lunedì 28 gennaio 2008

Esmeralda e noi


Si intitola "Espiazione" ed è un romanzo di McEwan, da cui hanno tratto anche un film. M'è venuto in mente perché l'ho letto ieri e perché non so se riuscirò mai ad espiare l'assenza al polentablog di ieri.
Erano i miei amici, i miei nuovi amici, e io non c'ero. Il resto è solo "chiacchiere e distintivo". Cercherò di farmi perdonare, intanto ammetto che mi sono mancati. Mi sono mancati un sacco.

Chiusa parentesi, volevo aggiungere un ringraziamento al mio amico Raffaele, che mi ha regalato un libro della edizioni Leonardo International, a cura di Marco Impagliazzo, dal titolo: "Il caso zingari".
I testi sono di autorevoli studiosi, tra i quali Giovanni Maria Flick e Amos Luzzatto, con un'introduzione di Andrea Riccardi, in cui tra l'altro si legge:
"Questo libro vuole essere un contributo a una cultura politica di ampio respiro, non appiattita sull'emozione del momento o sugli archetipi del nemico, nomade, straniero. E' una rimeditazione di un dramma - quello dello sterminio degli zingari ad opera dei nazisti, dopo una secolare persecuzione - la discussione di un caso, ma anche la proposta di un ripensamento sulle politiche per gli zingari, a partire dalla scuola, cioè dall'investimento sui più giovani. E', anche, un richiamo al pericolo dell'antigitanismo, che viene da una storia antica e si fa disprezzo verso un intero popolo. L'antigitanismo ci rassicura che il nemico della nostra sicurezza è lì, davanti a noi, nei campi, sudicio, accattone, infido, ma in fondo debole, facilmente schiacciabile. L'antigitanismo è un prodotto della paura delle nostre società e si alimenta di stereotipi antichi oltre che dell'esperienza di un contatto, non sempre facile, molto particolare, con gli zingari".
E' questa frase che mi ha colpito: "...il nemico della nostra sicurezza è lì, davanti a noi, nei campi, sudicio, accattone, infido".
E' vero, anche per me che credo di essere antirazzista, aperto alle culture più diverse, convinto dell'importanza del dialogo inter religioso, non prigioniero di pregiudizi. Invece li ho. Nei confronti degli zingari li ho. Per ignoranza, credo. O forse perché in fondo sono "deboli, facilmente schiacciabili".
Non ci avevo mai pensato. Non finché Raffaele mi ha "casualmente" regalato questo libro. Lo leggerò.

P.S. Il libro sugli zingari sarebbe stato un seme gettato sui rovi o tra i sassi se giovedì scorso, su Raisatcinema, non avessi visto insieme al mio figlio più piccolo, Giovanni, un film del 1939, tratto dal romanzo di Victor Hugo "Notre Dame de Paris". Mentre lo guardavo, pensavo al fatto che gli zingari erano a quel tempo perseguitati, che la società del tempo aveva nei loro confronti un sacco di pregiudizi, ma anche al fatto che uno scrittore nonché politico come Hugo avesse scelto di darne una visione positiva, assegnando alla zingara Esmeralda e ai suoi compagni il ruolo di protagonista, in positivo.
Mi domandavo la reazione dei benpensanti di allora, se oggi una scelta del genere sarebbe ripetibile da parte di un romanziere inserito nel "sistema" com'era Hugo. E mi chiedevo se era lui coraggioso o gli zingari diversi o se, tutto sommato, la società dell'Ottocento fosse più aperta della nostra, nel ventunesimo secolo. Domande che ho lasciato sospese a mezz'aria e sarebbero finite nel dimenticatoio se non ci fosse stata la coincidenza del libro ricevuto.


venerdì 25 gennaio 2008

Saluto Romano


Lo so che in questo paese chi si schiera è perduto, lo so che dicendo certe cose si passa facilmente per somaro, lo so che secondo alcuni il giornalista dovrebbe essere un eunuco (nel senso di mascherare le proprie opinioni: come se con questo mestiere, cioè dire il vero, tener nascosto il nostro pensiero renda più credibili che rivelarlo), lo so che sarebbe meglio un bel sorriso e far finta che nulla ti tange, che nulla è accaduto... Lo so. Non c'è bisogno di ripeterlo, tanto, almeno qui, faccio di testa mia lo stesso.


Io Romano Prodi lo ammiro. Proprio lui, come persona. E oggi, anche se nemmeno mi conosce, anche se conto meno di zero e lui ormai altrettanto (politicamente parlando), gli voglio stringere idealmente la mano e dirgli grazie, perché non mi ha fatto pentire di averlo votato.

In un paese che si fa beffe della serietà, che considera il "bene comune" solo in rapporto al proprio tornaconto, che conosce raramente il significato di "essere al servizio", Romano Prodi, ancora una volta, si è distinto: è caduto a testa alta, senza cercare trucchi, accettando di essere sconfitto al Senato, senza lasciarsi alle spalle vie d'uscita, come quasi ogni altro politico avrebbe fatto.

