venerdì 27 gennaio 2012

Soddisfatti e ripagati (ampiamente, da Gian Paolo Serino e Federico Roncoroni)

Di scosse in questi giorni ne ho sentite tante (tante... due; ma due belle scosse, l'ultima oggi) tuttavia il vero terremoto è stato lui, Gian Paolo Serino, una delle persone che ammiro di più, perché d'una intelligenza mai banale e capace di dire le cose che gli saltano in testa, anche se si trovasse faccia a faccia con sua maestà imperiale.
Questa sera Gian Paolo era a Como, ufficialmente per presentare il nuovo numero di Satisfiction, nei fatti per far trascorrere una serata piacevole alla trentina di persone che si sono date appuntamento alla libreria Ubik per ascoltare lui e il professor Federico Roncoroni.
Senza alcun motivo apparente o comprensibile, se non la generosità dello stesso Gian Paolo, ero invitato anch'io, che nel frattempo ho lasciato Como per Monza ma non me la sono sentita di dargli buca. Con noi, con le sedie girate dalla parte opposta a quella del pubblico, c'erano anche Lorenzo Morandotti, una responsabile della Fondazione Veronesi e una bella ragazza bionda (bionda l'ho intuito da un ciuffo che non ne voleva sapere si starsene accovacciato sotto il copricapo di lana che non s'è tolta un istante) dal collo color latte.

Serino e Roncoroni non mi hanno fatto pentire, istrioni da palco forse più di quanto siano bravi con le parole. Mentre li sentivo parlare mi dicevo: "Davvero c'è qualcosa che non funziona in questa nostra Italia se a questi due nessuno ha mai proposto di fare televisione". Una televisione senza scaletta, spogliata di copione, per niente convenzionale e più spontanea possibile. Roncoroni tiene la scena anche col corpo, camminando avanti e indietro, catturando l'attenzione dei presenti con mimica da attore. Serino ha una voce da doppiatore e dice le cose che direbbe il bambino che indicò la nudità del re, con un candore e una prontezza fuori dal comune.

Dico la verità (non che il resto siano bugie): sarei stato ad ascoltarli senza interruzione. E il bello è che non me ne viene in tasca niente, se non il piacere personale di aver goduto di una presenza di spirito notevole. Ruffiano in dosi omeopatiche, prima e dopo i pasti, Gian Paolo Serino è dissacrante nei confronti di tutti, senza mai dare l'impressione di esser prevenuto, limitandosi ad elencare circostanze alla prova dei fatti.
Così quando la campanella pur senza suonare ha decretato il rompete le righe, mi è dispiaciuto che la serata non continuasse, che quel clima vivace non potesse esser replicato ancora, che tutto si riducesse a uno spot breve, mentre migliaia di canali televisivi pubblici e privati continuano a propinarci brodaglia banale per ore e ore, giorni, mesi, settimane e settimane.


domenica 22 gennaio 2012

L'occhio indiscreto del dubbio

Clementina ha messo del nastro adesivo sulla web cam. Su tutte le web cam. Non si fida. "Chi me lo dice che nessuno dall'altra parte mi spia?" dice sorridente, tenendo fisso nei miei occhi lo sguardo candido ma non ingenuo.
Già, chi glielo dice. Chi ce lo assicura? Io la guardo, la mia web cam, e non gli metto del nastro adesivo, ma essendo del tipo mobile, la giro dall'altra parte, così lei guarda il muro e io scrivo più tranquillo.
Uno dei film più adrenalici che abbia mai visto è "Enemy of the State", tradotto "Nemico pubblico" in italiano, con Will Smith, Gene Hackman e Jon Voight. Non è un capolavoro, però è ben diretto, con bravi attori, una trama intensa e soprattutto, una volta che l'hai visto, il dubbio ti accompagna sempre: "Sarà davvero così, in futuro? Fino a che punto siamo controllati, già adesso?".
Il dilemma non è tanto "legale e non legale" o "lo fanno già o non lo fanno", bensì: "Si potrebbe fare? Praticamente è possibile?". Perché se lo è, poco importa le limitazioni che ci diamo, le autoregolamentazioni. C'è sempre un'eccezione alla regola, un baco nel sistema, un presunto interesse superiore che spezza la catena del giusto e sposta il piano, inclinandolo a tuo svantaggio.
Non so perché mi sono venute in mente queste cose, in questa quieta domenica di gennaio, mente in casa tutti dormono e io continuo a fissare la web cam girata verso il muro, pensando: "Capiterà mai davvero che qualcuno usi quella finestra apparentemente utile, innocua, per entrare nel mio mondo?".

