giovedì 17 luglio 2014

Figli migliori di noi (poco alla volta)

Foto by Leonora
Dico spesso a Giovanni (ma anche a Giacomo e a Giorgia): "Tu sarai migliore di me".
Lo dico per aumentargli l'autostima - perché è fondamentale che sappia quanto tengo a lui - ma soprattutto perché lo credo. Credo davvero diventerà un giorno migliore di me, imparando a non ricalcare i miei difetti, ad evitare i molti errori che commetto, le mancanze di attenzione per le persone che mi vogliono bene, le distrazioni, gli egocentrismi, le esagerazioni...
L'altra sera, discutendo con Isabella, ho alzato la voce, abbiamo gridato, come non dovrebbe succedere ma come a volte capita, ho dato anche un paio di manate all'anta del frigorifero, provocando un rumore che lì per lì non mi pareva gran che. Uscendo però dalla cucina, aprendo la porta, l'ho visto seduto sul divano, insieme con Giorgia, stranamente senza la tv accesa né la play-station o un'altra diavoleria. Ho realizzato allora che stavano ascoltando, che magari non capivano le parole ma intuivano l'atmosfera, mi sono rivisto io, quando mia madre e mio padre litigavano, il disagio che provavo, l'ansietà, la paura...
Nonostante fossi ancora furioso (che sciocco, a ripensarci ora, ad essere tanto arrabbiato, e che sciocco in generale a prendermela tanto per cose da poco, gocce nel fiume della vita e che si ingigantiscono a dismisura) nonostante fossi ancora furioso, dicevo, vedendoli così mi sono aperto in un sorriso ampio, schiacciando l'occhiolino e dicendo loro: "Bene, questa sì che era una discussione seria".
Prima di salirmene al piano sopra e continuare la mia sceneggiata con Isabella (passando dalla fase "Gridiamoci in faccia" a quella "Ignoriamoci di spalle"), li ho visti distendersi in volto, abbozzare un sorriso a loro volta.
Sì, Giovanni e Giorgia e Giacomo saranno migliori di me, senza rendersene conto, salendomi sulle spalle come ho fatto io con mio padre. Non devono preoccuparsi per come accadrà, né sentirsi schiacciati o mai all'altezza. Non capiterà all'improvviso, bensì saranno come quegli altari votivi spontanei che si ammirano sui sentieri delle Dolomiti e di cui mi parlavamo ieri Roberto e Laura. Sono alte più di un metro, fatte dai piccoli sassi che i viandanti mettono in pigna, uno sopra l'altro, come segno di ringraziamento. È così che i nostri figli diventeranno migliori di noi, quasi senza accorgersene, poco alla volta.

martedì 15 luglio 2014

Ciao, come stai? Domanda semplice

Foto  by Leonora
Ci sono giorni che mi sveglio con un peso, anzi, un vuoto dentro, in cui sento lo stomaco come la mammella asciutta delle vecchie capre che leggo nel Robinson Crusoe di Defoe.
Non mi capita sempre e neppure spesso, però quelle mattine ci sono e ho imparato a convincerci, staccando la spina dei pensieri oppure uscendo a correre, che quando vado a passo spedito i nodi si sciolgono e tutto si mette in ordine, più chiaro.
"Come stai?". Basta una domanda per far girare per il verso giusto il mondo. Non riceverla, farla. Ci riflettevo stamattina: "E' vero - dicevo tra me e me - ti senti vuoto, disorientato persino, vorresti stare da solo, non vedere niente e nessuno, però quante persone contano sul tuo saluto, sul tuo sorriso, e quante sono ancora lì, che aspettano, perché sei pigro dentro o per quella smania di voler sempre esagerare, di esserci alla grande e così non ci sei nemmeno alla piccola, per quel poco che sarebbe più che necessario?".
Me lo diceva Silvia, settimana scorsa: "Basterebbe un messaggio, di tanto in tanto". Che sciocco sono, a scordarlo. Così, oggi, tra un impegno e l'altro, mi sono ritagliato i minuti per farmi vivo con alcune delle persone a cui voglio bene, anche se qualcuna la vedo di raro, qualcun altra incontrarla sarebbe un miracolo. Ma l'amicizia supera le barriere, annulla le distanze e non sta con il pallottoliere a tenere il conto dei fili che si tendono, perciò mi sono deciso, ho fatto gli auguri di compleanno a Lory e a Valentina, che da qualche giorno è diventata mamma, così come ho chiesto "come stai?" a Luana, che mamma lo diventerà tra poco. Poi ho risposto a messaggi che giacevano in sospeso, sono salito due piani per salutare le persone che qui, a Bergamo, mi fanno sentire accolto, ho usato le cuffie per la musica meno del solito, sono rimasto "in ascolto".
Mi sono sentito meglio. Non c'è come fare il pieno di attenzioni per riempire il proprio vuoto.

