giovedì 1 luglio 2021

Non finiscono mai (Tranne questo)

L'hai superata d'un balzo, con un tuffo anzi, come quando ci si getta in acqua e si trattiene il fiato, annaspando per risalire in superficie, per rivedere luce e orizzonte attorno.
Cinque anni senza encomio, ma pure senza fallire un colpo, senza dare preoccupazioni eccessive, se non quelle legate alla tua età, alla fortuna di un ragazzo cocciuto ma altrettanto solare, brillante, limpido.
Una maturità ridotta negli esami, guadagnata tuttavia sul campo, con gli ultimi ventiquattro mesi vissuti a regime ridotto, spesso prigioniero di quattro mura, privato dei compagni di classe nel banco accanto, costretto in casa proprio negli anni in cui la natura umana spinge a uscire, a slacciarsi le cinture di sicurezza del nido domestico.
Non sono mai stato accondiscendente, ho cercato di non prestare il fianco all'autocommiserazione, convinto come sono che ogni evento è una prova e la chiave per superarla è sempre dentro noi, mai fuori.
Nemmeno però sono ottuso o cieco, ammetto che ti è stato tolto qualcosa e quel qualcosa era unico, poiché diciott'anni si hanno soltanto una volta nella vita e la tua è una generazione che al rigo tra addizioni e sottrazioni può presentare un conto.
Come sai non mi importa il voto, non mi è mai importato. I voti, ho scoperto da poco, nella storia scolastica sono introduzione relativamente recente, prima si valutava soltanto l'abilità o meno, se eri considerato preparato oppure no.
Assai più per me conta la passione che alcuni tuoi docenti ti hanno instillato, la curiosità sollecitata, l'apertura mentale, l'educazione all'approfondimento, al ragionare con la propria testa, lo spirito critico.
Non so ancora cosa farai, quale strada imboccherai, sei rimasto con tutti abbottonato, probabilmente lo sei persino con te stesso e anche questo è normale: raramente a diciannove anni si cammina in un solco segnato, con una meta chiara in testa.
Quando avevo la tua età mio padre, tuo nonno, mi dettò una regola stretta e ampia al tempo stesso: "O studi o lavori".
"Tertium non datur" avrebbero detto i latini.
Per lui infatti era essenziale questo: che non si restasse sospesi, senza fare nulla, con la mani in mano.
Allora mi pareva una banalità, più tardi ne ho apprezzato la saggezza, poiché rimanere in moto, aggiungere passo dopo passo, porta sempre da qualche parte, anche quando non si sa bene dove andare e c'è nebbia o neve o caldo o gelo.

P.S. Sulla fotografia scattata fuori dal liceo, insieme al disegno di un cuore, t'hanno scritto "Fine". Invece è un inizio.


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