sabato 25 agosto 2018

Ottocentottantotto (Caro amico ti scrivo)


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Non hai volto e ne hai mille, insieme. E sia che conosca il tuo nome o che mi sia sconosciuto è per te (e per me) che metto queste parole in fila, cercando ogni volta di cavarne qualcosa che meriti di restare nero su bianco, ignorando le inesorabili leggi del cosmo ("tutto ciò che c'è di importante è già stato scritto e comunque tutto, ma proprio tutto, finisce per essere dimenticato") e aggrappandomi a quel bisogno innato nell'essere umano, di comunicare, di entrare in relazione l'uno con l'altro.
Tre otto. Un numero che a pronunciarlo riempie la bocca, costringendo la lingua a battere a mitraglia tra denti e palato: ottocentottantotto.
Ottocentottantotto, i post che finora qui ho pubblicato, tanti da far invidia a un Diderot o a un Tolstoj, senza averne per fortuna l'ambizione e il talento.
Scrivere è stata la scintilla, la molla a scatto per farmi diventare ciò che sono: un lettore onnivoro, accanito.
C'è stato un tempo in cui per mestiere e per diletto scrivevo un sacco. La vena non si è inaridita, basta uno spazio bianco, vuoi di fronte a un computer, vuoi sul display del telefonino, affinché le sillabe si compongano da sé, lasciando alla ragione e all'orecchio l'attività di cesello.
Alla scrittura e alla lettura debbo molto, principalmente la capacità di ragionare con la mia testa, di formarmi un pensiero proprio, coltivando le virtù alle quali sono più affezionato: l'apertura mentale, l'insistenza del dubbio, la tolleranza nei confronti di chi è differente da me, il desiderio di conoscere, la capacità sintesi e di approfondimento, l'indispensabilità del dialogo.
Perciò continuo a leggere molto (nelle ultime settimane "Il Conte di Montecristo", "Paolo VI, una biografia", "Il lupo della steppa", "Un eroe borghese") e a scrivere, non più per mestiere, soltanto per il piacere di creare un filo rosso e di tesserlo, intrecciandolo con le storie di chi passa di qua e butta un occhio.
Se procedo a ritroso e lo osservo dall'alto noto gli argomenti variegati, gli stili diversi che compongono questo blog, che in quasi undici anni mi accompagna fedele, senza pretendere troppo. Ultimamente la forma che preferisco, direi l'unica che non stride con un certo cinismo o disinganno che si è andato formando, è quella dell'epistola, della scritto indirizzato a qualcuno.
L'ho già fatto nei mesi recenti e vorrei continuare, nel futuro prossimo, con maggior costanza e senza tentennamento, inviando lettere senza spedirle, omettendo talvolta il nome, mai il volto - almeno nella mia testa - a cui sono indirizzate.
"Caro amico ti scrivo", insomma, così non mi distraggo, neanche un po', e la persona rimane saldamente al centro, senza che l'idea prescinda da tutto, prendendo ottusamente il volo.

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