Foto by Leonora

sabato 21 gennaio 2012

La pazienza del masso (erratico)

Una settimana giusta, lontano da qui ma non dal cuore, rintuzzando i cento impegni e con la testa che frulla sempre a mille allora, senza troppe ansie però, come se fossi immerso in qualcosa che mi piace, che faccio volentieri, ch'è adatto alla mia persona.
Riprendo fiato, in questo sabato con il sole basso, che si insinua ovunque nella casa. E' strano come d'inverno, quand'è più pallido, riesca a intrufolarsi facendosi ad altezza di finestra e abbagliando assai più che in estate, in punti delle stanze dove quando è in piena forma non si vede.
Negli ultimi post ho parlato di persone che non ci sono più, non ai nostri occhi almeno. Sopravvivono nella memoria ma si perderanno con il passare del tempo e pur se pare assurdo questa certezza mi consola.
Sul tempo, avendolo, vorrei spendere ancora qualche parola. Esercito in modo particolare, in queste settimane, la virtù della pazienza. Virtù non in quanto tale - poiché a volte è più virtù il decisionismo, l'intraprendenza rapida - bensì quand'è orientata ad ottenere l'obiettivo prefissato. L'immagine che ho fissa in mente, quando sono tentato dallo strappo in avanti, è quella di Un enorme sasso piazzato in un prato, tra Alzate ed Arosio.
Un masso erratico, uno dei tanti che punteggiano il suolo lombardo, arrivato lì chissà quando, chissà come, e stranamente non sepolto dalla natura o dall'uomo. I massi erratici mi affascinano, sono camminatori di altre ere, testimoni silenti di un mondo che non era questo e destinati a sopravviverci in quello futuro, in apparenza passivi, immobili, saldi, in realtà dinamici, anche se per capirli fino in fondo occorre tutto un altro orologio.

P.S. Ieri è stato l'ultimo giorno di lavoro di un amico, Francesco Chillino. Ma di questi parlo nell'altro blog, qui a fianco.

Foto by Leonora

sabato 14 gennaio 2012

Gli amici di Fausto

Non ci ha messo molto il seme buono a mettere germoglio. Me ne sono accorto oggi, in uno stupendo sabato di freddo secco e sole pallido, in val Seriana, sopra Parre, su un pendio prima sconnesso e poi dolce, ampio. Un passo dopo l'altro, una dozzina di persone a lasciarsi l'alba alle spalle per ricordare un amico, Fausto, che proprio un anno fa sulle montagne di fronte ci ha lasciato, in un balzo.
Non c'era tristezza esteriore, solo un vuoto, dentro, specie per coloro che con lui hanno condiviso molto. Un sentimento che non ha bisogno di essere ostentato, limpido come l'acqua nelle brocche che da quelle parti sempre mettono sul tavolo. E' stato lì, seduto su una panca con il bicchiere in mano, mentre tutti gli altri chiacchieravano, che ho pensato due cose. Primo: che la grandezza delle persone è direttamente proporzionale alla loro semplicità. Secondo: che Fausto porta frutto anche da morto.
La conferma è arrivata un paio d'ore dopo, in una chiesetta tanto gelata che hanno lasciato spalancate le porte perché da fuori entrasse un po' di caldo. "Oratorio" si chiama ed era pieno. Saremo stati più di un centinaio, compresa la moglie di Fausto, i compagni del Cai, oltre che i colleghi di lavoro e don Arnaldo, che ha celebrato alla buona, col cuore in mano. C'era un sacco di gente, qualche volto noto, moltissimi gli sconosciuti, ma un unico spirito fraterno. A pranzo non mi sono fermato, ma tornando mi sentivo lieve, rassicurato.
Non tutto è comprensibile a questo mondo, ma spesso mi conforta proprio ciò che non capisco.

