martedì 29 maggio 2012

Sull'onore (piccolo vocabolario dei valori perduti)

Foto by Leonora
La frase è scritta in francese, con caratteri piccoli ma non minuscoli. Tredici parole in tutto, articoli determinativi compresi, che spiegano più di un trattato l'essenza d'un popolo, d'una nazione. "J'atteste sur l'honneur l'exactitude des informations renseignées dans ce formulaire ainsi" . Sur l'honneur. Sull'onore. Per prendere in affitto una delle migliaia di biciclette pubbliche di Parigi è necessario garantire sull'onore di aver inserito i dati identificativi corretti. Una pratica semplice, immediata, scontata e naturale, direi, se non fosse anni luce lontana da ciò che troppe volte accade al di qua delle Alpi. E' così che mi ritrovo stupito a fare clic sull'apposito quadratino che compare nella pagina sul computer, orgoglioso e persino felice che qualcuno mi chieda di garantire qualcosa sull'onore, anche soltanto perché mi ricorda che ogni essere umano ne è dotato, pur se ce ne dimentichiamo, quasi fosse retaggio esclusivo degli uomini d'altri tempi, quelli per intenderci che la biciletta nemmeno sapevano cos'era e giravano vieppiù a cavallo, con cappello a cilindro, guanti di pecari e rendigote. Oggi, sul blog del Cittadino, scrivevo del terremoto e della preoccupazione per questi tempi grami, di crisi economica e - quel che è più grave - sociale. Pensavo agli amici tedeschi incontrati giorni fa, che mi raccontavano come da loro ci sia piena occupazione, tanto che cercano personale senza trovarlo per mesi e mesi. Pensavo ai colleghi francesi e spagnoli e alle loro difficoltà finanziarie così simili alle nostre ma anche alle loro redazioni giovani, alle forze fresche che sanno iniettare, al modo in cui reagiscono, senza piangersi troppo addosso, rimboccandosi le maniche. E pensavo a noi italiani, che pure nelle emergenze sappiamo trarre la parte migliore ma spesso, troppo spesso, dimentichiamo che al mondo esistono parole, concetti, valori quali l'onore, preferendo ad essi quelli legati alla furbizia, alla scaltrezza, alla scorciatoia e al beneficio individuale. Forse la crisi non viene invano, forse possiamo metterla a frutto non scendendo semplicemente dalle scale ma invetendo il senso di marcia, ricominciando a salire.

giovedì 17 maggio 2012

E' da questi particolari che si giudica un giocatore

Foto by Leonora
Come il Manchester City. La partita di ieri del Parè (spareggio "giovanissimi '97" contro il Turate per decretare il vincitore del girone provinciale) è stata quanto di peggio le coronarie possano sopportare. Provo a fare il riassunto di quanto è avvenuto, con una premessa: durante il campionato ha meritato più il Parè ed è stato raggiunto dal Turate, ieri invece per gioco, occasioni, condotta in campo avrebbe meritato di vincere il Turate e la partita se l'è portata a casa il Parè. Che a un minuto dalla fine della partita era rimasto in nove contro undici e perdeva uno a zero, con gli avversari che in più avevano anche sbagliato un rigore e preso due traverse. Una sconfitta annunciata ribaltata prima con il gol dell'uno a uno su punizione e poi incredibilmente vinta per tre a uno, con altre due reti magistrali segnate dal centravanti e una difesa eroica dei superstiti rimasti nei due tempi supplementari. Un risultato incredibile, a dimostrazione che nel calcio, nello sport e pure nella vita direi, non esiste giustizia, ma soltanto bravura e fortuna. E che, come diceva Vujadin Boskov, i bravi ragazzi vanno bene per far sposare le figlie, non sul campo da pallone.
P.S. Sono contento per Giacomo, che nel primo tempo ha vagato per il prato a caccia di farfalle ma nel secondo e nei supplementari ha corso e sputato l'anima. Sono contento per i suoi compagni, nella speranza che abbiano imparato della vita una lezione: mai arrendersi, mai mollare. Sono contento per gli allenatori e per la Parediense, che è fatta di brave persone, generose nel dedicare ai ragazzi tempo e risorse. Mi spiace per i ragazzi del Turate, che ieri ce l'hanno messa tutta ed erano già in paradiso prima di vedere tutto crollare. Mi spiace soprattutto per i genitori dei due ragazzi che, senza giustificazione, con atteggiamenti maleducati, si sono fatti espellere: oltre a tradire i compagni, credo abbiano fatto dispiacere a chi vuole loro bene. O forse è colpa nostra, di noi adulti intendo, che diamo al gioco troppa importanza. In ogni caso, una barriera, una linea di demarcazione tra il giusto e lo sbagliato la dobbiamo segnare. Confido che si siano resi conto da sé e che la prossima volta ci penseranno due volte, evitando di dare in escandescenze e non ripetendo l'errore.

