venerdì 30 novembre 2007

La tv è un Inferno (fortuna che c'é Benigni)


Volevo già scriverlo subito, ieri sera, dopo che ho spento la televisione, ma ho pensato che sarebbe stato un peccato sommare la banalità di altre parole all'essenziale che avevo appena udito.

Mi riferisco allo spettacolo di Roberto Benigni, andato in onda in prima serata su RaiUno: la lettura, preceduta da spiegazione e commento, del quinto canto dell'Inferno, tratto dalla "Commedia" di Dante Alighieri.

Quasi tre ore senza pubblicità, che mi hanno incollato allo schermo. Non succedeva da mesi, forse anni, che non mi alzassi dal divano (divino, divano, solo una vocale di differenza, non ci avevo mai pensato...), senza usare neppure una volta il telecomando. Mi sono ritrovato bambino di colpo, quando la tv era in bianco e nero e per cambiare canale bisognava levarsi dalla sedia e pigiare un bottone e le possibilità di scelta erano tre, se non due: il primo, il secondo e la Svizzera.

Roberto Benigni è stato strepitoso, dimostrando che a un genio non importa il mezzo usato, lo strumento, per trattare temi di cultura, sapienza, passione e intelletto.

Me lo sono gustato e viene voglia di rivedermelo.
C'è un bel passo della Bibbia, in cui Abramo evita il castigo che Dio ha riservato a Sodoma, convincendolo ad usare misericordia se vive in quella città anche un solo giusto.

Nei molti torti che imputo alla tv generalista, primo fra tutti quello di grattare il fondo del barile pur di fare ascolti, pescando nei più bassi istinti invece di volare alto, la presenza di Benigni la giudico un seme buono. Forse non è abbastanza per espiare le colpe di un sistema intero, ma mi pare un buono spunto per partire.

giovedì 29 novembre 2007

20 Feeds all'alba


Piccole conquiste danno soddisfazione. Tra un paio di giorni questo blog festeggerà (tra lui e lui, non dovendo fare eco che a sé stesso) due mesi e racconterò allora cos’è successo nel tempo intercorso.
Apro una breve parentesi ora, per riferire ciò che da oggi ho acquisito: anch’io tengo finalmente nel mirino gli altri blog tramite i Feeds. Ciò che generazioni di blogger hanno sperimentato ed è abitudine che ormai si perde nella notte (non esageriamo, diciamo dalla mezza sera) dei tempi per milioni di internauti, anche per me è realtà.
Ci ho messo due mesi, tra pigrizie e incomprensioni, ma da oggi tramite “Bloglines” vi tengo d’occhio tutti, cari amici vicini e lontani.
Si ringraziano, per i preziosi contributi nell’inquadrare e raggiungere la meta:
Tommaso Tessarolo, che prima ancora che avessi un blog, mentre leggevo il suo libro “NetTV”, mi aveva incuriosito con la storia dei Rss, di cui fornisce esauriente spiegazione per molti, ma non per tutti: io avevo capito benissimo le metafore che aveva usato, senza tuttavia capire un accidente di cosa in effetti fossero;
Wikipedia, che mi spiegato di cosa si trattava, con meno metafore e più riferimenti storici e tecnici di Tessarolo, ma con eguale efficacia;
Francesco Quasi.dot, che nella prima mezz’ora del Pizza Blog ha perso tempo spiegandomi non la teoria bensì la pratica dei Feeds, spiegandomi quanto è utile avere “da una parte dello schermo tutti i contenuti di un blog, e dall’altro la lista aggiornata dei blog che interessano, che si aggiorna automaticamente e segnala i post nuovi;
Gaspar, il cui sorriso di compatimento – sempre durante il pizza blog - mi ha spronato e che mi ha convinto definitivamente dell’utilità che essi hanno, visto che io a malapena stavo attento a una dozzina di blog, mentre lui ne segue abitualmente più di quattrocento;
Elena, che mi ha consigliato “Bloglines
A tutti loro e ai molti altri che, direttamente o indirettamente, hanno contribuito all’ardua impresa, grazia, o come direbbe il mitico Dado: “Grezie, grezie altrettanto”.
P.S. Tale conquista coincide con l’aggregatore Como.Social che Giuseppe Granieri ha gentilmente allestito per noi. Lo ringrazio pubblicamente, anche qui.

mercoledì 28 novembre 2007

La morale di Lyonora


Parole, parole, parole... E se non fosse necessario tutto questo chiacchierare? Lo penso quando guardo il blog fotografico di Leonora (che è la ragazza che vedete qui a sinistra, in un suo scatto).

E domenica, in una bellissima giornata di sole e nebbia, mi è venuto il "trip" di prendere la Minolta (o è una Canon?) di famiglia e andar per prati e boschi e finalmente catturare quell'essenza che non può esprimere alcun verbo.

Tralascerò il fatto che la Minolta (sì, mi sa che non è una Canon) aveva le pile scariche e mi son detto: "Beh, può bastare il telefonino. Ha la videocamera!" e sorvolerò pure sull'altro fatto, cioè che era tardi e invece di avventurarmi per prati e boschi mi sono limitato al giardino. Non annoierò nessuno, insomma, con capolavori a colori o in bianco e nero e foglie secche e alberi spogli che non ho fotografato.

Mezz'ora dopo, mentre avevo le calze zuppe e cercavo ancora di orientarmi tra le "opzioni zoom" del cellulare per immortalare almeno una ghianda, un acero nano, un ramo di pino, è partito il primo flash. Non era quello di una macchina fotografica, però, bensì del mio cervello, che bussava alla scatola cranica per dire: "Ma quanto sei cretino!".

Così sono salito in casa, ho acceso il computer, mi sono collegato a Internet, ho aperto il blog di Leonora e mi sono gustato in santa pace fotografie incantevoli.
Morale: "La bellezza non è soltanto negli occhi di chi guarda, ma anche nella bravura di chi scatta".


P.S. Non era una Canon, e neppure una Minolta. E' una Nikon...

martedì 27 novembre 2007

Consigli per tutti (De Biase 3)


L'ho tenuto nel mirino, l'ho acquistato e ho cominciato a leggerlo.


Ieri sera ho letto primo capitolo e prefazione. Non si tratta di un libro facile, richiede più che la connessione del computer quella del cervello.

In ogni caso, è quello che cercavo, poiché gira attorno a un nocciolo che, rubando le parole allo stesso De Biase, è questo:


La scoperta (la riscoperta?) di una cultura in cui si recupera "il valore del tempo da dedicare alle persone. La sapienza di distinguere quello che vale e quello che non vale. La ricchezza della qualità. L'indifferenza per l'ostentazione. In questa cultura si rivaluta ciò che non ha prezzo. Perché quello che dà significato alla vita non si misura con la moneta: l'amore, la bellezza, la tenerezza, l'amicizia, la passione per fare bene quello che si sa fare". (pag.12)


Basta per dare un'idea? Se non basta, aggiungo questo.


"Questi nuovi modi di pensare passano per le relazioni orizzontali tra le persone, per le testimonianze del volontariato, per i contenuti delle conversazioni tra pari e, anche, per lo scambio di tempo che le persone si donano reciprocamente, contribuendo alla costruzione di un nuovo medium sociale, partecipato, umano". (pag. 13)


Gratuità e scambio tra pari sono due punti cardinali che mi aiutano a mettere a fuoco la linea d'orizzonte della mia vita, compresi incontri e progetti. Ci voleva De Biase (e i coautori, cioè i frequentatori del suo blog) per fare un po' di chiarezza ed estrarre dal magma delle sensazioni un pensiero compiuto.

lunedì 26 novembre 2007

Vieni avanti, Giornalist(ino)


E' proprio vero che mille teste ragionano meglio di una. O almeno aiutano quell'una sola a ragionare. Non è poco.

Da un paio di settimane sto pensando di dedicare un post ad un aspetto della professione giornaistica che, a mio parere, pregiudica gravemente la qualità complessiva dell'intera categoria.

Voglio scriverlo e circostanziarlo, ma poi aspetto e aspetto e aspetto, finché ieri, nei commenti di un blog di una persona che stimo e che leggo sempre, trovo non soltanto uno spunto, ma anche l'occasione già bella e pronta per una riflessione.