Foto by Leonora

martedì 10 gennaio 2012

Quattro anni, un giorno

Quattro. Pensavi non passassi di qua, a lasciare almeno una traccia, un segno?
No, non lo pensavi, sapevi che lo avrei fatto, che tiro sempre in lungo, che rimando fino a che si può rimandare però alla fine non manco mai agli appuntamenti che prendo e anche a quelli che non prendo ma che gli altri si aspettano da me, senza chiedermelo.
Sono passati quattro anni da quella mattina in cui alle domande non hai più risposto. Le ultime parole che ti ho sentito pronunciare sono state il mio nome, "Giorgio" e "nonno". Il tuo, d'un nonno, colui che ti ha fatto da padre e che ti ha cresciuto, quando tua madre lavorava in Svizzera e tornava due volte all'anno. Dalla sera prima avevi chiuso gli occhi e respiravi a fatica, in un sonno profondo che era già agonia, presagio del lutto. Hai chiamato che erano le due e io ero seduto sul divano. "Giorgio". L'hai pronunciaro chiaro, come per accertarti che fossi lì, che non me ne fossi andato. Poi nulla, solo un farfugliare confuso, di tanto in tanto. Un'ora dopo io e la mamma ti abbiamo stretto la mano, quando hai detto "Nonno" e hai riso piano. Sembrava stessi sognando, che fossi tornato bambino. Poi altro silenzio e un ansimare greve, fino alla luce del mattino. Le campane stavano suonando le otto quando hai fatto un respiro più lungo, senza aggiungerne un altro. I bambini erano appena andati a scuola, Isabella era ancora per strada e io e te e la mamma siamo stati per l'ultima volta ciò che per anni e anni siamo stati e sempre saremo: una famiglia, un cuore solo.
Da quel giorno sono cambiate un sacco di cose, la casa, il giardino, il garage, le auto, il lavoro... Mi spiace che tu non sia qui, in carne ed ossa, per vedere come sono diventati grandi Giacomo, Giorgia, Giovanni. Ibis c'è ancora, tornato con la sua cuccia nell'orto, dopo esser stato a lungo in esilio, mentre sua sorella Anubi l'ha presa in affido l'Ambrogio. Mauro e Simona hanno cambiato casa, Giulio continua a lottare con la grinta che gli hai sempre riconosciuto, mentre il Luigi Guffanti è morto, ma questo lo avrai saputo senz'altro.
La mamma tiene duro anche se la tristezza a lei non passa, non riesce ad accettare l'idea che te ne sia andato, che non possa scambiare qualche chiacchiera con te, almeno una volta ogni tanto. Laura è una persona adorabile e non c'è giorno in cui non passi da qui, mentre io cerco di fare giudizio. Anche se non sempre riesco, non scordo le lezioni che in silenzio mi hai dato. La verità è che da quando sei partito tu, aspetto anch'io il mio turno, sperando che arrivi tra cent'anni ma anche che quando sarà il momento non sarò solo, e ci sarai tu a farmi strada, e che chiamerò "papà" così come tu hai detto "nonno".

