sabato 22 dicembre 2012

Cambiare il mondo

Foto by Leonora
Nessun Natale ha la rincorsa lunga di quando cade di martedì, con una vigilia che a volerla spremere dura tre giorni. Una manna, specie per i tiratardi come me, anche se non bisogna abbassare la guardia perché il tempo vola e inciampare è un attimo. Tra i buoni propositi che faccio ogni anno c'è quello di godermelo appieno, di dare valore e priorità alle cose che contano, come lo stare insieme agli altri, la convivialità, il dono inteso come sorpresa, pensiero per l'altro, ma mi accontenterei di non esagerare con il carattere ostico e gli sbalzi d'umore da nervosismo. Come tutte le vette, infatti, Natale può altresì rappresentare un abisso. Forse è per questo che a molti non piace e alcuni proprio lo detestano: il Natale amplifica tutto, nel bene e pure nel male.
La solitudine ad esempio. Immagino che nessun altro giorno possa essere triste come un Natale passato senza affetti, qualcuno da poter invitare o essere invitato. Ma anche la malinconia, il dolore per le persone care che non ci sono più. Nelle altre settimane dell'anno è una ferita con cui coesistiamo mentre in queste feste torna a bruciare, sale sparso sulla carne, fitta che si insinua inesorabile sotto pelle e stringe il cuore, desiderio di tornare ai momenti sereni che invece non ritorneranno più, così come l'abbraccio di una madre, il sorriso di un padre, l'allegria di un figlio, certe tavolate che via via si sono spolpate, lasciando ora soltanto pareti grigie e il chiasso gelido di un televisore acceso.
Persino nella compagnia però il Natale può fare da apice alle tensioni, ai contrasti magari rimandati per assenza di incontro. La litigata più feroce tra mio padre e mia madre fu la mattina di un Natale di moltissimi anni fa. Avrò avuto otto anni e ricordo le urla che mi svegliarono nel sonno, i rimbrotti vicendevoli, le accuse, le offese, la rabbia che montava e io impotente, appena oltre la soglia della cucina, con gli occhi e i pugni chiusi, insieme al terrore che fosse la fine di tutto e l'unico desiderio che la smettessero, che facessero la pace, che tornasse l'armonia. L'armonia tornò, non ho memoria se già nel pomeriggio di quella giornata o a Santo Stefano o la settimana dopo.
Mio padre e mia madre erano caparbi e nessuno dei due sottomesso all'altro, si fronteggiavano come leoni nella savana, rizzando la criniera e mostrando denti ed artigli (senza tuttavia che mai una mano fosse alzata o che l'aggressività delle parole sfociasse nella violenza del contatto). Li detestavo per questo, giuravo a me stesso che sarei stato differente, invece sono cresciuto a loro immagine e somiglianza. Me ne accorgo da una mezza frase di Giovanni, oggi, dopo una banale seppur vivace discussione tra me e Isabella, di quelle che hanno tutti i mariti e le mogli, credo. "Litigate sempre" sussurra, quasi tra sé e sé, e a me si scioglie il cuore, ripiombando quarant'anni addietro, quando alto un metro e cinquanta e preoccupato ero io. Spero che lui sia migliore di me, che non ripeta i miei errori, anche se ne dubito. Più dai bei discorsi come questo, infatti, i nostri figli imparano dall'esempio. Perciò, invece di ostinarmi nell'ottenere ragione, faccio leva su me stesso e stacco il piede dall'acceleratore, facendo spuntare un sorriso. Ci vuole così poco a cambiare il mondo. Peccato me ne ricordi e lo metta in pratica così poche volte all'anno.

1 commento:

andre ha detto...

grande post...grazie di cuore un caro augurio