Il post è questo e, nei commenti, lo stesso autore aggiunge:


"Ho citato il passato di Vulpio, perchè è importante ricordare che mentre qualcuno - per anni - ha fatto il giornalista precario, sottopagato o non pagato affatto, nelle redazioni di giornali, giornaletti, televisioni locali e uffici stampa, qualcun altro poteva permettersi il lusso di lavorare sottopagato (si chiama concorrenza sleale), perchè tanto avevano il culo in caldo con lo stipendiuccio del posto fisso. Detto questo, io lavoro in Rai e anche sulle pagine di questo blog ho raccontato episodi poco edificanti. Ma questo non significa che tutta la Rai sia da buttare".


Al che, ho scritto anch'io un commento. Questo.

Caro Alfredo, due cose. Primo: grazie al web, e ai blog, per me la "sconosciuta" Basilicata è diventata una regione da prendere ad esempio. Grazie soprattutto a te, ma anche a Granieri, Francesco Goffredo (neolaureato, da Matera) e tanti altri. Secondo: che tu ce l'abbia con Vulpio (di cui non ho letto molto) posso capirlo, ma sul fatto che abbia cominciato come vigile urbano gli va ascritto ad onore, non a demerito. Tu dici "il culo al caldo", ma non è il culo al caldo lavorare per poco più di mille euro al mese e nel contempo dedicare il proprio tempo libero facendo il giornalista. Non so in Basilicata, ma qui da noi, in Lombardia, un problema della classe giornalistica io lo considero proprio questo: che la selezione premia non già i più bravi, bensì chi può permettersi di fare il precario, sottopagato, per una vita, facendo lo "sguattero" di redazione per anni e anni, finch'é assunto per coptazione/compassione. Ciò non significa che così non vengano assunti giornalisti bravi (se è il tuo caso, quello che descrivevi, significa che i precari bravi prima o poi ce la fanno) ma che elevato a sistema di selezione finisce per essere dannoso e fatale. Con stima, Giorgio


Fin qui la premessa. Per la conclusione non mi dilungo, ribadendo soltanto un concetto: la difesa di una categoria, della qualità di una categoria, passa anche attraverso l'individuazione di meccanismi d'entrata rigorosi e non affidati a variabili negative.

Purtroppo l'iscrizione ad un Ordine professionale, con tanto di esame ("no comment" sulle modalità di tale esame!) e neppure la formazione scolastica universitaria offrono garanzie sufficienti.

Conosco molte persone che hanno cominciato e, pur possedendo talenti e doti, hanno poi rinunciato non potendosi permettere una "aspettativa sine die".

Al contrario - ma non farò nomi, tranquilli - potrei stilare un lungo elenco di persone che pure lavorano, senza avere un decimo delle qualità di chi ha abbandonato a metà strada il cammino.

In un mondo qual è l'attuale, con le possibilità che offre l'informazione "diffusa" e il rischio che la professione giornalistica fatichi a ritagliarsi un ruolo riconosciuto ed autorevole, possiamo permettercelo?

Ecco perché resto convinto che sulle modalità d'ingresso (e di permanenza) nel mondo del lavoro ci sia molto da riflettere e ragionare.

domenica 25 novembre 2007

Consigli per l'acquisto (De Biase 2)

Finalmente è arrivato. In libreria, intendo. E' il nuovo libro di Luca De Biase.
Ne avevo già scritto, attendo l'ora di leggerlo.

sabato 24 novembre 2007

Venti righe sotto il mare



Noi giorni scorsi ho ricevuto una mail. Me l'ha spedita David, uno degli amici che ho più cari, anche perché, quando fatico a camminare, mi prende sulle spalle e, quando corro, mi costringe a sostare.

Caro Giorgio, leggo quasi quotidianamente il tuo blog. A differenza di Valeria, non lo trovo triste. Lo trovo profondo e per questo anche impegnativo da leggere. Nell'intensità dei tuoi pezzi trovo però un limite... mi lasciano spesso senza parole, paralizzato, mi lasciano ad una profondità alla quale probabilmente non sono abituato e mi tengono a distanza. Per questo non riesco a scriverti nulla. Forse potresti lasciare qualche "sospeso", qualcosa che permetta agli altri di entrare... invece i tuoi scritti portano in sè una compiutezza, un'interezza che li rende inavvicinabili. Un pò come le vecchie lettere pastorali di Martini o certi editoriali di Scalfari (se non ti offendi, con le dovute proporzioni!). Il pezzo sulla morte e sulla disperazione dei non credenti, ad esempio. Perchè inchiodare i non credenti alla disperazione?

Io ci vengo anche "venti righe sotto il mare" a scoprire la profondità dei tuoi pensieri, tu qualche volta galleggia e lasciati trasportare dal tuo vecchio amico, spalle al mare, sotto questo bellissimo cielo azzurro, verso chissà quale deriva. Ma con leggerezza.



Ti abbraccio, David

venerdì 23 novembre 2007

Consiglio per colleghi (1)


Il futuro dell'informazione è uno tra gli argomenti che, per passione e professione, mi interessano maggiormente.

A Milano c'è il Dada-Day.

Riporto qui un post che ho letto poco fa sul blog di Luca Mascaro e che i miei colleghi giornalisti farebbero bene a sbirciare.

giovedì 22 novembre 2007

Pizza Blog (Capitolo Terzo) The End


Il troppo stroppia e non vorrei tirarla troppo in lungo con il “pizza blog”, trasformando una piacevole serata in un polpettone indigesto.
Un’ultima annotazione, riprendendo spunti letti nei commenti di altri commensali.
I blog sono uno strumento portentoso, così come il Web 2.0 e prima la mail e prima ancora computer, videocamera, macchina fotografica, stampa, carta e penna. Rimangono tuttavia strumenti. Ciò che ha valore è il desiderio di comunicare, di informare ed essere informati, di apprendere, di condividere, di socializzare. Sia che si consulti uno schermo luminoso o il display di un telefonino, sia che ci si incontri “in rete” o in chiesa, allo stadio, in biblioteca, a scuola, al lavoro, in un parco o al bar.
La cosa che più mi ha colpito l’altra sera, non è stato il tempo futuro che all’improvviso, in una sala a tinte arancio di una pizzeria, s’è fatto presente. Né l’ammirazione per il sapere altrui (che pur mi ha impressionato) o la stima per i talenti di cui ognuno dei presenti, in forme differenti, era dotato. La cosa che mi ha colpito di più, l’altra sera, è stata la sintonia umana che si è creata, a prescindere dai rivoli differenti da cui si proveniva e dai diversi orizzonti che ognuno di noi si ritaglia. Una sintonia senza traccia alcuna di omologazione né necessità di stonature per evidenziare la propria originale presenza. Una comunità con interesse comuni - alcuni palesi, altri taciti – fondata sull’inclusione e sull’apertura, senza bisogno di mostrare distintivi e marcare recinti.
Non è un caso che, credo unanimemente, la prima sensazione riportata a commento della serata sia stata la piacevolezza dell’incontro, la naturalezza dei rapporti, il sentirsi bene, a proprio agio.
Non saprei dire, ora come ora, cosa seguirà in futuro, né mi sento di fissare tappe, percorsi. Credo che, come ha scritto Gaspar, non mancheranno occasioni di incontro.
A me piace pensare questo: che la serata di lunedì sia stata un seme. Non so che frutti darà, ma so che saranno buoni.

mercoledì 21 novembre 2007

Pizza Blog (capitolo 2) Work in Progress




Il blog come dieta: fa perdere peso. Senza trucchi, pasticche o altro. Semplicemente monopolizzando la pausa pranzo.

Ritorno volentieri sull'argomento "pizza blog", che sarei tentato di scrivere come ho sempre fatto, con gli schemi che conosco. Quello però è il vecchio mondo e, almeno qui, è giusto guardare avanti.