sabato 7 gennaio 2012

Allacciate le cinture, inizia la discesa

C'è stata un'alba bellissima stamattina. Un cielo limpido con poche nubi rosso fuoco a sud est. Una meraviglia. Lo scrivo qui, in fretta e furia, perché sul sito web de La Repubblica apprendo che dai quarantacinque anni il cervello perde colpi, non dai sessanta, come si credeva prima.
Un drastico calo, è scritto nero su bianco, della memoria e della capacità di ragionare.
Resto stupito ma non sorpreso: i giornali ne scrivono di cavolate! Figuriamoci se a quarantacinque anni, nel massimo della maturità, nella pienezza di facoltà concesse dal connubio tra energia vitale ed esperienza, si inizia già la discesa?
Non credo proprio. Non esiste un indizio, dico uno, che l'ipotesi sia vera.
Sì, ad esser pignoli ci sarebbe la faccenda dello smarrimento della chiave di scorta dell'auto, che mi avevano appena consegnato e un istante dopo era sparita, ma poi l'ho ritrovata!
O quell'altra cosa, giorni fa... Accidenti! Cos'era? Una cosa. Una cosa che ho detto: "Ma come? Me l'hanno appena data e non la trovo più?". Era una cosa, un oggetto, una carta... Ecco, forse una carta! O no? Non era una carta? Era una cosa, l'ho cercata per giorni, rovistando borse, vestiti, mezza casa. Poi l'ho trovata! E mi sono detto: "Vedi Giorgio che non sei ancora stordito, che alla fine ti sei ricordato, che era solo un'eccezione alla regola?".
Ma non era un'eccezione e forse Repubblica ha ragione. Era Repubblica che lo scriveva?

Foto by Leonora

lunedì 2 gennaio 2012

L'essenza (e l'assenza) della memoria

La memoria non ricorda i profumi, in teoria: solo in pratica.
Non come le immagini, i profili, i colori, i volti, che basta chiudere gli occhi perché tornino alla mente, nitidi e foschi, poco importa, ma è possibile risalirne i contorni, la linea, la figura e semmai poi diventa un mosaico da completare, un po' alla volta.
I profumi pretendono l'indicativo presente: la memoria li riconosce soltanto quando l'olfatto ne avverte la presenza e allora diventano degli interruttori, una porta aperta su un mondo a catena, capace sinapsi dopo sinapsi di scovare un volto, un'emozione, una persona, una circostanza a mesi, ad anni di distanza.
Mi accade tuttora di tornare seduto a un banco delle scuole elementari, quando sento la colla Coccoina o l'odore della plastica delle copertine dei quaderni o di essere per un lunghissimo istante nella stanza della zia Carla, appena c'è nell'aria odore di naftalina o acqua di Colonia.
Ci dev'essere una ragione per cui la memoria non ricorda i profumi: forse perché così siamo costretti a cercarli incessantemente. Non potendoli accumulare o risparmiare, l'unica opzione è quella di metterci in moto per ritrovarne traccia. O forse è soltanto un problema di hardware, della difficoltà del cervello a tener conto di tutte le fragranze e riprodurle tali e quali, all'occorrenza. O forse siamo proprio noi, essere umani, ad esser programmati per cogliere e conservare il ricordo delle cose, non l'essenza.

Foto by Leonora

domenica 1 gennaio 2012

Scrivi che ti passa (Il potere terapeutico della scrittura)

"Il potere terapeutico della scrittura". Me l'ha ricordato David, che l'ha sperimentato in prima persona quando l'ombra dell'incertezza, della morte, della malattia d'una persona cara gli ha oscurato l'orizzonte della sua stessa vita.
Il potere terapeutico della scrittura lo conosceva Tolkien, che fa dire a Bilbo Baggins, quando lascia volontariamente l'anello (ed è l'unico, con Samvise Gamgee, a farlo), che dopotutto così sarà libero di terminare il libro che aveva da lungo tempo cominciato.
Il potere terapeutico della scrittura lo tocco con mano io stesso, lasciando qui - quasi ogni giorno - la mia impronta, il calco in positivo della persona che sono, padre, figlio, fratello, amico, uomo perso nel mare d'uomini con l'angoscia nel cuore di non lasciare traccia, pur se con la testa so che la vera saggezza consiste nel perderla, nel fluire d'onda senza resistenze, poiché non esiste risposta ad una sola domanda che conta e non c'è altro destino, a questo mondo, dell'assenza prima o poi di memoria.
Una prospettiva soltanto in apparenza arida, oscura, a cui contrapporsi in ogni caso vale poco, nulla. Tanto vale farsene una ragione e, al più, scriverci sopra.

Foto by Leonora