Sono mute, cieche. E non camminano, non scodinzolano, non fanno le fusa, né si mettono a pancia in su o spalancano gli occhi, creando una linea del cuore tra noi e loro.
Ci somigliano poco o niente, sono dappertutto, eppure passano quasi sempre inosservate, nemmeno ci accorgiamo che ci siano.
Le piante, le erbe, sono compagne silenziose, maestre che insegnano senza proferire verbo, semplicemente facendosi osservare, chiedendoci lo sforzo di un pensiero.
Come il tarassaco, che resiste verde smeraldo, rigoglioso, sparso nel prato, anche in piena estate, quando tutto attorno è secco.
È un’erba come uno scrigno: racchiude acqua e pure un segreto: quello della resistenza, della capacità di trattenere ciò che gli serve, senza che si disperda, che evapori sotto il sole a picco di luglio e agosto.
P.S. Ti tengo una mano sulla spalla, mentre mi sei seduto accanto, a tavola, nel mezzo dell’ultimo pranzo, prima che riparta per l’Irlanda, terminata la vacanza che hai fatto, un ritorno a casa breve ma intenso.
Gli altri ridono, parlano, tu li ascolti, non io.
Per un istante sono distratto da tutto e concentrato su altro: la larghezza delle tue spalle, i fasci dei tuoi muscoli, la forma di quella carne generata da me, ma che non mi appartiene, che resta figlio ma si è fatta uomo.
Ne avverto sotto il palmo il calore, la consistenza, la forza, la tensione, pur a riposo.
Un lampo di malinconia m'attraversa, la consapevolezza che tra poco te ne andrai, ci lascerai di nuovo.
Poi però mi riconcentro sulle sensazioni del palmo della mano, ti guardo di traverso, grande e grosso come sei, e insieme a una tenerezza infinita ritorno sereno, ripensando al tarassaco in giardino, alla sua capacità di resistenza, che è anche la tua, la mia, la nostra, potenzialmente di qualsiasi essere umano, capace di racchiudere gli affetti, i legami, i desideri, le aspirazioni, trattenendoli per i tempi lieti e ancor più, quando capitano, per quelli grami, di bisogno.