lunedì 14 maggio 2012

Le azioni del bene (o i bastian contrari del buono)

Foto by Leonora
Le azioni del bene. Si fa in fretta infatti a dire: il bene prevale. Affinché avvenga non è sufficiente sedersi in poltrona e attendere, che tanto qualcuno ci pensa. Quel qualcuno, per primi, dobbiamo essere noi. Io. Prima persona singolare. Io.
L'altro giorno, casualmente, parlavo di una persona che conosco e che non stimo, pur se sono grato al male che mi ha fatto, perché grazie a molte persone buone che ho al mio fianco, quel danno s'è trasformato in un trampolino. Ora non lo frequento più ma altri sì, altri che subiscono angherie e ingiustizie, grandi e piccole, e verso le quali sento di avere una responsabilità. E' giusto che io abbia voltato pagina, che abbia tolto la polvere dei sandali e richiuso la porta alle mie spalle, oppure ho il dovere morale di non infischiarmene, di sporcarmi di nuovo le mani, di fare qualcosa per evitare che quel male dilaghi?
La risposta è nei molti libri che ho letto, nei film che mi piacciono, nelle storie che sento più affini al mio animo, agli eroi dei sonni innocenti quand'ero bambino e pure adesso, che mi commuovo quando Frodo si incammina verso il monte Fato e Sam lo aiuta a portarne il peso una volta diventato macigno.
La giustificazione, finora, è sempre stata: "Lascia perdere Giorgio, non dargli la soddisfazione di prendertela, non rischiare il peggio, cioè di diventare a tua volta male, rancore, rabbia. Sei sereno, restalo". Oggi però sento di questo atteggiamento il limite e il comodo e avverto l'esigenza di non accampare scuse, di scuotermi dal mondo ideale e di essere attivo. Le azioni del bene appunto. Anche se costano.

giovedì 10 maggio 2012

Piange il cielo ed è in buona compagnia

Foto by www.lyonora.it
Aldo si ricorda sempre e mi fa piangere, scrivendo come io non saprei, con una delicatezza e un'intensità che mi lasciano senza fiato, nel constatare un'amicizia che non è nemmeno paragonabile alle mie. Vorrei fosse qui, vorrei abbracciarlo e piangere, come non ho mai fatto, e come non farò, per pudore, vergogna, imbarazzo. Non lo farò mai, ma è come se lo avessi mille volte fatto.
La sorpresa quest'anno me l'ha fatta Giovanna, che in dieci parole e un numero ha fatto eco ad Aldo e raccontato tutto: "Domani, 11 Maggio. Un pensiero al caro Gianni, amico e collega".
Io per le date sono un disastro. Ricordo a malapena quando sono nato, il resto è sforzo di meningi o oblio, compresi quei giorni che mi hanno marchiato a fuoco. L'11 maggio è stato uno di quelli, anche se Roberta, Fabrizio e Marinella ne conserveranno più momenti, mentre io ricordo sopratutto le sbarre fredde del letto, la mano che gli tenevo e le lacrime che sono le stesse che mi riempiono gli occhi ora, che mi sembra di averlo davanti, che non ci credo che se ne sia andato per sempre, di non poterlo vedere ridere, sentire la sua voce. No, non può essere tutto finito, non possiamo essere scie fredde di cometa, particelle a casaccio fatte uomo per caso e poi dissolte nel nulla.
Nel frattempo, nell'attesa che sia svelato il mistero, tiriamo dritto, andiamo avanti, senza troppe scene, cercando di portare nel cuore più ricordi possibile, immaginandolo ancora qui, potendogli dire ciò che forse non ci siamo mai detti per bene, cioè che gli volevamo bene, che era tutto per noi, e che abbiamo imparato anche dai suoi difetti, che non se ne faccia un cruccio adesso, che siamo ciò che lui avrebbe voluto, anche se quando ha chiuso gli occhi non lo sapevamo, non immaginavamo di poterlo essere, tante erano le sue aspettative o forse erano soltanto quelle che pensavamo avesse, mentre per lui andavamo bene così e teneva soltanto la corda tesa, per quel suo carattere che non accettava la rinuncia, il ribasso. Vorrei che potesse vedere com'è diventato alto Alberto, che donna ormai s'è fatta Silvia, come gioca volentieri al pallone Christian e che faccia da furba ha Alice. Carne della sua carne, seme che ha dato frutto, che porterà traccia di lui negli anni, in saecula saeculorum, anche se c'è altro, precisamente quel filo che grazie a lui unisce loro a me a mia mamma a Giovanna ad Aldo e alle decine di persone che l'hanno conosciuto. No, non è vissuto invano. E ora, al buio, accanto al mio letto mi pare di vederlo, vestito elegante, ben pettinato, che ride schiacciando un occhio e si appoggia allo stipite per non perdere l'equilibrio. Lo stesso equilibrio che non perdiamo noi, nonostante lui sia da un'altra parte e ci manca un sacco.

