciucio. Nel 2004 le tanto apprezzate (da me) e civili nazioni di Danimarca e Svezia, superando secoli di destazione reciproca, un bel biscotto l'avevano sfornato, con buona pace degli inegnui (sempre il sottoscritto) e gran stridore di denti del restante e italico popolo.
Secondo (che poi è il centro in tutti i sensi del discorso): Svezia e Danimarca pagarono quella furbizia da quattro soldi uscendo entrambe nel turno successivo.
Terzo: gli spagnoli potevano dunque eliminare l'Italia con un barbatrucco ma non l'hanno fatto e non se ne sono pentiti, pur se oggi potrebbero essere sconfitti proprio da coloro che hanno salvato. Ecco perché, qualsiasi sia il risultato di stasera, sarò contento. Chiunque vinca, l'avrà meritato ed è una lezione che possiamo esportare nella vita direttamente dal tanto criticato calcio: l'onore, l'onestà, il rispetto delle regole alla lunga pagano. E non importa a che latitudine o longitudine si sia nati o la storia che alle spalle ha ciascuno. Si può sempre cambiare, in meglio.