Guardo a questo mio anno da qui, primo giorno d'un mese di mezzo, in cui per tradizione si prende vacanza, si stacca il piede dall'acceleratore o per lo meno si pigia un poco il freno.
Emergo anch'io con la testa, dopo un'immersione cominciata a gennaio, con il nuovo lavoro, il quale ha aderito a me perfettamente, quasi un esoscheletro. Sette mesi per certi versi turbolenti e ardui, come per ogni impresa al suo principio, riconoscendo che entusiasmo e incoscienza hanno supplito alla mancanza di esperienza, mentre desiderio di fare bene e buona volontà hanno posto rammendo alle inevitabili smagliature di chi si approccia a un mestiere nuovo e ha molto da imparare, pur se piazzato in alto (e proprio perché "in alto" avendo da imparare ancora di più).
La sensazione è però quella di un punto raggiunto, di una base posta, di qualcosa di buono che si è compiuto e che si schiude ora ad altre mete, altri obiettivi, non più in solitudine, ma finalmente in sintonia, in pieno affiatamento con le persone che ho la fortuna di avere accanto.
Di contro, a specchio, per quanto riguarda la vita, proprio questo momento esente dal bisogno, senza preoccupazioni eccessive o dolori o spine nel fianco, crea un tempo propizio per le domande eterne che accompagnano l'essere umano. "Si sta come sugli alberi le foglie" ha scritto Salvatore Quasimodo. Io mi sento più come quelle delle pietre messe in pila, una sopra l'altra, in equilibrio, stupende da vedersi eppure precarie, labili, che basta un nulla per spazzarle via, senza che lascino memoria del loro "esser state", un puntare verso l'alto ammirevole ma effimero. Pure io, come tutti - tutti coloro che hanno una certa sensibilità, almeno - non ho certezze, risposte di senso, ma fin che corro, come in bicicletta, resto in equilibrio, mentre appena mi fermo sperimento il vuoto, casco. Eppure nessuna caduta è continua. Per quanto possa far male, c'è sempre una fine, un fondo, la base per ripartire, ricominciare, rialzarsi di nuovo.
Di contro, a specchio, per quanto riguarda la vita, proprio questo momento esente dal bisogno, senza preoccupazioni eccessive o dolori o spine nel fianco, crea un tempo propizio per le domande eterne che accompagnano l'essere umano. "Si sta come sugli alberi le foglie" ha scritto Salvatore Quasimodo. Io mi sento più come quelle delle pietre messe in pila, una sopra l'altra, in equilibrio, stupende da vedersi eppure precarie, labili, che basta un nulla per spazzarle via, senza che lascino memoria del loro "esser state", un puntare verso l'alto ammirevole ma effimero. Pure io, come tutti - tutti coloro che hanno una certa sensibilità, almeno - non ho certezze, risposte di senso, ma fin che corro, come in bicicletta, resto in equilibrio, mentre appena mi fermo sperimento il vuoto, casco. Eppure nessuna caduta è continua. Per quanto possa far male, c'è sempre una fine, un fondo, la base per ripartire, ricominciare, rialzarsi di nuovo.
P.S. Raramente do consigli di lettura, poiché i libri sono un vestito su misura, non esiste una taglia unica, che si adatta a ciascuno. Qui trascrivo titoli e autori di quelli che nelle ultime settimane ho letto io. "Il cacciatore di draghi" e "Lettere (1914-1919)" di J.R.R. Tolkien. "Il sesso è (quasi) tutto. Evoluzione, diversità e medicina di genere" di Antonella Viola". "Confessioni" di Lev Tolstoj. "Dodici racconti raminghi" di Gabriel Garcia Marquez. Sul comodino invece ho "Resurrezione", sempre di Tolstoj, e "La crisi del capitalismo democratico" di Martin Wolf.
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