lunedì 7 maggio 2012

Siamo una squadra fortissimi


Il calcio può far male (se preso sugli stinchi), rafforzare le ossa (assunto in dosi omeopatiche) oppure unire, com'è avvenuto in questo scorcio di stagione, con più famiglie e almeno tre generazioni attorno a uno schermo piatto e alle partite in diretta della Juventus. Lo dicevo con Loris e con Angelo: se la tv satellite ha un merito è quello che, non avendola tutti, costringe o, meglio, sprona ad unirsi, ad aggregarsi, a fare gruppo. Ch'è poi la storia dei primi televisori, quelli che trasmettevano il giro d'Italia o il Lascia e raddoppia con Mike Bongiorno in bianco e nero (i colori, stasera, non sono scelti a caso), prima che da fenomeno sociale diventasse privatissimo, ciascuno con la sua bella tele, chiuso a casa propria, in contatto soltanto virtuale con il resto del mondo. Il cerchio qui viene spezzato nelle annate buone dei mondiali di calcio ed è tornato a riaprirsi nelle ultime settimane, sempre per il pallone, con le partite serali della Juventus. Un ritrovarsi tra famiglie che ha portato, oltre a tante domenica sera meno tristi del solito, pure uno scudetto, meno di quattro ore fa. Onore ai vinti (l'arcigno Milan), agli alleati che non ti aspetti (l'orgogliosa Inter), ai vincitori (i ragazzi del mitico Conte, a cui spetta un monumento per l'impresa compiuta partendo dal bassissimo). Qui però vorrei ricordare la formazione titolare schierata anche stasera, a casa Bardaglio. In porta Anna, che dalla porta e facendo due rampe di scale andava avanti e indietro. Terzino sinistro, guardando lo schermo, Loris, terzino destro Angelo. Difesa a due centrali, con Laura, spesso in piedi, e il sottoscritto. Linea mediana folta, con Amelio, Federico, Giacomo, Roberta e Silvia sul divano, e da sinistra a destra Stefano, Giorgia e Alberto, dietro la punta unica, l'agile Giovanni, libero di spaziare su tutto il fronte d'attacco, basta non frappoorsi tra la squadra e il video. Fantasista: Isabella, che in quanto a fantasia ne ha parecchia, vedendo un calcio tutto suo. È con questa squadra, perfetta nello schema quattro - cinque - tre - uno - uno, che abbiamo vinto il campionato. In tribuna (in alto in alto, ma il più contento di tutti) nonno Gino, che se fosse stato ancora vivo avrebbe saltato tutto il secondo tempo, non reggendo la pressione, preferendo la quiete del pollaio, salvo poi precipitarsi in casa e saltare di gioia come un grillo, urlando e abbracciando tutti, uno a uno. Un abbraccio che io anche questa sera ho sentito. Forza Juve!