lunedì 14 luglio 2014

I pigliatutto (Germania uber alles)

Foto by Leonora
Berlino è una meraviglia, una delle città più belle che abbia visitato. In questo concordo con Pietro Paganini, membro di "Comunicazione bianconera", che ha commentato benevolmente la vittoria della Germania nel campionato del mondo di calcio, sottolineando qualche aspetto simpatico: 
- si chiamano Mario, Angela, Guido
- vogliono l'austerità ma ci perdonano tutto, ci vogliono bene
- vengono in vacanza da noi e viaggiano in autostrada (a differenza dei pitocchi olandesi che prendono le vie alternative per non pagare)
- fanno delle ottime lavatrici e lavastoviglie
- fanno ottime auto ma preferiscono le sportive italiane...
Seguono altre considerazioni, più calcistiche, mentre a me interessa fermarmi un passo prima, sciacquando i panni nel Reno per confessare che ieri sera tifavo intimamente Argentina, "anche se - per usare le parole di Pietro - di loro ricordo solo le bancarotte e gli imbrogli".
Quando ero un bimbo la Germania Ovest mi piaceva moltissimo, forse per quella maglia elegante, bianca con le tre bande nere, forse perché allora era un popolo ancora diviso, sconfitto, che tentava di scrollarsi di dosso le colpe di un tempo. Ricordo la finale del '74, vista in tv, sul balcone di casa, con mio padre e i suoi amici Giancarlo ed Ambrogio a fare un tifo sfegatato per l'Olanda di Cruiff, Neeskens, Rensenbrink e del portiere farfallone Jongblod. Ero l'unico controcorrente e mi premiò il risultato. Un'infatuazione terminata otto anni dopo, con l'urlo di Tardelli sul campo del Santiago Bernabeu, e a Italia '90, che vinsero, così come hanno trionfato ieri sera, raggiungendoci a quattro coppe mondiali e soprattutto confermandosi nazione pigliatutto, dall'economia al calcio.
Oggi, a mente fredda, penso che non ha tutti i torti Pietro, che i tedeschi fanno tanto i ganassa ma in fondo ci vogliono bene e un po' anche ci invidiano. Così come noi un po' invidiamo loro, che sono come vorremmo essere e non riusciamo. Una benedizione: perché non ci sarebbe peggior tedesco di un italiano esaltato.

lunedì 7 luglio 2014

In principio le scarpe (sette cose che ho imparato correndo)