Tenterò allora un'esperimento: integrare il racconto (che da che mondo è mondo, dalle caverne con i primi focolari fino all'angusto spazio dell'Apollo 11, diletta gli esseri umani) con il contributo degli altri partecipanti, in modo che da canto gregoriano si trasformi in polifonia.

Il futuro val bene una pizza (foto). Poco importa allora se la sera ci si ritrovata stanchi, stufi e un po' spompati: c'è un impegno da onorare e basta trattenere il fiato e fare i dieci metri che portano fino alla porta del ristorante per lasciarsi la malavoglia alle spalle.
Piazza Croggi, Como, a un passo da lago e trenta dalla funicolare. Ore 20.40 di lunedì 19 novembre, "pizza blog". Una ventina di adesioni, la maggior parte da Como e dintorni, un paio di Milano e qualcuno dal Canton Ticino.
Saletta angusta, ma riservata. Tavolo "a elle" e impossibilità fisica di dialogare con tutti. Ci si conosce così, senza preamboli, come le carte estratte a sorte dal mazzo.
Mi siedo e ho a fianco il mio amico/collega
Mauro. Partono le chiacchiere, arrivano alla spicciolata anche gli altri, tutti si sorridono, qualcuno si presenta, qualcun altro stringe la mano. Si chiacchiera con chi ci sta di fronte o a fianco, si ordina da bere, poi da mangiare. Mentre si aspettano le pizze, viene fatto girare un foglio, per raccogliere nomi e blog di riferimento ("aggregatore analogico" lo chiamano), poi, con disciplina, uno per volta ci si alza, si dice il proprio nome e si aggiunge una frase, massimo due, in modo che ognuno abbia un'idea degli altri nella sala. Ecco le pizze (filetti al sangue, per i buongustai elvetici) e altre chiacchiere. Si rompono le fila, qualcuno esce a fumare, ci si siede a casaccio, in modo da scambiare due parole anche con chi era distante, attorno al tavolo. Dolce, caffè, tutti fuori, al gelo di questo novembre. Ci si saluta, ce ne andiamo alla spicciolata, come eravamo arrivati.
Fin qui la cronaca, "nuda e cruda". A "cucinarla" ci pensano tutti, tutti quelli che c'erano intendo.
E allora eccoli qua, qualcuno dei piatti sfornati. Introdotti in ordine assolutamente sparso dal sottoscritto, in funzione soltanto di cameriere.

Giuseppe: collocato nell'angolo ad "elle" del tavolo, arrivato niente meno che in moto da Milano, fotografo e autore del blog "Palmasco".

Roberto: la cui serata Giuseppe ha descritto come meglio non si può.

Elena: organizzatrice della serata, oltre che prima in assoluto ad aver postato (probabilmente tra il dolce e il caffè, mentre noi eravamo distratti)

Francesco: che viene da Matera, lavora a Milano, ma a Como ha trovato casa e oggi, complimenti, si laurea.

Francesco: un altro, che appena arrivato mi ha adottato, salvo poi - una volta che in quel mare "sguazzavo" - concentrarsi sugli altri commensali, dando dimostrazione di assoluta discrezione.

Giovanni: che è di Albavilla e con cui ho scambiato parole una o zero, ma che già mi pareva di conoscere poiché avevo sbirciato nella sua galleria foto Flickr e mi sembrava, pur così giovane, un vecchio amico che da anni non vedevo

Roberto: che ne ho apprezzato lo spirito imprenditoriale quando nella presentazione "ufficiale" ha spiegato
cosa fa e cosa intende fare

Francesco: che ho scoperto solo alla fine - perché me l'ha detto lui - che è figlio di un mio valente ex collega. Francesco che è stato tre mesi in India e che, sorpresa ancor più della precedente, è l'autore di
Como Night

Valentina: che avevo già magnificato in un post di questo blog, ma lei non lo sapeva e l'ha scoperto dopo e mi ha ringraziato, ma per fortuna la serata era già finita e non sono diventato rosso per l'imbarazzo.

Andrea: che di Valentina è il marito e che a prima vista m'è sembrato di conoscerlo e che poi è stato riconosciuto da Mauro Migliavada (Udite, udite! è la prima volta da che lo conosco che l'anti-fisionomista per eccellenza riconosce qualcuno) perché collaborava con "La Provincia" e anch'io mi sono ricordato di averlo visto in qualche conferenza stampa, ma poi ha smesso, perché non si può campare a lungo se ti pagano a pezzo e hai una famiglia e nella vita vuoi andare da qualche parte e non essere trascinato

Andrea: con cui davvero non ho scambiato una parola e me lo sono pure dimenticato nel primo elenco e me ne vergogno, ma era seduto nell'angolo opposto dov'ero io e quando si è presentato mi stava arrivando la pizza e... E' inutile: non ci sono scuse. Per rimediare non lo sfiderò su una discesa ripida con gli sci, promesso, in compenso linko un suo recente post che noi giornalisti faremmo bene a leggere.
Alessandro: che davvero non c'era alla pizza e perciò non devo chiedere scusa di essermelo dimenticato. Ma ora lo aggiungo, poiché avrebbe voluto esserci e in veritò l'ho sentito presente, almeno in spirito (non sarà mica stato lui a mettere quegli euro che alla fine avanzavano e che qualcuno ha attribuito alle capacità taumaturgiche di Elena?)

Elena: che assomiglia un sacco a Sandra Bullock (ma è un complimento scontato, chiunque sia tentato di far colpo su di lei credo debba fare ben altro) e arriva da Padova, ma ha studiato e lavora a Lugano. E non ha un blog, poiché tema di farsi prendere la mano e finire come molti, che scrivono non più solo per piacere personale, schiacciati in un ingranaggio poco umano.

Alessandro: che ha casa a Comerio, provincia di Varese, e mestiere a Lugano e se n'è andato presto, ma non troppo e che ha un
post che fa riflettere su Google.

Leonora: anch'ella mestierante in Lugano, nata e cresciuta però a Rovereto. Fotografa, alle sue
foto è finita per assomigliare persino: colorata, lucida, solare...

Gaspar: che per età e conoscenza ha già un passato alle spalle, ma non lo ha fatto pesare. E' stato gentile senza essere ossequioso, disponibile senza ammiccamenti, utile senza mostrarsi saccente.

Luca: che è di Erba e sviluppa modelli di comunicazione aziendali basati sul web 2.0 ed è timido e ha poco tempo per aggiornare il suo blog perché la maggior parte della giornata gliela porta via il suo lavoro

Donata: giovanissima e ancora alle prese con quella parte della vita in cui strade non ce n'è chiusa nessuna e ha fatto una scuola per programmatrice con altri venti ragazze e sfata il mito che di questi argomenti le donne ci capiscono nulla

Luca: che dopo tre minuti che Mauro tentava invano di fotografare decentemente un foglio, ha fatto lui uno scatto con un telefonino e via bluetooth glielo ha all'istante inviato. Io ci ho parlato poco, in compenso ha chiacchierato a lungo con Mauro, che a un certo punto, serio, si è girato verso di me e mi ha detto: "Questo qui è un genio". Tanto per dire, quando mi ha spiegato che ha fondato un'azienda e gli ho chiesto che studi ha fatto, lui mi ha guardato e risposto: "Studi? Che studi? Io da quando ho diciannove anni ho sempre lavorato". Adesso di anni ne ha ventidue.

E con questo, non è tutto. Alla prossima.
P.S. Essendo nuovo del mestiere, non conosco bene le regole, però credo di aver letto da qualche parte ch'è buona creanza non modificare un post, una volta scritto. Per questo chiedo tuttavia una "clausola compromissoria": più che un post, infatti, è una pagina "wiki" tra me stesso e il sottoscritto...

martedì 20 novembre 2007

Pizza Blog (capitolo 1) L'Incipit


Poche ore di sonno e troppo lavoro in mattinata: due presupposti infausti per raccontare con un minimo di lucidità la serata di ieri sera (primo "pizza blog" della mia vita, ennesimo tentativo di aggregare i blogger in provincia di Como e dintorni).

Tenterò di farlo, limitandomi a qualche spunto, precisando di non aver dato nemmeno uno sguardo ai resoconti altrui, proprio per non farmi in alcun modo influenzare.