Il suo non era il miglior governo possibile, ma con le carte che aveva almeno ci ha provato. In molti ne parlano male, io non mi associo al coro e a differenza di molti (quasi tutti quelli schierati con il centrodestra, ma pure una buona parte del centrosinistra) vedo anche tanti buoni provvedimenti presi e non soltanto ciò che non è stato fatto.

Come ho scritto nel post precedente, se fosse dipeso da me, nei confronti del suo governo avrei fatto come Siegfred Brugger e le sue minoranze linguistiche: appoggio esterno, ma leale.

Da semplice cittadino, nell'ora del commiato governativo, volevo dire a Prodi grazie. Lo considero una persona per bene e di questi tempi non è poco.

mercoledì 23 gennaio 2008

I love Siegfried


Scusate la parentesi, ma proprio in questo istante, per le dichiarazioni al voto di fiducia, alla Camera dei Deputati sta parlando Siegfried Brugger (gruppo misto - minoranze linguistiche), che non conosco ma suona alle mie orecchie come un libro stampato. Con inflessione teutonica (che ricorda il papa odierno) e voce ferma, il buon Brugger dice tutte cose che penso io, parla di serietà e di serietà che manca in alcuni della ormai ex maggioranza, nel far cadere un governo che fino a ieri hanno appoggiato e che in condizioni quasi proibitive è riuscito a combinare più di quanti viaggiavano con i voti e il vento in poppa.



Il Gruppo Misto - Minoranze Linguistiche, apprendo adesso, ha sempre garantito a Prodi un appoggio esterno, ma leale, che non viene meno, poiché hanno sottoscritto un patto di legislatura e vogliono rispettarlo.
Appoggio esterno e massimo rispetto. Posso passare anch'io nel Gruppo Misto - Minoranze linguistiche? Perchè io mi ci troverei benissimo e pur di essere accettato potrei baciare Siegfried Brugger e parlare in dialetto.

P.S. Ora invece ha cominciato a parlare Paolo Cirino Pomicino e m'é andato per traverso anche il tortino all'albicocca appena ingurgitato.

al Hattabi, il grido e l'uncino


E' vero, lo ammetto: scrivere sul blog in questi giorni mi pesa. Mi pesa come non mi è mai pesato prima e non è colpa di ciò che è capitato quindici giorni fa. C'é dell'altro. Ne parlerò, un giorno.

Oggi però ho letto qualcosa che merita, qualcosa che è degno di essere rilanciato. E' una frase che ho trovato nel libro di Gianfranco Ravasi, "Breviario Laico", che non mi stanco di consigliare perché ci sono perle rare che vi si trovano giorno per giorno.

La frase è di un mistico mussulmano del X secolo, al Hattabi, e recita così: "Ogni uomo altro non è che figlio della sua stessa specie. Ogni uomo ha un'anima, un'anima come la tua, tutti sono sensibili. Sensibili come sei tu".

"Sensibili come sei tu". Il povero, il malato, il carcerato, il diverso, l'altro, e pure il vicino, il collega, il parente, l'amico, ma anche il tuo capo, l'aguzzino, persino il malvagio.

Riprendo un pensiero dello stesso Ravasi, a guarnizione di quella frase. "Anche se sepolto sotto strati di male, anche se protetto da forme di autodifesa scostanti e fin brutali, batte sempre in ogni persona un cuore, respira sempre un'anima. Una poetessa americana, Sylvia Plath, morta suicida nel 1963 appena trentenne, confessava: "Sono abitata da un grido. / Di notte esso esce svolazzando / in cerca, coi suoi uncini, di qualcosa da amare".

giovedì 17 gennaio 2008

The membership perspective


Per natura ed indole non sono invidioso, soltanto mi è spiaciuto non essere andato con Mauro, ieri, ad ascoltare De Bortoli, De Biasi e Caio (con tutto questo fiorire di De, volevo scrivere De Caio, ma forse s'arrabbia) alla libreria Feltrinelli di Milano. Argomento: l'economia della felicità, dal titolo del bel libro di Luca De Biasi. Attenderò che lo stesso Mauro ne riporti qualche spunto.
Tutta 'sta premessa, per consigliare un post sulla rete e i suoi "adepti", che ho letto un paio di giorni fa e che a mio parere merita di essere condiviso. E' di Gaspar e lo trovate cliccando qui. Buona riflessione.


