lunedì 24 ottobre 2022

La sindrome di Giove (E se…)

E se, come gli alberi che sotto stress (per siccità, malattia, attacco di un fungo…) temendo per la loro sopravvivenza, producono sovrabbondanza di frutti, di semi, anche gli esseri umani presagendo o ritenendo inconsciamente di intendere una fine imminente, fossero portati a rispondere al richiamo della specie, al desiderio atavico e fortissimo di riproduzione…
E se la mente non conoscesse ciò che invece il resto della persona (“il cuore”, “le viscere”, uno dei molti nomi con cui la sapienza antica ha chiamato il “sentire senza sapere”) avverte, percepisce…
E se davvero l’essenza della vita passasse dal tallone di Achille, dal gomito di Àmico, dal fianco sotto il braccio di Aiace, da quei pochi o da quell’unico elemento di vulnerabilità, di fragilità, di debolezza che ci caratterizza, ben più profondo e più vero del lato migliore di noi, "quello che - come scrive Alessandro Gelain - non sbaglia mai, che ha sempre successo, che non teme nulla e che non ha bisogno di nulla. Mentre anche la persona più forte, più sicura di sé, ha un piccolo, limitato, circoscritto spazio della pelle in cui è vulnerabile. Noi cerchiamo di nascondere questa debolezza e ce ne vergogniamo, mentre dovremo andarne orgogliosi, in quanto in tutta l'inflessibilità della nostra vita, quella piccola vulnerabilità rappresenta il luogo dove possiamo essere veramente feriti, abbattuti, dove possiamo tornare ad essere degli esseri umani"...

P.S. A proposito di vulnerabilità. “L’animale che mi porto dentro” di Francesco Piccolo è un romanzo piacevole da leggere e nel contempo custode e rivelatore di una profonda verità, su noi, sui maschi: il resoconto parziale e insieme sostanziale di un genere che risponde a istinti atavici, forgiati in milioni di anni, e a strutture culturali che di anni ne hanno soltanto migliaia, ma comunque tanti.
“Sopravvivenza e riproduzione” quelli principali, detti appunto di “specie”.
Io la chiamo “Sindrome di Giove”, prendendo a spunto i racconti dei miti greci e romani, con l’insaziabile voluttà del maggiore tra gli dei, colui che ha saputo aggiogare l’inesorabile trascorrere del tempo (Cronos) sopravvivendo più a lungo possibile e soprattutto spargendo seme, fecondando, riproducendosi.
E se la cultura ha posto distanza tra istinto e azione, l’istinto comunque rimane: non nasconderlo, ammetterlo, è il primo passo per contenerlo o almeno conviverci, serenamente, senza lacerazioni o  insanabili fratture.

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