domenica 10 gennaio 2016

Il riflesso di Medusa (Raccontare storie)

Foto by Leonora
Ci sono mattine come questa, umide, con la nebbia, mattine di gennaio che sembra novembre, in cui il silenzio è come una mano che avvolge, mentre il tempo scorre lento, tanto che è quasi un rumore, l'unico che puoi percepire.
Mattine in cui penso al valore di raccontare storie, perché se vedo o leggo di un padre che sgrida il figlio mi commuovo, mentre se sono io quel padre resto indifferente.
Raccontare storie è il gesto di Perseo che uccide Medusa senza guardarla negli occhi, usando lo scudo per scorgerla attraverso il riflesso, evitando così di rimanere pietrificato.
Rimanere pietrificati è l'equivalente di quel restare indifferenti di cui scrivevo prima, quell'ostinazione nel compiere un'azione nonostante ci si renda conto che è sbagliata, senza però trovare la forza e il coraggio di cambiare registro. Mi accade nei piccoli gesti, come appunto sgridare esageratamente un figlio oppure discutere in famiglia su dettagli da niente o arroccarmi in un silenzio ostinato, ma pure in alcuni atteggiamenti a mente fredda: una certa pigrizia, ad esempio, evitando di fare qualcosa di utile, con costanza e medoto.
Oggi perciò chiedo perdono a Giovanni, per tutte le volte che lo prendo in giro sottolineando un suo difetto; a Isabella che deve sopportare i giorni in cui mi chiudo a riccio e ho i nervi a fior di pelle, tanto che è inutile sia trattarmi con riguardo sia prendermi di petto; alle persone povere che mi tendono la mano mentre passo oltre, con la scusa che non potendo aiutare tutti tanto vale preoccuparsi di nessuno; agli amici che non sento da parecchio e che spesso mi vengono in mente, ma con il proposito di voler dare loro molto non faccio neppure quel poco che basterebbe per far sentire che sono a loro vicino.
Chiedo perdono oggi, sapendo che domani tornerò ad essere in difetto, sollevato però dalla constatazione che non tutto è perduto, poiché riesco ancora a distinguere giusto e sbagliato.

P.S. Pioveva a dirotto nel primo pomeriggio di otto anni fa, quando camminavo accanto a mio padre per l'ultima volta, io mano nella mano ai miei figli, lui in una cassa di legno. Essendo negato nel ricordare le date è stata mia madre a fare memoria di questo anniversario, eppure io che non credo nei segni qualche segno - devo ammetterlo - lo avevo ricevuto, in sogno, ieri l'altro, quando nel dormiveglia mi sono trovato a pensare al grande nulla, che c'è dopo, come un buio intenso, un'assenza totale, un vuoto nero, in quel momento però non spaventevole, accogliente anzi, come una tregua dal tutto. Così mi sono trovato a pensare alla morte, con la consapevolezza tuttavia che essa non fosse la fine e che la pace che sentivo fosse dovuta alla sensazione che dietro quella barriera, quella bolla color pece, ci fosse qualcuno, per l'esattezza mio padre, che stava sorridendo.

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