mercoledì 26 luglio 2017

L'equilibrio della bicicletta (e il bicchiere mezzo pieno)

Foto by Leonora
Felicità è condizione instabile, un lampo nel cielo, equilibrio precario al lato della strada, in sella a una bicicletta che non si muove d'un metro. Perciò ho smesso da un pezzo di pretenderla: l'accetto quando c'è, come un dono, e mi accontento di altro, di giorni densi, sereni, goduti appieno.
Ti guardo in una fotografia trovata tra le pagine di un libro, con i tuoi cinque o sei anni, mentre sorridi da orecchio a orecchio e immagino quel lontano istante perfetto, augurandomi che ogni giorno tu possa viverne uno identico, nonostante il bimbo che eri nel frattempo sia diventato uomo.
Ho sempre pensato, illudendomi, che per farti crescere felice avrei dovuto darti tutto. Sbagliavo.
Tutto ciò che ti occorre in dote è invece la capacità di incuriosirti, di interessarti, di stupirti, di appassionarti, insieme con la possibilità di mettere a frutto il tuo talento.
Me lo appunto qui, sapendo che al di là delle parole conta l'esempio e l'esempio spero di dartelo ogni giorno, pur con i mille difetti che mi porto appresso, cercando di essere un uomo soddisfatto, oltre che fortunato, quale sono.
P.S. Questi giorni, con sole, lieve brezza e zero umidità, sono tra i più belli dell'anno. Lo scrivo qua, come pro memoria per me stesso, poiché in tempi in cui ci si lamenta di tutto e del contrario di tutto, considero un dovere civico guardare al bicchiere mezzo pieno (non soltanto quello del vino).

domenica 9 luglio 2017

L'angelo mancato (Tutto passa, tutto si aggiusta, sempre)

Foto by Leonora
Al momento opportuno m'è mancato l'ardire per rivolgere loro una parola, per interrompere il pianto affranto di lei e lo sgomento imbarazzato di lui, che la guardava con occhi disorientati e tristi, senza sapere cosa fare, cosa dire, se sedersi accanto o cingerla in un abbraccio.
Loro erano due ragazzi tra i diciassette e i vent'anni, appartati sui gradini di una scaletta ai margini del piazzale della stazione, lei capelli neri, lunghi fino alle spalle, occhiali, calzoncini corti, lui bermuda chiari, capelli ricci, una faccia da adolescente rimasto dentro ancora bambino, una maglietta verde acido con sulla schiena la scritta in maiuscolo: "Animatore".
Non so cosa avessero. Lei parlava concitata, con momenti di vera disperazione e lacrime abbondanti, come chi ha nel cuore una pena enorme e le sta cadendo il mondo addosso; lui ascoltava attonito e impacciato, quasi volesse rassicurarla, dirle "Ci penso io", ma senza ruscirci perché di pensarci lui non sembrava affatto pronto.
Mi sono imbattuto in quella scena per caso, camminando fin lì perché ero al telefono e volevo evitare il rumore della gente, il frastuono del traffico. Dopo averli notati, continuando la conversazione, sono passato innanzi un paio di volte, senza che nessuno dei due vi facesse caso, e la terza volta, dopo aver salutato chi stava parlando con me, sono stato tentato di fermarmi, di rivolgere loro una parola, svestendo i panni dello sconosciuto e indossando quelli del padre, del ragazzo più grande, di colui che anche se non richiesto può dare una mano.
Non l'ho fatto. Il timore di essere invadente, insolente, mi ha fatto tirare dritto, salvo poi pentirmene, con il dubbio che i piedi non mi avessero portato lì per caso, che magari avevo un compito e non l'ho assolto (dimostrando così che la distanza tra il tirare dritto e l'interessarsi è esigua ma pur distingue il pavido dal coraggioso).
Non so cosa avessero, dicevo. Nella mia limitata fantasia ho ipotizzato che lei fosse stata bocciata oppure che lui volesse lasciarla oppure, se dovessi scommetterci un centesimo, che fosse rimasta incinta o temesse di esserlo.
Non so cosa avessero e non lo saprò mai, ma so cosa avrei dovuto dire io e non ho detto, cioè di non temere, di non preoccuparsi, di non considerarla una tragedia, qualsiasi cosa fosse, perché nella vita tutto passa, tutto si sistema, tutto si aggiusta.
"Non piangete" sono state le parole che non ho detto. "Non piangete e qualsiasi spina abbiate tornate a casa dai vostri genitori, specialmente tu ragazzina, sapendo che nessun problema, nessuno sbaglio è più grande del bene che ti vogliono".
Queste parole mi sono mancate e non me lo perdono, perciò le scrivo qua, perché se a quei due ragazzini non possono arrivare, almeno giungano alle persone che passano di qua, oltre a rimanere come pro memoria per me stesso: per quanto grande, nessuna disperazione dura in eterno e dopo ogni tempesta esce sempre il sereno.
P.S. Con l'augurio che se mai uno dei miei figli si trovasse in una situazione simile possa trovare un essere umano più coraggioso di me, trasformandosi occasionalmente in quell'angelo custode che non ho saputo essere io.

sabato 1 luglio 2017

L come Luglio (e L'ora dei lupi)

Foto by Leonora
L'ora dei lupi. Così lo chiamava Ingmar Bergman, quel preciso istante della notte in cui si tirano le somme e non si può mentire a se stessi e ci si trova soli pure se si ha qualcuno accanto, da stringere.
A nulla in quell'istante valgono fama, gloria, denaro, potere, poiché in quell'ora si rimane nudi, vestiti soltanto del buono che abbiamo saputo cucirci addosso, voce che fa eco alla propria voce, pugni che stringono frammenti.
L'ora dei lupi m'è venuta in mente in questi giorni, incrociando di sfuggita i miei figli, in quella porta girevole che diventa ogni casa quando i bimbi che erano si trasformano in ragazzi, giovani, adolescenti.
Mi somigliano tutti e tre, pur per aspetti diversi. Anch'essi, come io alla loro età, sentono il bisogno di mutare le radici in rami, di spiegare a falcate le gambe sulle quali hanno imparato a reggersi.
La loro età dell'innocenza, me ne rendo conto, sta per terminare e non lo scrivo rammaricandomene: nella vita questo ho imparato, che sono tutte stagioni, ciascuna con i suoi frutti, insieme buoni e grami.
L'unico desiderio, se posso permettermi, è quello di saperli sereni, così che non temano alcuna ora dei lupi o l'attendano persino, sperando di averli educati alla ricerca della felicità, che non è mai legata ad aspetti materiali, ma ha sempre sede dentro sé e si nutre di generosità, di apertura, di sorrisi, di comprensione, di curiosità, di passioni, di slanci.
Questo è l'augurio per loro e per tutti coloro che passano di qua e che proprio per questo considero amici: di essere felici a momenti e di voler bene a se stessi, sempre.