martedì 24 novembre 2020

L'invisibile agli occhi (Mani nel terreno)

Ne ero certo, ne avevo già scritto, quel post l'ho ritrovato qui, scoprendo che conserva identica forza, la stessa attualità e verità di cinque anni addietro.
Con un distinguo, di cui mi sono reso conto sabato scorso, a contatto con la natura, come in questa stagione mi piace fare appena stacco dalla redazione, dall'ufficio.
Un pensiero che m'è venuto ginocchi a terra, curvo, le braccia tese a strappare la radice d'un rovo, dopo che scavando con le dita ne avevo svelato le diramazioni spesse, profonde, ampie più di un metro, diventate ceppo, cresciute a ridosso della recinzione, tanto tignose e arcigne che per averne ragione ho dovuto spenderci sudore e impegno.
Mentre lo facevo, mentre tiravo e sbuffavo, ho ripensato a ciò che avevo a suo tempo intuito, al male simile al roveto, ostinato, pervicace, invasivo.
Per averne ragione, per tenerlo a bada, resta buono il consiglio di tenerlo rasato, troncandolo di netto quand'è ancora tenero, tuttavia non avevo idea di quanto possa essere forte, possente, robusto quand'è invisibile agli occhi, radicato nel terreno. 
Un ragione in più per restare vigili, per non sottovalutarlo, ricordandosi che le apparenze a volte ingannano e oltre la superficie sovente c'è un mondo ignorato, che prospera nel buono e nel gramo.

P.S. C'è un altro pensiero partorito in giardino, quello che - a guardare le cose con più distacco - io sono il male, la morte anzi, che spezza, che mozza, che pota, che sradica, e non il rovo, che invece è la vita che sprizza, che si genera sempre, continuamente, con maggiore ostinazione di quanto possa fare l'intervento dell'uomo. Una constatazione che per un verso sconforta, per un altro rallegra: nell'alternarsi tra vita e morte la parola ultima è della prima, che sgorga di continuo, in eterno.

lunedì 16 novembre 2020

In verticale (Tu, laureato)

A quest'ora le luci si sono spente tutte, tranne quella del tuo sorriso, così ampio, così limpido.
Da oggi sei dottore, la corona di alloro da portare qualche ora, il diploma da appendere al muro, una laurea per la vita, mille ricordi d'università che ti faranno compagnia, in futuro.
Ciò che dovevo dirti di più sincero te l'ho scritto, soltanto per te, consapevole che il meglio di quanto provo non hai bisogno di leggerlo, lo conosci nel cuore, per quel legame insondabile che unisce padre e figlio.
Qui aggiungo un appunto per tutti coloro che pensano di non potercela fare, che si arrendono agli inciampi, che si lasciano tarpare le ali dalle difficoltà e dalle persone ottuse o meschine incontrate lungo il cammino, comprese coloro che dovrebbero essere d'aiuto e invece si dimostrano l'esatto contrario, una zappa sui piedi, pietra attaccata al collo.
Sei nato e cresciuto in una famiglia che ha creduto in te, ma niente ti è stato regalato.
Sei arrivato in cima agli studi con l'ardire e la cocciutaggine degli scalatori in verticale, quelli che hanno una meta nel cuore e proseguono un appiglio via l'altro, senza timore di stare per un istante sospesi nel vuoto pur di aggrapparsi a uno spuntone di roccia o a un solco nella parete e salire oltre il bordo del dirupo.
In passato quello odierno sarebbe stato il traguardo, oggi è una tappa - una pietra miliare - di un cammino di formazione infinito.
Per questo sono orgoglioso di te e felice al tempo stesso. Non tanto per il "pezzo di carta" ottenuto, bensì poiché hai dimostrato in questi anni di essere curioso, capace, intelligente, perseverante. Un uomo, insomma. E non soltanto uno studente modello.

P.S. Ho scelto la foto con tua madre, poiché nessuno più di lei è contenta per questo tuo risultato, nessuno più di lei conosce la resistenza e l'ostinazione di volare alto anche quando la sensazione è di schiantarsi al suolo. Che il suo esempio ti sia sempre utile, nei giorni in cui c'è luce, come oggi, ma soprattutto quando diventa buio.

mercoledì 11 novembre 2020

L'estate di San Martino (La natura che aggiusta)