Foto by Leonora

domenica 6 maggio 2012

Ogni cosa a suo tempo (pro memoria per me stesso)

Parlavo ieri l'altro con un amico, un bel ragazzo di trentasei anni (dovrei scrivere "uomo" ma sembra proprio un ragazzo), che è ai ferri corti con la fidanzata ventottenne e sta decidendo se lasciare o raddoppiare. Di solito non sono tipo da raccogliere gran confidenze, soprattutto maschili. Con le donne sì, mi piace mettermi in ascolto, mentre con gli uomini mi sento più in imbarazzo, quasi a disagio. Sta di fatto che essendo entrati per vie traverse in argomento (complice la mia domanda: cosa fai di bello quest'estate?) non ho potuto svicolare accampando scuse o fingendo di perdere i sensi accasciandomi al suolo.
Non è questo tuttavia il motivo per cui lo scrivo, bensì per una risposta che mi ha dato. Questa: "
La mia fidanzata è una tipa tranquilla. Le piace stare sul divano, faccio fatica a farla uscire di casa e a portarla da qualche parte". Ma come - ho pensato - questi hanno venti o trent'anni e giocano a far la coppietta pucci pucci, a recintare la propria intimità tra le mura di un soggiorno, a indossare i panni del pensionato, senza altra pretesa di un televisore acceso, un plaid caldo e magari pure una tisana verso sera, alle dieci e mezzo?
È allora che m'è suonato in testa un campanello: vuoi vedere che la linea continua che conoscevamo - dall'infanzia alla vecchiaia - s'è geneticamente modificata e non si capisce più un cavolo? Il cavolo, anche quello amaro, si comprende eccome. Basta osservare i molti giovani (molti, non tutti) che giocano a fare gli adulti avendo come orizzonte soltanto divano e telecomando. Di contro, esistono moltissime donne e altrettanti uomini dell'età di mezzo (dai quarant'anni in poi) che sono tutti un ribollir di emozioni, che nei casi più disperati non perdono un brunch o un happy hour e in quelli migliori hanno una predisposizione naturale a godersela, a sparar le (ultime) cartucce senza pensarci troppo, perché "la vita è una sola e tutto il resto può andare al diavolo". In questa fascia, ovviamente, ci sto anch'io, non esente da questo piano inclinato che m'è dolce persino, quando riesco tutto sommato a tenere un equilibrio cioè a non scordare che non sono vecchio bacucco o votato soltanto alla casa e al lavoro ma nel contempo neppure pretendo di scalciare come un puledro e imitare Fabrizio Corona nell'eccesso.
Morale: non so se esista una morale. Però al mio amico trentaseienne ho ricordato che il proverbio "ogni cosa a suo tempo" suggerisce di non impigrirsi troppo sul divano, men che meno scimmiottando il gioco "della mamma e del papà" che invece di anni ne hanno sessantuno. Lo stesso vale per me stesso e per i molti miei coetanei (e coetanee), ricordando che un conto è vivere appieno la vita, evitando noia e appiattimento, un altro trasformare lo svago, il divertimento, il piacere di sentirsi vivi, tuttora giovani, in una fuga patetica dalla realtà che termina dieci volte su dieci in un ancora più patetico risveglio.

Foto by Leonora

sabato 5 maggio 2012

In principio la parola (i giochi di parole son venuti dopo)

Il sabato uggioso porta in dote pensieri profondi, tanto profondi che suscitano persino il timore di cascarci dentro. Ne indico uno, ch'è scaturito da un bell'articolo sulla luna piena che questa notte, se non ci fossero nuvoloni spessi, ammireremmo più grande del 16%. Per spiegare il fenomeno si riferiva dell'orbita elittica che essa compie e mentre disegnavo idealmente quella traettoria m'è parso chiaro, evidente che non può essere tutto dovuto al caso, ch'è troppo perfetto, armonico, sincronizzato da essere determinato da un semplice ribollire di gas, da un cozzare di materia che azzeccando l'unica probabilità su un fantastiliardo (espressione paperiniana per definire un uno con una montagna di zeri dietro) ha portato tutto questo ben di Dio. Azz... L'ho detto, l'ho nominato, pur se non invano, ma non volevo tirarlo in mezzo, mi bastava condividere questa sensazione, questo dubbio. Bisogna avere una fortuna pazzesca per azzeccare il numero esatto per vincere la lotteria Italia e ancor più il Superenalotto, figuriamoci per costruire un'intero universo. Pur se non lo capisco (sono in buona compagnia per amor del vero: tutta l'umanità da Adamo in poi almeno), ci dev'essere dell'altro.
Vabbé, non volevo metterla giù dura. Dopotutto, che saranno mai le domande fondamentali dell'uomo ("Chi siamo? Dove andiamo? Ci sarà posto?" riassumeva Woody Allen) per disturbare la stolida quiete a immagine di occhio bovino d'un qualsiasi sabato pomeriggio?

