Sette, quattordici, ventuno, diciotto. In quella tabellina sbilenca che è la vita, mi ritrovo a fare i conti e dare i numeri ad ogni compleanno.
Ventuno. Gli anni che ha da poco compiuto Giacomo, con le sue linee tracciate sempre per diritto, i pensieri che fanno più rumore delle parole, le spalle larghe, che per abbracciarle devo stare in punta di piedi e creano un effetto strano, poiché inverte le posizioni naturali padre, figlio, adulto, ragazzo.
Diciotto. Gli anni che tra poco compirà Giorgia, anche lei alta ma non da non poterla prendere tuttora in braccio, con i suoi balzi d'umore e una sensibilità che ha preso dalla madre, anche se da me ha imparato a mascherarla spesso.
Giacomo e Giorgia. Li vedo crescere, con uno stupore doppio: da un lato notare come si stiano formando, con una loro personalità originale e indipendente, dall'altro non potere né volere fare nulla affinché si fermi il tempo, esattamente come uno spettatore separato dalla scena da un vetro, che assiste impotente ma pure lieto di fronte all'ineluttabilità del destino.
Non ho scelto di ricordare Giacomo e Giorgia (e aggiungo anche Giovanni) oggi, per caso.
Il 27 gennaio è un giorno che ho a cuore poiché si celebra la "memoria" e alla memoria, a qualsiasi memoria, sono affezionato.
Oggi non voglio soltanto ricordare ciò che di orribile c'è stato, ma anche condividere la fortuna che ho io, che abbiamo noi, che hanno Giacomo e Giorgia e Giovanni e milioni di loro coetanei, che vivono in case più che tiepide, con nel piatto cibo abbondante e attorno visi amici invece di violenza, freddo, sangue, sofferenza, solitudine, devastazione, terrore, dolore, morte, abbandono.
Esserne consapevoli è più che un dovere: è un regalo. Un regalo che ci facciamo reciprocamente, ad ogni compleanno.
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