Foto by Leonora
Ho rallentato molto con la testa da quando con i piedi vado di corsa.
Due anni, ormai. Da un giorno di luglio in cui comprai un paio di scarpe e imboccando i sentieri tra i boschi dietro casa feci i primi tre, quattro chilometri ad andatura lenta. Che fosse lenta lo so oggi, ma non era difficile intuirlo già allora, tornando stralunato e sbuffante quanto un diavolo della Tasmania con l'asma.
Per dieci giorni ebbi dolori alle gambe, però non mi arresi ed esco pimpante tuttora, almeno quattro volte a settimana. Nel frattempo di scarpe ne ho cambiate tre paia (Asics Nimbus le mie preferite), percorso una media di quaranta chilometri a settimana, comprato un orologio satellitare, quattro magliette, tre paia di calzoncini e calzini una mezza dozzina.
Non sono Forrest Gump, il cui film in questi giorni compie vent'anni, né un vero runner, deciso cioè a migliorare le proprie prestazioni di volta in volta. Mi accontento di restare in forma, cogliendo i numerosi benefici che il correre comporta. Nel mio piccolo, senza fissazioni, ho imparato molto e di questo "molto" elenco qualcosa.
  • Le scarpe sono l'unico vero accessorio necessario. Il resto può essere recuperato riciclando calzoncini, vecchie magliette, tagliando i calzoni della tuta per l'inverno, ma ai piedi serve il meglio, senza spendere una fortuna, ma nemmeno risparmiare.
  • Correre sgrombra la mente in maniera meravigliosa e, in qualche misura, la rallenta.Ci si concentra meglio e spesso si partoriscono idee nuove o si mettono a frutto quelle che si hanno.
  • Il rischio, badando ad altro che non sia la corsa, è di farsi male, non rimanendo focalizzati sul gesto in sé. Le storte più fastidiose non me le sono procurate scendendo a mille da un dirupo roccioso, bensì a bordo strada, in piano, sull'asfalto, appoggiando il piede malamente, come un pirla.
  • Qualche fastidio fisico, qualche dolorino c'è sempre. Si impara a conviverci senza farne un dramma.
  • Tra i benefici, al primo posto c'è l'assenza o quasi di raffreddori mattutini e altri acciacchi molesti.
  • Al secondo, fare due rampe di scale senza muggire come un bue né vedere Nostra Signora di Fatima.
  • Al terzo, mangiare dolci, pane, pasta e pizza, senza preoccuparsi del girovita.
I miei modelli di costanza, quando ho cominciato a correre, erano (e sono) Antonella, David e Micol, ma la persona che devo ringraziare di più, sia per avermi spiegato che le scarpe fanno la differenza, sia per avermi suggerito gli elementi basi della buona corsa ("Comincia con gradualità. Non andare subito di corsa: fai dieci minuti, poi per altri dieci minuti cammina, fino a che avrai fiato e anche gamba") è l'ex campione mondiale di corsa in montagna Davide Chicco (Keci, per gli amici). Questo giovedì, 10 luglio, dalle 19 alle 20, sarà ospite alla Rovall di Fino Mornasco, intervistato da Mauro Migliavada per l'ultimo degli appuntamenti estivi e gratuiti degli "Aperitivi di mezz'ora in fattoria".

