sabato 25 settembre 2021

Spalle larghe (La resistenza del tarassaco)

Sono mute, cieche. E non camminano, non scodinzolano, non fanno le fusa, né si mettono a pancia in su o spalancano gli occhi, creando una linea del cuore tra noi e loro.
Ci somigliano poco o niente, sono dappertutto, eppure passano quasi sempre inosservate, nemmeno ci accorgiamo che ci siano.
Le piante, le erbe, sono compagne silenziose, maestre che insegnano senza proferire verbo, semplicemente facendosi osservare, chiedendoci lo sforzo di un pensiero.
Come il tarassaco, che resiste verde smeraldo, rigoglioso, sparso nel prato, anche in piena estate, quando tutto attorno è secco.
È un’erba come uno scrigno: racchiude acqua e pure un segreto: quello della resistenza, della capacità di trattenere ciò che gli serve, senza che si disperda, che evapori sotto il sole a picco di luglio e agosto.

P.S. Ti tengo una mano sulla spalla, mentre mi sei seduto accanto, a tavola, nel mezzo dell’ultimo pranzo, prima che riparta per l’Irlanda, terminata la vacanza che hai fatto, un ritorno a casa breve ma intenso.
Gli altri ridono, parlano, tu li ascolti, non io.
Per un istante sono distratto da tutto e concentrato su altro: la larghezza delle tue spalle, i fasci dei tuoi muscoli, la forma di quella carne generata da me, ma che non mi appartiene, che resta figlio ma si è fatta uomo.
Ne avverto sotto il palmo il calore, la consistenza, la forza, la tensione, pur a riposo.
Un lampo di malinconia m'attraversa, la consapevolezza che tra poco te ne andrai, ci lascerai di nuovo.
Poi però mi riconcentro sulle sensazioni del palmo della mano, ti guardo di traverso, grande e grosso come sei, e insieme a una tenerezza infinita ritorno sereno, ripensando al tarassaco in giardino, alla sua capacità di resistenza, che è anche la tua, la mia, la nostra, potenzialmente di qualsiasi essere umano, capace di racchiudere gli affetti, i legami, i desideri, le aspirazioni, trattenendoli per i tempi lieti e ancor più, quando capitano, per quelli grami, di bisogno.

mercoledì 15 settembre 2021

La pazienza (egoista) del faggio

Luce. Acqua e nutrimento dalla terra e luce. Cerca questo il faggio, sia esso solitario, nel mezzo del giardino, o tra simili, nella selva o nel bosco, stendendo i propri rami verso il cielo, superando ogni altro arbusto e facendo in modo che attorno gli cresca poco o nulla, a contendergli ciò di cui ha più bisogno.
Spazio. Un suo spazio, che ricava e difende, senza urto, con la travolgente efficienza della perseveranza paziente, l’identico stillicidio della goccia che scava nella roccia un buco.
Centro. Il faggio non aspetta che qualcun altro lo metta al centro, diventa esso stesso centro, ovunque sia piantato.
Ciascuno di noi, specie in un tempo di fretta incalzante e di ansia, qual è il nostro, dovrebbe imparare un po' dal faggio, dal suo sano egoismo nel cercare luce, mettersi al centro, ritagliarsi uno spazio.

P.S. Un faggio è come un bimbo o un cane, un gatto, un animale domestico, con una differenza: necessita di cure, ma non per se stesso. Le cure occorrono se si vuole evitare che crei sotto di esso il deserto, che faccia sparire poco a poco il prato. Chi pianta un faggio lo faccia sapendo che dovrà rinunciare all'erba oppure proprio per questo, poiché non dovrà mai preoccuparsi di tagliarla, altrimenti dovrà spazzare quantità enormi di foglie e altre sostanze minute, che cascano con regolarità certosina e in modica quantità per tutta estate e diventano marea in autunno. Ecco la ragione per cui lo amo e lo detesto, al tempo stesso.

