"L'uomo non muore per il fatto di essersi ammalato, ma gli capita di ammalarsi proprio perché fondamentalmente così può morire".
Michel Foucault
Ho fatto una scoperta curiosa: le piante possono essere paurose. Oppure avere coraggio, a seconda del caso.
Come racconta Peter Wohlleben: "Lasciar cadere le proprie foglie è una decisione che dipende dal carattere dell'albero: il pauroso (o a seconda dell’interpretazione, il saggio) se ne sbarazza per sicurezza una o due settimane prima. Questa prudenza, però, la paga con la sospensione anticipata della produzione di zucchero, perciò dovrà cavarsela con meno scorte per l’inverno. Se la primavera successiva dovesse ammalarsi, potrebbero mancargli le riserve.
Come racconta Peter Wohlleben: "Lasciar cadere le proprie foglie è una decisione che dipende dal carattere dell'albero: il pauroso (o a seconda dell’interpretazione, il saggio) se ne sbarazza per sicurezza una o due settimane prima. Questa prudenza, però, la paga con la sospensione anticipata della produzione di zucchero, perciò dovrà cavarsela con meno scorte per l’inverno. Se la primavera successiva dovesse ammalarsi, potrebbero mancargli le riserve.
Il temerario, invece, lascia le foglie sui rami fino a quando gli è possibile. Ogni giorno di ottobre è un guadagno: l’albero mette da parte il raccolto a palate, mentre il pauroso vicino a lui sogna la primavera successiva. Se tira troppo la corda, però, verrà accolto di sorpresa della prima gelata notturna, che lo farà cadere nel primo torpore invernale, con le sue foglie brune attaccate per tutto l’inverno", dunque in balia di intemperie e colpi di vento.
Una rivelazione che, lo ammetto, mi ha emozionato. E da qualche giorno guardo il placido faggio che presidia il giardino di casa con altro occhio, cercando di capire se mi somiglia, per carattere, oppure se è diverso da me. Come se guardandolo potessi vedermi a specchio, intuendo di me qualcosa di nuovo o imparando da esso a cambiare sguardo, atteggiamento.
P.S. Ho scritto che guardo il faggio con occhi nuovi, ma non è vero. Guardo con occhi nuovi tutto, da quando "La saggezza degli alberi" è diventata compagna di viaggio.
In particolare, ad affascinarmi, è il loro "ragionare" in termine di specie, senza il predominio dell'individuo che noi esseri umani, mettendo al centro l'io, da millenni abbiamo maturato.
La specie o la natura, come potremmo definirla, ha priorità contrastanti rispetto al singolo.
"Rispetto alla specie - spiega serafico Umberto Galimberti - noi siamo dei funzionari. Veniamo fatti nascere, crescere, ci viene fornita sessualità per essere generativi, aggressività per la difesa della prole, poi ci viene tolta l'una e l'altra cosa e veniamo fatti morire. Noi interessiamo esclusivamente come ricambio organico. La specie vive della morte degli individui. Noi resistiamo a questo evento, ma è il nostro destino. La natura, la specie, è caratterizzata da una crudeltà innocente".
Crudeltà, è vero.
Eppure non sono inquieto, sgomento, impaurito - ne sarà fiero, il faggio - perché almeno vista così, da quel punto di vista, pure la malattia, la sofferenza, la morte, hanno un senso.
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