Al mio compleanno, da che sono nato, segue il giorno che nella tradizione contadina si dedicava al trasloco, con i lavoratori stagionali che lasciavano la cascina, la casa padronale, con la natura entrata a riposo e poche braccia necessarie a mandare avanti tutto.
È per una coincidenza che in questa data mi sia trovato ad entrare nei locali dove tuttora abito, e oggi, quarantotto anni dopo, riscopra pienamente il contatto con la terra, il gusto di mettere fisicamente mano all'erba, alle piante, al giardino.
Un piacere che in parte ha sostituito quello della lettura, l'unica esperienza che fino ad ora mi permetteva di distrarmi da tutto, di rilassarmi, di riparare, di "aggiustarmi", in qualche modo, entrando e vivendo un altro mondo.
Non so se durerà, se il desiderio irrefrenabile di accantonare tutto e di prendermi cura del prato, dell'orto, delle aiuole, del bosco, sentendomi con la natura un essere unico, durerà a lungo, se sarà un fuoco di paglia o goccia che scava la roccia, che cambia non soltanto l'esterno di casa oppure l'essenza di ciò che sono, dentro.
Faccio pochi calcoli, come ho scritto ieri, "vivo l'attimo", avvertendo tuttavia il germoglio di un cambiamento profondo e intravedendo all'orizzonte il desiderio di essere un uomo diverso, con differenti obiettivi, priorità, la volontà di rifuggire l'ansia, lo stress, togliendo dal piedistallo la carriera, la posizione, il denaro, il comando, entrando più in armonia con il mondo, assecondando la ruota che gira, da sempre, sentendomi parte di un tutto.
Sono sulla soglia di quella stagione di vita tra estate ed autunno. Sto diventando vecchio.
Mi fa un poco paura, ma non mi dispiace affatto.

P.S. L'undici novembre ricorda San Martino, santo guerriero, famoso per avere diviso il mantello con chi aveva freddo. In quel mantello diviso io vedo tuttora un simbolo, il segno del materiale che non può, non deve essere fonte di divisione, piuttosto deve essere diviso, poiché esiste qualcosa di più grande, importante, essenziale, buono. Uno scrupolo attuale oggi, in questo tempo in cui sempre più il denaro rischia di diventare la misura di tutto. Il contatto con la natura insegna pure questo: a mettere in giusta scala il valore del possesso, dell'armonia, del tempo, dei fini, del mezzo.

martedì 10 novembre 2020

Il giorno più bello (Sogno o son desto)

È stato semplice, spartano. Il più semplice, il più spartano e insieme il più bello, vissuto senza imprese straordinarie, a contatto fisico o mentale con le persone a cui tengo, godute di persona oppure tramite messaggio, al telefono.
Oggi, meglio di così, non potevo immaginarlo, comprendendo alla fine che sono diventato più grande davvero, più vecchio, maturo, anche più contento.
Pur bravo che possa essere, le parole non potranno mai raccontare appieno lo stupore, la scoperta, il valore dell'incontro, le emozioni, le sensazioni, le esperienze che ho provato. Quelle esistono soltanto nel presente, nell'istante in cui si provano, poi fatalmente scivolano, si polverizzano, svaniscono, esattamente come all'alba un sogno, i cui contorni man mano si dileguano, tessere di domino che cadono ad una ad una, scenografie di teatro che man mano affondano nel mare sterminato dell'oblio.
Resta nella carne il ricordo di qualcosa di piacevole, bello, senza tuttavia un contorno definito.*
È una memoria di etichetta, di copertina, non di sostanza.
Accettarlo, rinunciare a trattenere ad ogni costo, essere consapevoli che comunque tutto passa, badare piuttosto a vivere l'attimo, è sapienza antica e insieme mai compresa del tutto.
Oggi però l'ho fatto. Domani non ricorderò bene tutto, nel dettaglio, ma che almeno qui rimanga traccia che oggi, per il mio cinquantaquattresimo compleanno, sono stato felice, a casa tutti insieme, al telefono o per messaggio - visti i tempi - con le altre persone che amo, il pomeriggio in giardino, a piantare erica e curare le aiuole in vista dell'inverno, guardando "Fargo" (il film) la sera, scartando molti regali e andando a letto sereno, cominciando un altro sogno, non sapendo dire in tutta onestà se più vago o reale di quello vissuto a occhi aperti, durante il giorno.