giovedì 3 luglio 2014

Giovedì, mercato

Foto by Leonora
Giovedì. Di giovedì sono nato e giovedì è un giorno che mi sta simpatico, perché si avvicina il fine settimana e in molte delle città che conosco è il tempo del mercato.
Sì, proprio delle bancarelle, che in Italia ci sono dappertutto, tanto da non farci quasi caso, ma quando arriva un turista dall'estero ne rimane incantato. Lo scrivo per esperienza, avendo lavorato in centro a Como per una dozzina d'anni e avendo fatto da guida a decine di persone disorientate, con la cartina in mano, che chiedevano informazioni su "the typical market".
Le prime volte non mi ci raccapezzavo. Neanche consideravo l'ipotesi che uomini e donne avessero fatto migliaia di chilometri e fossero interessate non al lago, al Duomo, ai tesori del Razionalismo, al borgo medioevale, bensì a quel via vai di gente e di merce esposta alla buona.
Sbagliavo. Me ne sono accorto tardi, prestando attenzione a quanto prima appariva scontato e imparando a guardare con occhi nuovi ciò che in fondo sentivo già simpatico. Mercato per me è soprattutto la passeggiata d'estate con mia madre, quando a luglio restava a casa in ferie, e mi accompanava a ripetizioni di matematica, in via Cadorna. Terminato quel calvario (con i numeri sono sempre stato un zuccone) c'era il premio: panino imbottito ed Estathè e giro al mercato, appunto. Oppure al mio paese, sempre d'estate, che in oratorio si andava al pomeriggio mentre al giovedì mattina il mercato era per noi ragazzi un ritrovo. Esattamente come per Giorgia e la sua generazione, oggi.
A Monza questo legame si è rafforzato, poiché lì il Cittadino esce il giovedì, proprio in coincidenza con quello che da tempo immemorabile era punto di incontro tra città e campagna, tra chi vendeva i proprio prodotti e chi li acquistava, in una società in cui lo scambio non era ininterrotto e continuo, ventiquattr'ore al giorno, com'è ora, bensì aveva i suoi momenti e le sue liturgie.
Ho pensato queste cose stamattina, partendo dal mio paese e vedendo le bancarelle, diverse (non solo nei prodotti, anche nel modo di esporli: l'interscambio culturale ha cambiato la prassi ordinata e metodica e introdotto quella alla rinfusa, più simile al bazar, dove trovare le cose è più difficile ma magari cercando se ne trovano altre e si comprano) eppure uguali a un tempo. Infatti stasera si mangerà pollo. Del mercato.

mercoledì 2 luglio 2014

Scrittori si diventa

Foto by Leonora
C'è chi lo fa per professione, chi invece si occupa d'altro ma ha un vero talento (penso a Lara e Tiara, che nonostante l'assonanza non credo si conoscano, mentre le stimo entrambe e in qualche misura si assomigliano), chi resta insuperabile, chi si ostina a provare nonostante ci azzecchi un tubo e chi vorrebbe imparare a farlo.
Scrivere è la terza cosa che mi piace più al mondo (non malignate, la prima è sognare e la seconda è leggere). Un'azione terapeutica, oltre che gradevole, per dare senso alle giornate e lasciare traccia fuori e dentro.
Quando ero un ragazzo e il vicario dell'oratorio mi chiese di mettere nero su bianco il resoconto dell'oratorio feriale partii pigro, come al solito, poi sudai sette camice per produrre una paginetta di bloc notes a quadretti, piena di scarabocchi e zeppa di pensieri contorti. Non ricordo il contenuto, ma ho impressa la faccia di don Mario, tra il deluso e lo schifato. Ci rimasi malissimo per lo scarso impegno che avevo dimostrato, ma il livello era quello: conoscevo moltissime parole del vocabolario (era una mia passione leggerlo) senza saperle mettere una in fila all'altra. La svolta capitò dopo la maturità, con una copia del Nome della rosa acquistato su una bancarella, all'isola d'Elba, dove ero in vacanza con tre compagni: Marco, Rodolfo e Gianluca. Lessi quel libro che parla di libri d'un fiato e non mi sono ancora fermato. In più si è aggiunta la necessità fatta virtù, coincisa con la possibilità di scrivere articoli su un settimanale locale, la Gazzetta di Como. Per scrivere bene, oltre che a una mente pronta, non esiste infatti che una ricetta: leggere. Io ve l'ho detto.
P.S. Per chi invece volesse qualche spunto meno banale, domani, giovedì 3 luglio, alla fattoria Rovall di Fino Mornasco ci sarà una scrittrice vera, Elisabetta Bucciarelli, che darà qualche dritta, gratis, aperitivo incluso. L'appuntamento è alle diciannove, ma se arrivate qualche minuto dopo vi aspettiamo. Però non troppo: la chiacchierata durerà mezz'ora e gli stuzzichini e il prossecco, pur essendo abbondanti, è probabile che dopo una certa ora finiscano. Prosit.