mercoledì 14 novembre 2007

In Press we trust (or not?)


Curiosando tra i blog alla ricerca di qualche spunto per l'Etg di giornata, mi imbatto in un post interessante di Luca De Biase, sull'incapacità di autocritica dei giornalisti e sul senso di responsabilità dei blogger.


Lo leggo, appoggio le mani dietro la nuca, mi stiro sulla sedia e penso a questo nostro mestiere e, più in generale, alla convivenza umana, che è fatta di relazioni, di rapporti, che oscillano di volta in volta tra due estremi: da una parte il sentimento di "fiducia", dall'altro la "diffidenza".

Sovente è l'esperienza a determinare lo sbilanciamento a favore dell'uno o dell'altro polo, spesso invece, in assenza di informazioni o per velocizzare le decisioni, è il pregiudizio a prevalere.

Ci sono persone che a pelle mi vanno a genio e devono proprio combinarne delle belle per farmi cambiare parere, mentre altre devono provare più volte la loro correttezza prima di conquistare la mia fiducia (che, in genere, è concessa in regime di libertà condizionata).

Se questa pratica può subire variazioni soggettive nella relazioni personali, quando si tratta di un resoconto giornalistico l'attinenza ai fatti non dovrebbe avere sconti.

Per farla breve, Prodi mi può stare simpatico e da elettore gli perdono tutto, compreso essersi alleato con Diliberto, Pecoraro Scanio e persino con Mastella, ma se una legge del suo governo è inadeguata come giornalista ho il dovere di scriverlo. Compito ancor più arduo, se uno non ha proprio il cuore di pietra, quando si tratta non di personaggi visti da lontano, bensì di persone che ti abitano a fianco, con cui ti trovi a bere il caffè ogni giorno.

In questo senso, i giornalisti non dovrebbero avere amici.

Uso il condizionale, poiché rimanere fedeli al principio non è facile e vorrei evitare qualsiasi supponenza nel giudicare me stesso e gli altri.

Fondamentale è l'equilibrio. Ci sono colleghi che ammiro, poiché armati di cappa e soprattutto spada, menano fendenti che è un piacere, ergendosi a paladini di verità e giustizia, al punto da pagare di persona per il loro agire intrepido. Tra essi, però, la mia preferenza va per coloro che accanto alla virtù del coraggio rivelano una capacità di esser "vicino" all'altro, chiunque esso sia, rispettandone la dignità umana, a prescindere da ciò che ha commesso.

E' questo il doppio binario sul quale si muove, sommariamente, il mio giudizio riguardo ai colleghi e, soprattutto, è l'ideale di giornalista a cui aspiro.

Lo scrivo qua, per pochi amici, condividendo ciò che scrive De Biase e non più tardi ricordava il suo direttore, Ferruccio de Bortoli, affermando che i media - e i giornalisti - non pare godano in questi tempi di buona fama.

Paghiamo un prezzo alto ai troppi servi e, di contro, fatichiamo a mantenere equilibrio quando si aprono spazi di libertà.

Un tema, questo, sul quale mi piacerebbe ritornare.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Caro Giorgio sono troppo stanco per leggere il post di De Biase, ma ho letto il tuo e lo condivido in pieno.
Ma l'argomento è da approfondire.
Magari domani.... oppppsss... oggi, volevo dire.