P.S. Come Alkaselzer, visto che a Clara e a qualcun altro erano piaciuti, aggiungo qua qualche altro gioco di parole, di quelli che m'invento nelle notti in cui non giunge il sonno.

Mors tua... Ahia!!!
Natale con i tuoi... Pasqua con i buoi
L'erba del vicino... se l'è fumata lui
Tra moglie e marito... C'è la e
Gallina vecchia... fa l'uovo sodo
Chi di spada ferisce... è maldestro
Una mela al giorno... ha rotto i maroni
Sposa bagnata... un po'... (qui ometto una volgarità)
Se son rose... fanno tre euro l'una
Ride bene... chi non ha i denti guasti
Patti chiari... Walter Smith (questa è per intenditori)
I panni sporchi... puzzano
Chi fa da sé... rischia di diventare cieco
Chi ha tempo... beato lui
Finché c'è vita... devi allargare la cintura
Ogni lasciata... si sente sola
Paese che vai... Fermati!
Scarpe grosse... risuolarle costa un patrimonio
Dimmi con chi vai... Fatti i cavoli tuoi!
Chi non risica... preferisce il Monopoli o il Trivial
Se non è zuppa... ho preparato i crostini per niente

Foto by Leonora

martedì 1 maggio 2012

Fiore di (primo) maggio

C'è chi lo cerca e chi non lo trova, chi ce l'ha e non l'apprezza, chi non lo sopporta, chi lo adora e non vivrebbe senza, chi si spacca la schiena per una miseria e chi approfitta del ventre molle dello Stato per arricchirsi a dismisura senza fare niente (nella migliore delle ipotesi, poiché nella peggiore fa danno).
Io sono tra i fortunati che ne hanno uno tagliato su misura per loro, pur se non sempre è stato così e per anni e anni l'ho desiderato senza raggiungerlo. Parlo del lavoro, a cui il giorno odierno è dedicato, festa senza lustrini, trombette, cappellini buffi e stelle filanti, un primo maggio sobrio, specie in questi mesi di equilibrio precario.
Veniamo da decenni dove averne uno era scontato, almeno dalle mie parti. Bastava un pizzico di buona volontà e qualcosa si trovava, con spesso la prospettiva di migliorare, poiché le brave persone erano contese. Non è più così e ciò che prima era indifferente o addirittura mal sopportato ora lo vedo come un piccolo paradiso, perduto.
Ripenso a mio padre e all'Ambrogio, suo socio. Rispetto a loro ho avuto una vita facile facile, non mi sono mai spezzato la schiena, non conosco il gelo del ferro sulla pelle, d'inverno, né quando brucia, a luglio, né i tagli che ogni tre per due si facevano, la polvere nel naso e il grasso da grattar via dalle mani, a mezzogiorno e la sera, quando si fermavano. Mio padre sopportava benissimo la fatica fisica, lo sforzo di braccia, gambe e busto, mentre soffriva per le pratiche burocratiche, per la contrattazione sul prezzo, per i viaggi in posti che non conosceva e in cui doveva arrivare, col camion. Ricordo che al mattino, dopo la scodella di caffélatte con dentro il pane avanzato il giorno prima, aveva degli strappi di vomito. A vuoto. "E' il nervoso" spiegava, le volte che lo incrociavo e sembravo più preoccupato del solito. Il "nervoso" era condizione che lo accompagnava sempre, anche nell'unica settimana all'anno - a metà agosto - che si prendeva.
Me ne sono ricordato l'altro giorno, quando alla partita di Giacomo ho incontrato Amelio, che di mio papà era amico e quasi coetaneo. Parlavamo di Pep Guardiola, che ha lasciato il Barcellona motivando l'abbandono con la stanchezza per quattro anni faticosi e con la necessità di prendersi qualche mese di riposo. "Alùra ùl to pà e l'Ambroes - mi ha detto Amelio, in dialetto - a dùevan fermàs dudàs an ogni trì mes". Tradotto: allora tuo padre e l'Ambrogio dovevano fermarsi dodici anni ogni tre mesi di lavoro".
Ecco perché questo primo maggio lo dedico a loro, a tutti coloro che non possono fermarsi e a quanti invece fermi lo sono già, non per colpa loro.

Foto by Leonora