E' stata una serata piacevole. Molto piacevole. Voglio scriverlo subito, in modo che questa affermazione faccia da cornice a tutto il resto. Come spesso accade, quando mancava un'ora alla cena, ho pensato: "Mi è capitata bella! Ma chi me l'ha fatto fare di mettermi in pista e rinunciare a una serata di sacrosanto relax, tra le mura domestiche!". Chiunque me l'ha fatto fare è giusto venga oggi ringraziato. Si è trattato di una serata di gradevole compagnia e di incomparabile ricchezza intellettiva e sociale.


Primo pregiudizio da sfatare: i blogger non sono sfigati. Chi se li immagina "Nerds", a loro agio più con una tastiera di computer che nello scambiare due chiacchiere in pizzeria si sbaglia di grosso. Tant'é che, appena arrivato, scorgendo un auto con due persone a bordo, entrambe somiglianti al tecnico dei computer che fa una brutta fine in "Jurassic Park", mi sono detto: "Ecco, ci saranno anche loro". Invece non erano loro. Eravamo una compagnia "normale" (nella foto a margine, la "quota rosa") che poteva radunarsi per condividere la propria esperienza nella blogosfera, ma pure la gita ai Corni di Asso o il corso di tango argentino ("Musica y guapa").


Secondo pregiudizio da sfatare: tutti con un computer e un po' di esperienza ce la la possiamo cavare. Balle! Altro che "bestiario dello scimpanzé", altro che "Neanderthaliano della rete". Peggio, molto peggio mi sono sentito. A quel tavolo c'erano dei geni e comunque persone che sono avanti anni luce rispetto al sottoscritto. Ne ho apprezzato tuttavia il pudore nel non metterla giù dura e, specialmente, l'enorme disponibilità a condividere, spiegare.


Da ultimo, in questo post introduttivo, un'annotazione sulla strana sensazione di sedere fianco a fianco con persone che non avevo mai incontrato prima, ma di cui conoscevo riflessioni, pensieri, stati d'animo, curriculum scolastici e professionali, esperienze di vita e persino foto loro da piccoli o delle vacanze che hanno fatto con la ragazza o insieme ai genitori, mentre tagliano il prato. Troppo per tentare di descrivere in poche righe quel che si prova, ma una cosa posso dirla: ero a mio agio.


Questo è quanto. O meglio, vorrei aggiungere altre cento cose ma comincio ad essere un poco stanco e non vorrei far venire la bolla al naso a nessuno. Per cui "chiudo" e, soprattutto "passo". Nel resto della pausa pranzo mi concederò una capatina nei blog degli altri commensali e nei prossimi giorni manterrò vivo l'argomento, facendo anche nomi e cognomi, perché è una Como (e un Canton Ticino) che merita di essere raccontato nel dettaglio. Promesso.

domenica 18 novembre 2007

Epicuro il saggio



Approfittando della domenica, oltre ai riti festivi, ho trovato il tempo per dilettare mente e spirito con gli “Aforismi” di Epicuro.

Ne trascrivo tre.


  • “Da ogni cosa ci si può mettere al sicuro, ma nei riguardi della morte viviamo in una città senza mura”.
  • “Nei discorsi tra quanti amano ragionare, guadagna chi perde, perché impara”
  • “L’uomo onesto coltiva saggezza e amicizia, l’una è un bene mortale e l’altra immortale”

sabato 17 novembre 2007

Pizza Blog (Capitolo 0) L'Anteprima


Rimando la terza puntata su “giornalismo e buona fama” perché mancano poche ore al primo blog pizza (o pizza blog) della mia vita, che si terrà – lo ricordo, per chi abita nei dintorni di Como – lunedì 19 novembre, alle 20.30.
Essendo un nuovo arrivato nella “comunità globale”, mi limiterò ad ascoltare, cercando di carpire qualche segreto. Pur nutrendo più di una curiosità per la tecnologia e sapendo già che mi troverò di fronte persone che ammiro per intraprendenza e conoscenza, ammetto che è l’aspetto umano quello che più mi interessa. Dietro ogni bit c’è un sentimento, un’emozione, un interesse che muove, sposta, indirizza, dirige, orienta. Considero ciò che sta accadendo non una nuova frontiera, bensì la medesima espressione di socialità che accompagna l’uomo da che mondo è mondo: a cambiare è soltanto la diligenza.
L’idea però di incontrare anche fisicamente persone che non conosco affatto o che ho incontrato da poco mi affascina e nel contempo forse un po’ mi imbarazza. Basterà poco tuttavia per rompere il ghiaccio e sono contento di avere l’opportunità di frequentare gente che non ho mai visto, ma di cui ho stima.

venerdì 16 novembre 2007

La capanna di Bart




Terza puntata sulla “fiducia” e sulla “bassa fama” di cui godono attualmente i giornalisti (ne ho già trattato ieri e ieri l’altro).

Prima però una nota a margine, perché oggi mi ha scritto una mail Valeria, una persona a cui tengo molto e che di me conosce il meglio e il peggio, e commentando per la prima volta questo blog non mi ha nascosto la sensazione di “tristezza” che le suscita.
“I commenti sono sempre pochi e sempre dei soliti” così mi ha scritto.
Le ho risposto che poco me ne importa. Non è un balcone su una piazza che cerco. Piuttosto, un ripostiglio. Una capanna su un albero, tipo quella di Bart Simpson. Un luogo dove ritirarsi ogni tanto, dove ospitare qualche amico persino e lasciare un segno di presenza, qualche post it, a futura memoria, soprattutto per me, forse perché divento vecchio e mi trovo esattamente in mezzo al guado: ho superato quei giorni in cui si crede di avere avanti a sé tutto il tempo immaginabile per lasciare in eredità qualcosa di fondamentale, che merita di esser conosciuto al mondo, e non sono ancora entrato in quell’età in cui ci si rende conto che tutto passa e ciò che merita di essere conosciuto al mondo è proprio ciò che non è possibile mettere per iscritto.
Scrivo per me, insomma, anche se sono grato (e assai) per tutti coloro che mi accompagnano, che danno una sbirciatina ogni tanto e a volte addirittura aggiungono del loro. Vi considero amici, anche se non vi conosco.

E ora che mi sono fatto prendere la mano, non ho più testa per dedicarmi alla terza puntata. Peccato. Avrei voluto scrivere di un caso giudiziario e della responsabilità che come giornalisti abbiamo. Lo farò in un altro momento, anche se avrei preferito farlo oggi, giornata in cui ho saputo che un collega, storico cronista de “La Provincia”, Alessandro Galimberti, se ne andrà al Sole 24 Ore.

Personalmente di Galimberti ho sempre apprezzato la preparazione, ma per essere tra i miei preferiti gli manca quella “sensibilità umana” che i grandi hanno e di cui scrivevo giorni fa. Parere personale, senza alcuna invidia. Per la nuova avventura, il migliore in bocca al lupo.