giovedì 2 settembre 2021

La consistenza del prato (Auguri Giulia)

"Ho letto un articolo, le dieci erbe più infestanti: nel nostro prato ce ne manca una".
Sorride Paola mentre riporta le parole del marito, che un metro più in là scuote la testa, rassegnato e divertito.
Ripenso a questa scena mentre ho le ginocchia a terra, zuppo, intento a "tagliare" una zolla come fosse uno scalpo, per togliere da sotto il terriccio, abbassare il livello del piano e riuscire finalmente ad riaprire il cancello, bloccato da un tempo infinito.
Nel corso degli anni le graminacee hanno avuto il sopravvento, con le loro radici coriacee, formando trame spesse, compatte.
Quel tessuto è modello per le nostre comunità, un'unione che fa la forza, contro lo sfaldamento.
Poiché anche i fili più sottili, compresi quelli d’erba, diventano robusti, resistenti, quando s’intrecciano.

P.S. Oggi è il tuo compleanno, ventisei anni, la parte migliore della nostra famiglia, come ti ho definito a tavola, parlando ai miei figli, i tuoi cugini.
Alla limpidezza di sguardo e alla generosità di cuore, tu aggiungi infatti l'insistenza nel cercare l'altro, nel creare relazioni, occasioni di incontro. 
Sei, per tutti noi, ago e filo, evitando che ciascuno proceda a lungo per conto suo, trasformando gli steli esili che siamo in un tappeto robusto, fitto.
L'augurio che ti faccio, Giulia, è proprio di non scordare mai questa qualità, di continuare a coltivarla, restando ciò che sei, una curatrice naturale, un seme rigenerante, buono.

mercoledì 1 settembre 2021

Pietre tombali (Il destino della pesantezza)

All’aperto, nel prato, in giardino, con i fiori, le piante, imparo sempre ed è un'imparare innanzi tutto a pelle, sulle mani, nella schiena.
Poi viene la testa.
In genere con un’intuizione, lasciata a metà, sospesa, un abbozzo, una perla grezza di cui si comprende il valore senza misurarne la portata.
Una "rivelazione" ad uso personale, senza pretese di universalità alcuna, uno squarcio di verità che mi illumina i pensieri, talvolta pure la via, facendomi riconsiderare azioni, opinioni, convincimenti.
In questo mese di settembre, che per molti è anche un anno che inizia, vorrei metterne un po’ in fila, a futura memoria, condividendoli, sapendo quanto è vago il confine che separa la saggezza dalla banalità e accettando il rischio che vanga oltrepassato, senza pudore, vergogna.

Comincio dalle pietre, siano esse le enormi lastre di ardesia che segnano un sentiero nel prato di casa o il masso di granito trovato anni fa in uno scavo e posto in bella evidenza, sotto l’ulivo, di lato alla porta d'entrata.
Un’imponenza, la loro, una consistenza, una compattezza, che in teoria dovrebbe mettere al riparo dal passare del tempo, dalla caducità a cui sono sottoposte tutte le forme di vita.
Sbagliato.
Il peso è per esse forza, ma nel contempo condanna.
Impercettibilmente, in un processo che dura a lungo e non si coglie se non con il passare degli anni, vengono pian piano inghiottite dal terreno, sprofondano, scompaiono poco a poco alla vista.
È la vita, la minuta esistenza di centinaia di creature - talpe, topi, ragni, bruchi, vermi, insetti, parassiti, funghi, erbe, radici… - che sotto esse trova riparo e un granello per volta sposta la terra, erode il basamento, si rimpossessa dello spazio occupato con tanta sicumera da chi supponevamo forte, stabile, immutabile, invece affonda.

P.S. Dedicato alle nostre certezze, a coloro - io per primo - che vantano su tutto convinzioni “granitiche”, rifiutandosi di porle al vaglio del dubbio, della prova, ignorando che ponendole con pesantezza, come "pietre tombali", se ne sancisce nel nome il destino: quello appunto della scomparsa, della tomba.