“Eravamo felici e non lo sapevamo” è una frase che mi suona spesso nella testa, specie in giorni in cui come i vecchi orologi meccanici avrei bisogno per me stesso di ricarica.
L’esercizio della nostalgia, pur seducente e talvolta lenitivo, ha tuttavia la controindicazione di essere fine a se stesso: porta con sé qualche emozione, mai un cambio di pagina.
Per questo provo a spostare al tempo presente e in positivo quel pro memoria, declinandolo al qui ed ora: “Sono felice e lo so”.
Non capita sempre, di essere felici.
La felicità è puntiforme, mai continua, va a momenti, sfugge a qualsiasi gabbia e laccio con il quale trattenerla. In più, ha la stessa natura dei sogni, che puoi ricordarli vagamente o nel dettaglio, ma non è mai la stessa cosa, non si archivia: una volta che l’attimo trascorre si sbiadisce, evapora.
Io ad esempio ho traccia del giorno in cui sono stato più felice, ad occhio e croce, nell’ultima dozzina d’anni.
È stato il 24 febbraio scorso, un sabato (il sabato capita spesso sia tra i giorni felici, tranne che per chi fa il commessa o la commessa).
Per un combinato disposto di eventi su lunga e corta scala - un lavoro soddisfacente e stimolante, la sostanziale salute fisica mia e delle persone a cui tengo di più, il raggiungimento di obiettivi importanti per i figli, la vicinanza degli amici… - mi sono ritrovato la sera non potendo far altro che ringraziare per ciò che ho, non avendo null'altro da chiedere.
Ricordo nitidamente quell’istante.
Per due motivi: la sensazione bellissima di essere in cima a una montagna e insieme la certezza che da quel momento esatto in poi non poteva che esserci peggioramento, discesa.
La felicità è così, l’esatto contrario della sventura: la seconda è orrenda, ma contiene in grembo un seme; la prima stupenda però porta in dote un tarlo.
Ed è così che si accompagnano, sempre, in eterno equilibrio, come morte e vita.
P.S. Per giorni ho taciuto persino a me stesso che quel giorno di pienezza poteva essere il perno di una svolta, l’apice a cui segue il declino, ripido o dolce che sia.
Anche gli adulti infatti, al pari dei bimbi piccoli, a volte chiudono gli occhi confidando che così nessuno li veda.
Qualche scricchiolio l’ho avvertito subito, ma poca roba, tanto da illudermi che mi sbagliavo, che forse potevo farla franca.
Mercoledì 28, sempre di febbraio, invece, a tarda sera, è giunta la certificazione di un balzo all’ingiù, in tutti i sensi. Per mia mamma, che ruzzolando sulla scala della cantina - la foto che ho messo e che ho scattato qualche giorno dopo, casualmente, a Brescia, rende bene l'idea - s’è rotta entrambi i talloni. E per me, che ho subito compreso come da lì in poi sarebbe stata dura.
Lo racconto ora, senza pesantezza, poiché il peggio è alle spalle e di quell’inciampo potrei elencare anche qualche seme positivo che ne è derivato. Ma questa è un’altra storia.
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