giovedì 15 novembre 2007

Questione di fiducia


Si fa presto a dire "fiducia".
Innanzi tutto, come scrivevo ieri, la concessione di fiducia è soggettiva, nel senso che dipende a chi la si accorda. Ci sono persone che godono della mia fiducia "a pelle", senza troppi orpelli, e altre che devono conquistarsela. In entrambi i casi, è la prova dei fatti a fare da discrimine.
L'altro giorno ho scritto un giudizio positivo su una persona che conosco da qualche anno, prima per motivi professionali e successivamente in maniera più personale. Mi sono sbilanciato perché, in tutto questo tempo, nei miei confronti si è sempre comportato correttamente, con coerenza tra parole dette e atti compiuti. Non essendo onnisciente, è naturale che il "banco di prova" sia limitato al sottoscritto. Posso anche presumere, conoscendo per primi i miei difetti, che anche quella persona non ne sia esente (d'altra parte, come ho letto da qualche parte, l'uomo di profondo ha questo: che in ognuno coesistono un angelo e un demonio). Ciò non toglie che gode della mia stima e dunque della mia fiducia.
Pur riconoscendo nel giudizio una scala di variazione (tra il bianco e il nero esiste il grigio, a volte più chiaro a volte più scuro) è indubbio che lo spartiacque esiste per ogni persona, classificata o al di qua o al di là di un'ipotetica linea di fiducia.
Ciò vale nei rapporti personali, come in quelli di lavoro.
Prendiamo, per fare un altro esempio, la contrapposizione di questi giorni tra Comune e Provincia di Como, sul caso Trevitex.
Venerdì scorso, durante una trasmissione in diretta il sindaco di Como, Stefano Bruni, ha attaccato pesantemente l'operato di un funzionario dell'Amministrazione Provinciale, Giuseppe Cosenza, che a suo dire in una relazione tecnica mandata in Regione ha "diffamato" l'ente municipale, tanto che è di ieri la notizia che la Giunta ha dato mandato a un avvocato di valutare se esistano gli estremi per procedere legalmente.
In quel caso, non possedendo gli elementi completi e circostanziati per dare un giudizio dei fatti, l'unico appiglio che mi si offre è quello dell'esperienza. L'architetto Cosenza, ad esempio, in tanti anni che faccio questo lavoro, è sempre stato corretto nei miei confronti, né sono mai venuto a conoscenza di comportamenti discutibili né tanto meno riprovevoli, per cui non ho motivo di dubitare della sua assoluta correttezza. Fino a prova contraria, ha la mia fiducia. Ciò non toglie che, nello svolgere il mio lavoro, devo dare conto dei fatti, senza lasciarmi influenzare da giudizi e opinioni personali.
Avere la possibilità, su ogni questione, di poter definire il "quadro di riferimento" del giornalista che si occupa di una o dell'altra vicenda, credo sia utile, oltre che segno apprezzabile di maturità e trasparenza.
Se è difficile immaginare per ogni articolo scritto mettere in "allegato" una sorta di carta d'identità del giornalista, credo che un blog possa soddisfare efficacemente il desiderio di chiarezza da parte di chi scrive e, soprattutto, dia una possibilità chiave al lettore per porre domande e dunque farsi un'idea migliore di ciò che legge, di ciò che avviene.

mercoledì 14 novembre 2007

In Press we trust (or not?)


Curiosando tra i blog alla ricerca di qualche spunto per l'Etg di giornata, mi imbatto in un post interessante di Luca De Biase, sull'incapacità di autocritica dei giornalisti e sul senso di responsabilità dei blogger.


Lo leggo, appoggio le mani dietro la nuca, mi stiro sulla sedia e penso a questo nostro mestiere e, più in generale, alla convivenza umana, che è fatta di relazioni, di rapporti, che oscillano di volta in volta tra due estremi: da una parte il sentimento di "fiducia", dall'altro la "diffidenza".

Sovente è l'esperienza a determinare lo sbilanciamento a favore dell'uno o dell'altro polo, spesso invece, in assenza di informazioni o per velocizzare le decisioni, è il pregiudizio a prevalere.

Ci sono persone che a pelle mi vanno a genio e devono proprio combinarne delle belle per farmi cambiare parere, mentre altre devono provare più volte la loro correttezza prima di conquistare la mia fiducia (che, in genere, è concessa in regime di libertà condizionata).

Se questa pratica può subire variazioni soggettive nella relazioni personali, quando si tratta di un resoconto giornalistico l'attinenza ai fatti non dovrebbe avere sconti.

Per farla breve, Prodi mi può stare simpatico e da elettore gli perdono tutto, compreso essersi alleato con Diliberto, Pecoraro Scanio e persino con Mastella, ma se una legge del suo governo è inadeguata come giornalista ho il dovere di scriverlo. Compito ancor più arduo, se uno non ha proprio il cuore di pietra, quando si tratta non di personaggi visti da lontano, bensì di persone che ti abitano a fianco, con cui ti trovi a bere il caffè ogni giorno.

In questo senso, i giornalisti non dovrebbero avere amici.

Uso il condizionale, poiché rimanere fedeli al principio non è facile e vorrei evitare qualsiasi supponenza nel giudicare me stesso e gli altri.

Fondamentale è l'equilibrio. Ci sono colleghi che ammiro, poiché armati di cappa e soprattutto spada, menano fendenti che è un piacere, ergendosi a paladini di verità e giustizia, al punto da pagare di persona per il loro agire intrepido. Tra essi, però, la mia preferenza va per coloro che accanto alla virtù del coraggio rivelano una capacità di esser "vicino" all'altro, chiunque esso sia, rispettandone la dignità umana, a prescindere da ciò che ha commesso.

E' questo il doppio binario sul quale si muove, sommariamente, il mio giudizio riguardo ai colleghi e, soprattutto, è l'ideale di giornalista a cui aspiro.

Lo scrivo qua, per pochi amici, condividendo ciò che scrive De Biase e non più tardi ricordava il suo direttore, Ferruccio de Bortoli, affermando che i media - e i giornalisti - non pare godano in questi tempi di buona fama.

Paghiamo un prezzo alto ai troppi servi e, di contro, fatichiamo a mantenere equilibrio quando si aprono spazi di libertà.

Un tema, questo, sul quale mi piacerebbe ritornare.

martedì 13 novembre 2007

Qualcosa di buono, qualcosa di Como


L'esperienza blog prosegue e, pur un tantino impigrito nei confronti della tecnologia, i giorni si sommano ai giorni, le parole alle parole.
Approfittando di questa pausa pranzo, non mi metterò di nuovo alla berlina pubblicando "gioie e dolori, scoperte e imbarazzi di un blogger attempato" (a volte mi diverto ad elencarle nel dettaglio, ma non vorrei alla fine risultare stucchevole, apparendo come un orango alle prese con il flipper o come un bimbo buontempone che ad ogni piè sospinto sussulta e grida: "Mamma, guarda: un link!" o "Papà, papà, che cos'è un tag? Me lo compri? Dai!").

Piuttosto, vorrei parlare di una buona notizia, proprio quelle che faticano a trovar spazio sui mezzi di informazione tradizionali.

Già in qualche post precedente ho sottolineato l'esistenza di una Como dinamica, preparata, competente, sensibile, attenta agli sviluppi della tecnologia ma altrettanto sensibile ai valori della convivenza umana.
E' una Como che stenta ad essere riconosciuta e raccontata, a cui mi piacerebbe prestare voce, se non un vero e proprio megafono.

C'è un giornale, ad esempio, un mensile di assoluta qualità, intitolato "TALE&A" che ogni mese esce in edicola e di cui si trova anche un'accurata edizione on line (da cui ho tratto la foto che vedete qui sopra).
Come recita il sottotitolo, gli argomenti principali sono "territorio e ambiente lariano, edilizia & architettura".
Ora, non mi dilungherò nel farne un resoconto: chi vuole può dargli un'occhiata senza staccare la mano dal mouse. Ciò che mi preme invece è tessere un elogio alla persona che più di ogni altra questa rivista l'ha voluta e realizzata e che, in un certo senso, gli assomiglia.
Sto parlando di Sergio Pozzi, che non fa il giornalista, né il designer, bensì l'imprenditore nel settore edile e in particolare di cave, sbancamenti di terreno, materiale "inerte". Ebbene, mai ho conosciuto una persona che per occupazione professionale dovrebbe essere "terra, terra" (in tutti i sensi) e invece riesce a guardare lontano, ad avere una "visione" persino.
Tanto per ripetere ciò che a questo proposito mi dice Mauro Migliavada, il Consorzio Comense Inerti è stata una delle prime attività imprenditoriali ad aprire un sito Internet, ormai tanti anni fa, quando il Web 2.0 era ancora nella mente del creatore e il Web 1.0 aveva i calzoni corti.
Sergio Pozzi non è un guru o un profeta, semplicemente un uomo di affari senza paraocchi e con un'attenzione, una sensibilità culturale (scriverei "sociale", ma non vorrei che il termine fosse frainteso) che altri si sognano.

"Il ballo..." in sei frasi


Terminato anche l'altro romanzo breve di Raymond Radiguet, "Il ballo del conte d'Orgel" (Peruzzo Editore, 1995), ne riporto le frasi che ho sottolineato.