P.S. Il titolo di questo post, The membership perspective, deriva da un ricordo d'università, quando il bigio Villa (David, sai di chi parlo!) riuscì a portare a Milano niente meno che il professor Robert Constable, della Loyola University di Chicago, autore di una teoria chiamata in quel modo. Gliene sono ancora grato, poiché la usai a piene mani per la tesi, giocando sul fatto che nessuno dei docenti, a parte lo stesso Villa, si era poi preso la briga di capire cosa diavolo fosse.

martedì 15 gennaio 2008

Voglia di lettura


Leggo molto in questi giorni. Specialmente gialli e romanzi che intrigano e mi lasciano con il fiato sospeso. Credo sia un modo per concentrarmi su altro, su qualcosa di diverso che non sia il mondo reale. Sta di fatto che dopo qualche mese di saggistica, sono tornato alla passione primigenia del romanzo.Ora sono alle prese con “I casi dell’avvocato Guerrieri”, la raccolta di tre libri di Gianrico Carofiglio. Ho appena finito “Il professionista” di John Grisham e prima ancora una piacevolissima sorpresa: “Il poliziotto che ride”, della coppia svedese di scrittori, marito e moglie, Sjoval Maj e Walhoo Per, i quali scrissero dieci gialli i dieci anni, dal 1968 al 1978. Non mi sono mai piaciuti gli scrittori scandinavi. Devo ricredermi.

lunedì 14 gennaio 2008

Tre appigli


Eccomi qua, quasi un mese e un anno e una vita dopo. Ne sono successe di cose in una ventina di giorni. Ventisette giorni, in cui scrivere m'è sembrato una banalità, un sforzo inutile, un peso. Mi ritrovo di nuovo davanti a un computer, nella solita pausa pranzo che ora non devo più riempire di corse e ansie e preoccupazioni e parole.
Ma prima di ricominciare, ho una cosa da aggiungere a ciò che scrissi un paio di mesi fa, nel giorno della ricorrenza dei defunti, proprio sulla morte.
Dicevo: "Alla morte, alla sofferenza non fa eco il senso di nessun "perché". O si crede che tutto non finisce con questa vita o ci si dispera".
Ho cambiato idea. Ora che è morto mio padre, mi pare vera anche una terza possibilità, oltre la fede e la disperazione. E' quella di andarsene con dignità, certi di aver vissuto bene, appieno, la propria vita.

venerdì 11 gennaio 2008

Non è una storia triste (Epilogo)


Con dignità, com'è vissuto, è morto ieri mio padre, Gino.



Riposa ora, all'ombra di un ampio faggio.


Per me vivrà sempre.





martedì 8 gennaio 2008

Non è una storia triste


Foto by Leonora
Sono debitore, e non solo in questi giorni, nei confronti di molte persone che mi conoscono e che sanno, ma forse sarebbe più corretto scrivere che intuiscono, ciò che accade alla nostra famiglia e che hanno la premura di un gesto o di una parola di attenzione, di affetto.
Chiedo scusa a chi mi ha scritto e a cui non ho ancora risposto. Lo farò, spero presto. Qui voglio lasciare un pensiero che sia per tutti. Se non l’ho fatto, nei giorni o nei mesi scorsi, è per una sorta di pudore, poiché diffido dei sentimenti sbandierati senza riguardo, della compassione a buon mercato e perché non voglio che un fatto così privato, qual è il dolore per un proprio caro che se ne sta andando, divenga mercanzia da dare in pasto, stoffa su cui ricamare invano.
Mi sono ricreduto, stasera, poiché ho pensato che, dopo tutto, questo è un diario pubblico, ma altresì molto privato, un luogo da cui passano molti amici e nel quale un po’ diventano tali anche le persone che non conosco.
Mio padre sta morendo di cancro. Il primo gli è stato diagnosticato cinque anni fa, il secondo, diverso e ancor più aggressivo del primo, due anni or sono. Una malattia temibile, che alla fine ha avuto il sopravvento poiché, come dice lui, “la natura fa il suo corso, l’uomo non può mettersi di traverso troppo a lungo”. Gli ultimi mesi sono stati un pendio ripido. Una quindicina di giorni fa, quando era già assai debilitato, un edema polmonare ha fatto temere il peggio. In ospedale si è ripreso e siamo riusciti a riportarlo a casa per Natale, ma la discesa s’è trasformata in un precipizio. Ha cominciato a camminare con fatica, poi solo se accompagnato, poi niente del tutto; la carrozzina ha sostituito la sedia e il letto la carrozzina; a Natale leggeva i giornali, poi basta giornali e solo un po’ di televisione, oggi neppure quella, soltanto penombra e buio.
Giace così, in un dormiveglia quasi continuo, senza forti dolori, grazie ai farmaci, ma non si nutre, limitandosi con gran fatica a bere, di tanto in tanto.
Non è però una storia triste quella che sto raccontando, anche se mi spaventa il finale, pur sapendo che è già scritto.
Non è una storia triste perché mio padre ha saputo, sa ancora, tenerci per mano e accompagnarci, senza veli, guardando in faccia il male e ciò che gli sta capitando. Non è una storia triste poiché il suo spegnersi pian piano e il suo andare incontro consapevolmente alla morte ci ha permesso, ci sta permettendo un congedo denso, pieno, in cui trova le parole anche il silenzio.
Anche stasera gli abbiamo detto, ci siamo detti, ciò che proviamo per lui, ciò che lui ci ha insegnato; gli abbiamo chiesto e ci siamo sentiti rispondere da lui altrettanto. Ciò non toglie il dolore che proviamo, né mette al riparo dal terrore per come saranno i momenti della restante agonia, del trapasso, ma lo affrontiamo con il cuore in pace, sapendo che tutto è compiuto, che tutto è pronto per il grande salto.