domenica 1 agosto 2010

Il tronco cavo


Fuori c'è un cielo lindo, con mille stelle appese al buio. L'aria punge. Paola, Elena, Riccardo e Paolo con bambini al seguito si sono appena chiusi alle spalle il nostro cancello e io mi godo un po' di silenzio, dopo una bella serata in compagnia, ch'è stata il culmine d'una giornata di lavoro. Mi piace lavorare al sabato: comunque vada, ritorno a casa sazio, appagato. Dal mazzo dei discorsi fatti attorno al tavolo piglio non a caso un argomento: i figli che crescono. Mi piaceva vedere Filippo, otto anni, seduto come un ometto, che ascoltava le parole dei grandi, silenzioso e composto, lui che invece ha sempre l'argento vivo addosso. Assomiglia al mio Giacomo, che d'indole è più quieto, però ha lo stesso gusto per l'ascolto. Non so dove, con precisione, eppure da qualche parte in questo blog ricordo di aver già parlato dello stupore che provo nel vedere crescere questi cuccioli d'uomo, così simili a noi eppure tanto diversi, originali, autonomi, unici. C'è una miscela straordinaria tra ciò che apprendono e ciò che essi sono, tra formazione e genio, tra cultura e natura. E' il tema di "Una poltrona per due", un film divertente e serio insieme, che ho visto molte volte. Quanto conta l'ambiente in cui cresciamo e quanto i cromosomi che abbiamo impressi come impronta dissimile da ognuno? Per scoprirlo non basta tutta la scienza e la saggezza del mondo, resta un mistero. C'è scritto nel Vangelo che l'albero buono si vede dai frutti che porta. Non è lo stesso per l'uomo. Conosco persone squisite, genitori che sono piante tutte d'un pezzo e hanno per figlio un ramo ritorto, un tronco cavo oppure, viceversa, germogli straordinari spuntati da un seme gramo. Credo che molto dipenda dalla compagnia che un ragazzo si cerca o trova, ma neppure questo è un fattore che si ascrive al solo caso e così siamo punto e a capo. Perciò evito un inutile mal di testa e smetto di fare calcolo, ricordando ciò che mi ripeto spesso: i bambini sono un dono, non progetto. E' il motivo per cui questa sera, dopo aver salutato gli amici e chiuso il cancello, mentre percorrevo il viale di casa con il piccolo Giovanni accanto, per un attimo ho dimenticato ansie, paure, preoccupazioni sulle compagnie che frequenterà, sui problemi che incontrerà e tutto quanto, gli ho messo un braccio attorno al collo e me lo stretto al fianco, pensando che potrà sempre contare su di me e io su di lui, padre e figlio.

Foto by Leonora

2 commenti:

andre ha detto...

dai loro frutti li riconoscerete...ma i frutti non sono i figli bensì le opere e in ciò il Vangelo non sbaglia; è dalle nostre opere più che dalle nostre parole che possiamo essere "giudicati" e dunque riconosciuti. Quanto ai figli bhè, non v'è dubbio che il risultato finale (per il quale va da sè che bisogna attendere i 40anni circa!) è una incredibile miscela di tutto ciò che annoti nel tuo post, dai cromosomi agli incontri fatti per via. Però mi convinco sempre più che alla fine, pur nella differenza generazionale e nelle differenze che pure tra loro sanno esprimere, i figli hanno sempre qualche tratto ben marcato e riconducibile a uno o a entrambi i genitori: come si dice dalle nostre parti "un pomm pò no fà un perr"... Io non credo ai rami ritorti che provengono dalla pianta retta: forse quella pianta è stata troppo retta, o lo era vista da fuori e non tra le mura dove, tu ben sai, succedono spesso le peggio cose. Comunque dici bene: i figli sono un dono e non un progetto. .."voi siete gli archi da cui i figli, come frecce vive, sono scoccsti in avanti. L'Arciere vede il bersaglio sul sentiero dell'infinito e vi tende con forza affinchè le sue frecce vadano rapide e lontane. Affidatevi con gioia alla mano dell'Arciere; poichè come ama il volo della freccia, così ama la fermezza dell'arco" K.Gibran

Wilma ha detto...

Quante volte ho riflettuto su quanto scrivi, Giorgio. Sia come professionista che come madre. Più come madre, forse. Cerco gli ingredienti, le connessioni, ascolto storie a milioni. Pensare che siano le compagnie è semplificare, in realtà in primo piano c'è sempre e comunque la famiglia. O quelli che, tecnicamente, noi chiamiamo "gli adulti allevanti". Ci sono i genitori e le loro reciproche storie, ci sono i fratelli, le sorelle, i nonni e gli zii; ci sono le relazioni che intercorrono tra tutte queste persone e (ormai mi sono arresa!) pure una bella dose di fattori biologici!
Condivido il finale, tenerissimo, che proponi. Son convinta che ciò che conta davvero, alla fine, è avere e fornire sostegno nell'avventura solitaria della vita. Ti abbraccio.