  • Pag. 124 "In poche parole, Francois viveva esattamente la sua età. E, di tutte le stagioni, la primavera, se è quella che sta meglio indosso, è anche la più difficile da portare".

  • Pag. 126 "Vivere una fiaba non meraviglia. Solo il suo ricordoce ne fa scoprire il miracolo".

  • Pag. 160 "... loro opponevano la stizza al suo entusiasmo: la carrozza era sporca, un attore non sapeva la sua parte... Gli intenditori devano lamentarsi, pensavano. Ed è ahimè! ciò che dal basso in alto pensano tutti".

  • Pag. 162 "Semplicemente, la signora de Séryeuse non nutriva contro la pigrizia il pregiudizio che nutrono gli umili".

  • Pag. 169 "Il conte d'Orgel nasceva a un sentimento nuovo. Aveva sempre evitato l'amore come una cosa troppo esclusiva. Per amare ci vuole tempo libero, e le frivolezze si accaparravano il suo".

  • Pag. 176 "Ci sono degli esseri come i mari; negli uni, l'inquietitudine è lo stato normale; altri sono un Mediterraneo, che si agita solo per un po' e poi ripiomba nella bonaccia".

lunedì 12 novembre 2007

Ferruccio e noaltri "under attack"


Sabato, come ho già scritto, hanno premiato il collega Mauro Migliavada al Circolo della Stampa, con il premio "Guido Vergani".
Sabato era un giorno particolare e avevo scelto di non andare alla cerimonia, però, parlando con Isabella nella tarda sera del venerdì, ci siamo detti che non sarebbe stato giusto mancare. O meglio, l'amico Mauro avrebbe capito, ma per il collega Migliavada era giusto che qualcuno della tv fosse presente, per cui sabato mattina c'ero e n'è valsa la pena.
Innanzi tutto per le parole di Ferruccio de Bortoli, direttore del Sole 24 Ore, nonché della giuria del premio, il quale ha in tre minuti dato un senso non soltanto al riconoscimento, non soltanto alla cerimonia, ma a un intero mestiere.
"Testimoni civili della verità" sono stati definiti da de Bortoli i cronisti premiati. "Perché la verità va sempre detta, anche se è scomoda, soprattutto se è scomoda anche per sé stessi".
Era accalorato de Bortoli, mentre parlava, pur mantenendo quell'aplomb, quello charme che lo contraddistinguono, mentre parla aggiustandosi il ciuffo e muovendo nell'aria gli occhiali che mette e toglie e tiene nelle mani.
"Il cronista corre un pericolo e mi pare sotto attacco, generalmente screditato persino - ha detto de Bortoli (le frasi non sono però testuali) - ma proprio per questo è corretto sottolineare i limiti del cronista, ma anche le virtù. Poiché sarebbe una società peggiore senza quelle persone che fanno il lavoro di giornalista, che aiutano a capire i cambiamenti della società e a immaginare il futuro, dove essa andrà. E' grazie al giornalista che così veniamo a sapere che esiste una nuova Italia fatta di persone nate altrove, di uomini e donne venute da lontano, che hanno diritto di cittadinanza e che vogliono costruire un paese migliore. Ma è anche grazie allo stesso giornalista che è possibile raccontare come c'è un rovescio della medaglia, fatta di paure, di preoccupazioni per l'ondata migratoria che rischia di mettere in ginocchio la parte più debole di questa nostra società".
E' stato elegante ed efficace insieme, de Bortoli. Che ha ribadito il diritto/dovere di informare e di essere informati, sollecitando la lezione che fu, tra i tanti, di Enzo Biagi: "La verità non va taciuta. Mai."
Poi è venuto il turno di altri discorsi e della consegna delle targhe e dei premi in denaro (Mauro ha ricevuto un assegno di 1000 euro, ma - non avevo dubbi - ha deciso di dividerlo con tutti noi della redazione, poiché proprio lui, che nel caso specifico è stato il più brillante a recuperare la notizia, sa com'è la squadra che conta e che da soli, in questo mestiere, si fa poca strada).
Ben tre i comaschi (li vedete nella foto) tra gli otto premiati.
Gisella Roncoroni, del quotidiano "La Provincia", per l'inchiesta sulla presenza di amianto tra le macerie della Ticosa.
Paola Pioppi, de "Il Giorno", per l'intervista a Rosa Bazzi, poi rea confessa per la strage di Erba.
Mauro Migliavada, di Etv, per aver fatto parlare Olindo Romano, marito di Rosa Bazzi, e anch'egli reo confesso per la strage di Erba.

domenica 11 novembre 2007

11 novembre 1972



Giorni di anniversari.
Oggi, ad esempio, sono esattamente trentacinque anni che abitiamo nella casa costruita da mio padre, per buona parte il sabato e la domenica, con sacrifici che ora si stenta persino a rammentare.
Era l’11 novembre del 1972. La casa era a malapena conclusa, tranne per alcuni aspetti che allora non erano considerati essenziali. Mancavano le porte, ad esempio. C’era il celophane e il gasolio da riscaldamento costava poche lire al litro, per cui i caloriferi andavano giorno e notte. Noi – e per noi intendo noi tre, mio padre, mia madre ed io, dormivamo al primo piano, nel locale destinato a diventare la “sala” nelle intenzioni del geometra Pietro Berbenni, un buon uomo, abile a progettare, quasi avesse lo stampo, case a pianta quadra, tutte eguali, tanto che nei nostri paesi ne abbondano.
I serramenti giunsero qualche giorno dopo, così come la porta d’entrata. I ladri tuttavia non incutevano timore, sommariamente perché nulla c’era da rubare. E nonostante allora qui fosse aperta campagna e mia madre si lamentasse non poco dei disagi e della desolazione tutt’attorno, tanta era la voglia di indipendenza, di metter piede nella nuova abitazione, che ostacoli non se ne trovarono per rimandare il trasloco di armi e bagagli (bagagli pochi, arma nessuna).
I pochi mobili e le supellettili dell’appartamento in affitto in centro paese vennero caricati in breve tempo sul camion dell’Ambrogio, un Leoncino Fiat rosso fiammante.
Fu un anno di novità epocali, per me, che da poco più di un mese andavo a scuola e avrei avuto nel volgere di un paio di settimane, anche una stanza tutta mia.
La casa è ancora la stessa pur se subì un sostanziale cambiamento interno ad inizio anni Ottanta, quando fu completato anche il pian terreno e venne dipinta di bianco la facciata, mentre circa cinque anni fa partitorno i lavori per ampliarne i locali, con modifiche anche della parte esterna, l’aggiunta di un sottotetto, l’adeguamento ai criteri ecologici per quanto riguarda illuminazione e riscaldamento, oltre che una bella mano di giallo a sostituire il candido che ormai non era più (quella che vedete è una foto scattata da Roberto & Laura) .
Sono passati trentacinque anni da quel giorno di San Martino in cui dormimmo qui per la prima volta. Mio padre ricorda pure cosa mangiammo per cena: risotto.

sabato 10 novembre 2007

Regalo di compleanno


Oggi è un giorno speciale, non tanto perché è il mio compleanno, bensì perché alle 10.30, al Circolo della Stampa di Milano, in Corso Venezia 16, il mio collega Mauro Migliavada riceverà il riconoscimento che gli spetta in quanto secondo classificato nella categoria Radio-Tv del prestigioso premio Guido Vergani 2007 (presidente della giuria, Ferruccio de Bortoli).

Un risultato ottenuto per essere riuscito, il 3 gennaio scorso, a intervistare Olindo Romano, successivamente identificato come uno degli autori della strage di Erba.

Non sta a me, essendo io di parte, rimarcare quanto il riconoscimento sia meritato, non tanto e non solo per quell'intervista, ma per tutto il lavoro svolto da Mauro (e mi permetto, a ragion veduta, di aggiungere anche da Marco Romualdi e Manuela Brancatisano e Marina Moretti) nel seguire passo passo indagini e sviluppi della strage di Erba.

