lunedì 16 agosto 2010

Due lunghi solchi


Due lunghi solchi, che tagliano la fronte, ai lati, in verticale. Due tagli, che il tempo ha inciso pian piano ma son sbocciati d'improvviso, un mattino di quattro o cinque giorni fa, quando li ho notati io (me li hanno fatto notare, per dire pane al pane e vino al vino). Non sono rughe, sono segni ben distinti, come quando si dorme su un panno cucito grosso e rimane l'impronta. Sembrano proprio linee gemelle di quelle della mano: non so leggere né le une né le altre, eppure quest'ultime - ne sono certo - recano un messaggio. Sto diventando vecchio. Mi capita da quarantatré anni almeno, quasi quarantaquattro. E conto di farlo a lungo, anche se già ora mi sento in cima alla montagna e guardando a valle mi pare impossibile di aver camminato tanto, mettendo uno sopra l'altro una quantità di mattoni che mi vengono quasi le vertigini se ci ripenso. "Diciamoci la verità - chiosava il mio direttore, qualche settimana fa, biasimando gli articoli di Beppe Severgnini - quelli che scoprono la Coca-cola quando la bevono loro, hanno rotto i maroni...". Non la scoprirò dunque io. Mi sta capitando ciò che altre centinaia di miliardi di esseri umani hanno sperimentato e mi auguro almeno altrettanti sperimenteranno, in futuro. La qual cosa mi acquieta, senza tuttavia mettermi pace del tutto. Soprattutto faccio fatica a rivedere in me il bambino che ero, che sono stato e ho il dubbio che tra quarant'anni sarà lo stesso e non riconoscerò l'uomo che sono ora. Mi domandavo stamattina, dopo aver fatto la barba, guardandomi allo specchio: "Quanto può cambiare una persona?". Non è forse vero che molti dei difetti o delle mancanze che m'imputavo quando ero piccolo si sono dissolte, rivelando un Giorgio migliore da colui che io per primo immaginavo? E non vale forse il contrario, cioé che per molti aspetti sono peggiorato, perdendo insieme a qualche vizio pure molte virtù di cui andavo orgoglioso? Quante paturnie, penserà qualcuno. Non sono d'accordo. Perché da ciò dipende come si guarda il mondo e le persone che ci vivono attorno. Dalla consapevolezza che tutto muta o dalla convinzione che tutto rimane uguale e che i cambiamenti possono essere soltanto superficiali, rivelando prima o poi la vera essenza di ognuno, dipende la disponibilità ad aprirsi all'altro, ad avere fiducia, oppure la durezza, lo scetticismo, il cinismo persino. Una regola fissa non esiste, credo che al fondo ci sia la concezione che ciascuno di noi ha del mondo: io mi ostino a pensare che, nonostante il male evidente, sia sempre maggiore il bene, il bello, il buono. Posso sbagliare, ma non credo che quei due solchi che i più stolti - sbagliando - chiamano rughe, siano spuntati per caso.


Foto by Leonora

2 commenti:

silvia ha detto...

E invece si chiamano proprio rughe, bello mio. Ti acquietano? Beato te, a me fanno l'effetto opposto.
Sono rughe, quelle che Anna Magnani vietava ai truccatori di cancellare, perchè, diceva, "le ho pagate tutte care".
La domanda: "quanto può cambiare una persona" me la faccio anch'io,(non quando faccio la barba, però), senza trovare risposta, ma con il sospetto che anche se cambi la tua essenza, il tuo nocciolo duro rimane. Però, non lo so, come spesso mi succede con le BELLE DOMANDE.

Wilma ha detto...

Mi piace ciò che hai scritto, mi ha dato emozione. Ciò nonostante non sono sicura di volerne parlare...D'altra parte non mi riguarda, non ho ancora quarant'anni: settembre è lontano...