* Abbiamo timore della demenza, di diventare anziani e di incappare in quel male che ci riporta all'incapacità di ricordare tutto, come bambini di pochi mesi o come le piante, senza renderci conto che così lo siamo già, nella sostanza. È una questione di misura della memoria, di differente approssimazione, non di differente destino. Una constatazione che non mi mette tristezza. Al contrario, è così che affronto con più ottimismo il futuro.

domenica 8 novembre 2020

Da brivido (E non per il freddo)

In questi giorni vederti con la maglietta a maniche corte mentre raccogli le foglie del faggio e dell'acero, mette i brividi e non soltanto per una questione di temperatura, per quel tuo avere freddo raramente.
I brividi vengono dal sentimento, dall'osservarti preciso, solerte, giudizioso, mentre svolgi un compito che nessuno ti ha chiesto, che ti sei auto assegnato, mostrando spirito di intraprendenza da ragazzino, abbinato a meticolosità e ostinazione da adulto.
L'unico merito, se possono ascrivermene uno, è quello di aver imitato mio padre, che mi dava fiducia, che lasciava mi mettessi alla prova con tutto, non tenendosi la parte più interessante con la scusa che ero un bimbo.
Sono sprazzi, non voglio vincolarti alla reiterazione costante dell'impegno, non resterò deluso se domani non vorrai continuare ciò che hai completato ieri e oggi, poiché so che a dodici anni ci si stanca con la medesima velocità con cui ci si mette alla prova su tutto.
Anche così, pure se tornerai a interessarti del cellulare o della playstation più delle faccende in giardino, so che quel contatto ti ha segnato, che il lavorare la terra, prendersene cura, è stato piantare un seme nel tuo, d'un giardino, quello interiore, che richiama inconsciamente a qualcosa di utile, gioioso, buono.
E quando sarai adulto, dimentico di me e del ragazzo che sei stato, sentendo il profumo delle foglie d'autunno o la sensazione del terriccio sul polpastrelli, lo assocerai a un momento felice, un istante in cui gli altri ti hanno guardato con ammirazione e tu sei andato a letto la sera sereno, con una pace dentro, dovuta all'aver portato a termine, bene, un lavoro.
Quel giorno forse un brivido lo sentirai, ma ancora una volta non sarà per il freddo.

giovedì 5 novembre 2020

Le tue prigioni (Diciott'anni, oggi)

Sei colui che forse più m'assomiglia - spero soltanto nei pregi - e il tuo compleanno è speciale fin da quando sei venuto al mondo, lo stesso giorno di mio padre.
Il cinque novembre è più di una data.
Il cinque novembre per me è il punto di sutura che trasforma due segmenti in una linea, cucendo a filo doppio il figlio e il padre che ho avuto e il padre e il figlio che resto, tuttora, nonostante da una dozzina d'anni con le dita non possa più sfiorare il palmo duro e il dorso morbido delle mani di tuo nonno, eppure ogni volta che ci penso è come se lo facessi, conservando memoria di lui in ogni cosa che conta.
Nell'esplosione della tua gioventù ricorda sempre questa certezza: coloro a cui vogliamo veramente bene non se ne vanno mai, li portiamo con noi, in un modo tanto essenziale da avvertirlo come esperienza fisica, anche se priva di contorni e materia.
Oggi diventi maggiorenne e anche questa è una notizia.
D'ora in poi per convenzione porterai la responsabilità di pensieri, opere e omissioni, anche se confido di averti insegnato a caricartele sulle spalle prima, così come ogni peso che avrai da portare in futuro sai di poterlo condividere sulle spalle di un'intera famiglia. Siamo unici, mai soli: non è poco.
Per il resto, migliaia sono i ricordi della strada percorsa insieme, altrettanti gli episodi, i momenti, le occasioni di gioia, di pura felicità, talvolta di scontro, incomprensione, sempre di crescita reciproca.
Anche ora, che pur mi hai superato in altezza e al pari di tuo fratello quando ti abbraccio debbo farlo da sotto a sopra, l'attimo che preferisco è quando mi guardi negli occhi, quando ti colleghi con me, senza bisogno di aggiungere parola, riconfermando quell'unione indissolubile che supera le leggi della chimica e che tu sperimenti in uno dei tratti che ti distinguono: il numero di amici, la schiera vasta di coetanei a cui sei legato: il più bel regalo che mi fai tu, testimonianza che sei nato seme e porta frutto di comunità ciò che matura la tua pianta.

P.S. Lo so, avresti voluto e meritato un compleanno diverso, una cena in compagnia, la festa con gli amici, risate, baci, abbracci, baldoria. Da giorni e giorni invece sei confinato in una stanza con bagno, senza possibilità di contatto alcuno, se non virtuale, a distanza, pur se non sei propriamente Silvio Pellico né vivi le sue prigioni. Le tue non hanno stenti, ma restrizioni. Mi spiace ci siano, però voglio essere altrettanto onesto, aggiungendo che non è più né meno di una delle molte prove della vita. È attraverso esse che si cresce, diventando grandi e non soltanto alti. Se riuscirai ad affrontarle con il sorriso ampio che hai avuto finora ti peseranno poco e avrai una vita piena, la migliore avventura del mondo.