Sono orgoglioso di averli per colleghi, sono orgoglioso di far parte di quella squadra, sono orgoglioso di come lavorano. Da loro imparo molto, ogni giorno. Non gliene sarò mai abbastanza grato. E a pensarci neanche troppo bene, il premio che domani daranno a Mauro è per me un bellissimo regalo di compleanno.

venerdì 9 novembre 2007

"Il diavolo..." in quattro frasi


Un po' per dovere professionale, un po' per personale diletto, quando leggo un libro sottolineo le pagine che più mi incuriosiscono.

Terminato "Il Diavolo in corpo" di Raymond Radiguet (Peruzzo Editore, 1995), riporto qualche frase in ordine sparso.


  • Pag. 22 "Mio padre e i miei fratelli si erano annoiati, ma che importava? La felicità è egoista".

  • Pag. 63/64 "L'etichetta di corte è piuttosto semplice, come tutto ciò che è nobile. Ma nulla eguaglia in enigmi il protocollo del popolino".

  • Pag.67/68 "Ma l'amore è pigrizia benefica, come la molle pioggia che feconda. Se la gioventù è ingenua, è perché non è stata pigra. Ciò che indebolisce i nostri sistemi educativi è che si rivolgono ai mediocri, a causa del loro numero. Per una mente in movimento la pigrizia non esiste. Io non ho mai imparato di più che in quelle lunghe giornate che, dal di fuori, potevano sembrare vuote, e in cui osservavo il mio cuore novizio come un arricchito osserva i propri gesti a tavola".

  • Pag. 73. "Me ne avvalsi come quei despoti che s'inebriano di un nuovo potere. La potenza si dimostra solo usandola con ingiustizia".

Per concludere, aggiungo che più del libro in sè mi è piaciuta la biografia dell'autore, talento precocissimo e morto a soli ventidue anni.


giovedì 8 novembre 2007

Second life, first conference


Dopo settimane d’inerzia, finalmente ho riscoperto il gusto di leggere un romanzo. Ieri sera ho tolto dallo scaffale una vecchia edizione de “Il diavolo in corpo” del francese Raymond Radiguet, amico di Jean Cocteau, nato ad inizio Novecento, morto a ventidue anni dopo aver scritto opere pregevoli e vissuto giorni inquieti. Essendo breve, l’ho quasi terminato, ma oggi non ne parlerò.
Preferisco continuare il discorso iniziato ieri, parlando del confronto fra cittadini informati e giornalisti indaffarati.
Nel blog di Gaspar (nota bene: sia Valentina, di cui scrivevo ieri, sia Gaspar sono di Como: altro che città morta. Sovente siamo noi i “morti”, che non sappiamo raccontarla…) leggo il resoconto del dialogo sul futuro dell’informazione, a cui ha partecipato anche Massimo Razzi, vice direttore di Repubblica (incontro che si è svolto su Second Life). Ottimo anche il riassunto su Webgol di Antonio Sofi.
Molti gli spunti interessanti. Ne segnalo due.
Primo: il modello di business tramite pubblicità on line è sostenibile oppure no.
Secondo: a fronte delle centinaia di giornalisti che lavorano a "Repubblica" per produrre il giornale cartaceo, nella redazione web sono poche decine.

Solo una nota a margine: a me risulta che ai giornalisti del gruppo L’espresso - Repubblica, primo caso in Italia, sia già stato inserito nel contratto una sorta di riconoscimento per l’impegno profuso nello sviluppo della sezione web. Se qualcuno avesse notizie a riguardo, sarei grato volesse segnalarmelo.
Intanto, sul tema informazione e futuro, segnalo l'evento Web 2.0 Expo di Berlino, che seguo attraverso i blog di Luca Conti, ma anche di Luca Zappa (un altro comasco!)

mercoledì 7 novembre 2007

Valentina e i "Golia"


Morto Enzo Biagi non se ne fa un altro. Ma molti altri crescono.

E non mi riferisco alla stretta cerchia dei colleghi, pur eccellenti, pur premiati, pur meritevoli, bensì all'universo mondo dei cittadini competenti, che hanno qualcosa da dire e lo scrivono pure.

Da qualche mese, al mattino, oltre a leggere i giornali, "apro" alcuni blog (una dozzina) alla ricerca di nuovi post e sovente, come sottolineato in un post di alcuni giorni fa, rimango stupito dalla quantità/qualità di informazioni reperite.

Quantità, dunque, ma anche qualità.

Un esempio. Valentina, il primo novembre, scrive un post sull'immigrazione. Per farlo, come ammette lei stessa, legge i giornali e anche i rapporti da cui i dati sono tratti. Il riassunto che ne fa è assai più dettagliato, preciso, rigoroso di quanto riportano i "media" tradizionali, pure quelli autorevoli. Anche le conclusioni sono differenti, addirittura capovolte rispetto a ciò che giornali e telegiornali hanno titolato.

Ora, non conosco Valentina, ma so come spesso lavoriamo noi giornalisti, pressati dalla necessità di fare tutto "in fretta e bene", dove non di rado la seconda parte del buon proposito è sacrificata a scapito della prima. Se a ciò si aggiunge la necessità di "pompare" l'informazione, con titoli ed incipit ad effetto ("Dovete scusarci - scriveva Michele Serra, parlando dei giornalisti - come quasi tutti gli spacciatori, siamo drogati anche noi") è lecito temere che nel confronto "Valentina vs Mass Media" la peggio tocchi ai Golia dell'informazione.
Non lo scrivo compiaciuto. Tutt'altro. Mi pare un tema che in futuro - e anche nel presente - potrà difficilmente essere ignorato da parte di chi fa questo mestiere.

martedì 6 novembre 2007

Capitani coraggiosi



Oggi è morto Enzo Biagi e se ne va, insieme con lui, un mondo.


Ho letto quasi tutti i suoi libri, considerandolo un maestro e apprezzandone sempre le frasi asciutte, lo stile anglosassone, la passione per le storie, più che per la Storia, e il senso dell'ironia.
Mi ha fatto piacere ascoltare, quest'oggi, il ricordo di Emilio Fede, che in teoria avrebbe dovuto essere di Biagi l'esatto opposto e invece il medesimo giornalista emiliano aveva voluto sul palco, in occasione dell'ottantesimo compleanno, considerandolo uno degli otto testimoni della sua lunga carriera professionale. E' stato lo stesso Fede a ricordare come fu Biagi a farlo assumere al Tg1, chiamando al telefono l'allora presidente Bernabei e minacciando, se non lo avesse fatto all'istante, di dimettersi dalla direzione del notiziario nazionale.
Non ha mai avuto timore di dimettersi, Enzo Biagi, di lasciare la strada certa per quella stretta, impervia, magari in salita. In un tempo qual è l'attuale, in cui - io per primo - prima di lasciare un pur misero seggiolino ci si pensa e ripensa, aggrappandosi fino allo stremo persino, fosse solo per il coraggio dimostrato in tanti anni, in molte circostanze, Enzo Biagi merita stima, rispetto.

Quando poi, nel discuter tra amici, qualcuno obiettava che nei suoi articoli abbondavano le ripetizioni, nel senso che leggevi pensieri già usati dallo stesso Biagi in passato, non potevo controbattere che non fosse vero, ma aggiungevo che mai una volta - e sottolineo: mai una volta - m'è capitato di leggere qualcosa di Biagi senza trovarvi una scintilla di originalità, di nuovo, di vero.
Ho ammirato e imparato da Biagi, pur se mi rendo conto di aver perso il periodo più fecondo del suo mestiere di cronista, quello in cui i ricordi pesavano meno delle aspettative di vita.


Ecco perché, nel tentativo di emularlo, mi rendo conto di aver dato ampio spazio, forse troppo, alla passione memorialista.
Peccato che, come dicevo stamane ad un amico, lui di aggrapparsi ai ricordi aveva diritto, poiché era Biagi, aveva girato il mondo e puntava ai novant'anni, mentre io sono arrivato da poco ai quaranta e del pianeta, al massimo, ho bazzicato il quadrilatero Como, Grandate, Lurate, Montano Lucino.
Ecco perché, morto Enzo Biagi, non se ne fa un altro.

domenica 4 novembre 2007

"Sono numeri grandi"


A proposito di anni Settanta: amici di famiglia, capitati non a caso a far visita in questa domenica, mi ricordano che pochi metri più in là dell'Alimentari Baserga, c'era il Giordano.

Giordano Tettamanzi, calzolaio.
Una bottega senza vetrine e con una porticina affacciata dove la via era più stretta e non batteva il sole. Due locali in tutto, ombra fuori e polvere dentro, con odore di colla sintetica che deve aver contribuito non poco a porterselo via a cinquantanove anni compiuti, quel pezzo d'uomo del Giordano, grande e grosso e pelato. Aveva pure un mento imponente e teneva sempre sei o sette chiodi in bocca, mentre con la sinistra teneva suola e tomaia e con la destra batteva metodico il martello, alla luce tenue di un sola lampadina, di venticinque watt, polverosa anch'essa e perciò ancor più fioca. Non parlava, il Giordano. Al massimo mugugnava, pulendosi le mani nel grembiule nero e lercio, per dire sempre e soltanto tre o quattro cose.

Nell'ordine: "Un momento, che arrivo", quando entravi in negozio e mostravi di aver fretta, mentre lui imperterrito continuava per cinque, dieci minuti a finir quello che aveva iniziato. E più ti mostravi impaziente, più lui palesava calma in ogni gesto.
Il Giordano non aveva il senso della premura.

Poi: "Questo qui è vitello!" esclamato tenendo la scarpa tra le mani e curvandola fino a che il tacco toccava la punta. "Questo qui" era sempre "vitello", fosse pelle di armadillo, bue muschiato o cartone pressato.
Il Giordano non aveva il senso del tatto.

Ancora: "Questo qui è l'ultimo modello", sussurrato mentre soffiava via un dito abbondante di polvere, evidentemente accumulata in un decennio. E quando erano davvero "alla moda" era anche peggio. Fu così che un giorno degli anni Cinquanta, al bar Cooperativa, si ritrovarono in una dozzina con le stesse scarpe a punta tonda, color oro, acquistate in stock dal Giordano in quel di Cirimido, e rivendute per la festa della Madonna Bambina, con tanto di sconto. In paese non furono soltanto giaculatorie e preghiere quel giorno.
E se oggi "Il diavolo veste Prada", già allora, il Giordano, riusciva a fargli le scarpe. Ma non aveva senso estetico.

Infine: "Sono numeri grandi!" proferito ogni volta che chiedevi il 38 e lui aveva solo il 37. Perciò quasi sempre, per un immutabile legge per cui le scarpe presenti in bottega non avevano mai la dimensione del piede che le doveva calzare. Il socio di mio padre, l'Ambrogio, uno dei più grandi lavoratori che abbia conosciuto, passò tutto un inverno con le calze sottili, di cotone, patendo freddo e geloni, per non aver saputo obiettare nulla all'acquisto di un paio di scarponi troppi stretti, che avrebbero dovuto essere un 43, ma arrivavano a malapena al 42, però avevano "I numeri grandi".
Il Giordano non aveva neppure il senso della misura.

Gatto (Arturo) di marmo



Trovo su BarSauro un post divertente, sui ricordi di chi è nato a fine anni Sessanta, inizio Settanta.
Mi ci ritrovo in pieno, con la tentazione di aggiungere qualcosa di personale al molto già scritto.
Negozio di alimentari Fratelli Baserga. Formaggino Mio, Tigre, Susanna. Biscotti Plasmon. In regalo c’era anche la maglietta del Plasmoniano. Si chiamava Fratelli Baserga, ma dietro il banco vedevo sempre due sorelle: Enrica e Lucia. Vendevano tutto, dal pane al salame Milano. E i Polarini, stringhe di plastica contenenti acqua colorata, che le mettevi nel comparto del frigo dove si formava il ghiaccio (il freezer non l’avevano ancora inventato e i frigoriferi erano bassi, quanto le lavatrici adesso) e poi te le succhiavi in santa pace, prima della merenda delle quattro.
La merenda era pane e Nutella, dispensata in vaschettine di plastica, simili nei materiali a quelle che vendono oggi, ma più spartane: non avevano la vaga forma di barattolo, limitandosi a riprodurre un’essenziale rettangolo.
Alle cinque iniziavano i programmi della tv, che aveva due canali: il Primo e la Svizzera.
Sul Primo, alle 5, c’erano i documentari, in cui la voce fuori campo di un bambino faceva domande al papà che rispondeva. Erano documentari che non richiedevano di viaggiare lontano. Niente tigri, serpenti, leoni, bensì animali mansueti, domestici: la mucca, il maiale, il tacchino. “Papà, perché il gatto graffia? Perché ha unghie affilate, che servono per arrampicarsi sugli alberi e catturare piccoli roditori”. Per realizzarli, più del National Geographic, bastava il giardino.
Sulla Svizzera, invece, imperversava il Gatto Arturo, un uomo con maschera marroncina da felino e una maglia a strisce colorate che gli arrivava fino ai piedi. Ora lo ricordo con affetto, ma sarei falso se aggiungessi che del Gatto Arturo ho memoria di alcunché di significativo. Nulla, non faceva nulla che meritasse un emozione, un applauso: ci incuriosiva, ma non ci ha mai strappato un lampo di curiosità, di interesse, tanto meno un sorriso. Non parlava, sembrava un gatto triste. Era svizzero.
Poi la televisione, che si accendeva pigiando un bottone a una scatola grigia e pesantissima chiamata “il trasformatore”, non la vedevi più, fino a “Il Carosello”.
Era un mondo in bianco e nero, i colori però li vedevamo lo stesso, tanto che quando i vicini si dotarono di moderno Tv Color (era già il 1978) non capivamo il perché di una simile spesa quando anche noi, col bianco e nero, i cartoni animati e le partite di calcio le vedevamo perfettamente, sapendo che il prato era verde e la maglia della nazionale azzurra, mentre quella di Zoff era grigia, dopo esser stata per anni nera. Poi alla teoria seguì la pratica, il Tv Color fu acceso e noi, invitati a guardare Goldrake, comprendemmo in un flash che la finestra da cui avevamo guardato fino ad allora il mondo era un bluff scialbo. Un amico di famiglia, che non poteva permettersi un televisore moderno, ma neppure tollerava di continuare a subire il bianco e nero, adottò un espediente che ebbe un certa fortuna, per qualche tempo: montare un foglio di plastica gialla davanti al video. Vidi così, al terzo piano di un condominio di via Casale, la finale dei Mondiali di Argentina, per il terzo e quarto posto. Con un gol da lontano, vinse il Brasile.
Monocolore, in quegli anni, non era soltanto un tipo di governo.

venerdì 2 novembre 2007

Due appigli


Foto by Leonora
Il 2 novembre non centra nulla, né il fatto che in questo mese che m'assomiglia sono più tetro di Leopardi (come mi ha scritto giorni fa, David), né ancora l'appellattivo coniato per me dal collega Romualdi, secondo cui sono "l'uomo dei necrologi".
Oggi ho voglia di scrivere due parole sulla morte. Per elencare gli unici due appigli che, quando ci penso, impediscono la caduta nella disperazione.
Il primo è una scommessa. Alla morte, alla sofferenza non fa eco il senso di nessun "perché". O si crede che tutto non finisce con questa vita o ci si dispera. Tra le ipotesi, io mi aggrappo alla prima, poiché è l'unico modo di non andare a fondo, di restare - nonostante tutto - a galla.
Il secondo è una constatazione. Nessuno rimane su questa terra. E' come un immenso fiume, fatto di miliardi di uomini e donne, e prima o poi ognuno giunge dove il corso dei suoi giorni, impetuoso o quieto che sia, incontra la cascata, il salto nel vuoto. Questa ineluttabilità, non so bene perché, mi rassicura. O forse il perchè lo so, posso immaginarlo. Della morte, infatti, tra i molti aspetti che spaventano c'è anche la solitudine del trapasso estremo. In quel momento, davvero siamo soli. Pensare almeno di non essere unici, di replicare dopo tutto un gesto da millenni ripetuto e che per millenni, se siamo fortunati, si ripeterà.