Tre sono le sciagure che per me stesso più temo.
In ordine d’importanza: che capiti qualcosa ai miei figli; che prenda un male di quelli in cui la mente è lucida ma incapace di dare ordini al corpo; ciò che chiamiamo demenza senile o “morbo di Alzheimer”, per cui si vive ma non si è più se stessi al modo in cui ci conosciamo.
Lo so, non sono argomenti allegri.
In ogni caso, i primi due neppure li considero, tanto sono abissi profondi, tali per cui sprofonderei in un buio da uscirci pazzo soltanto al pensiero.
Con il terzo invece comincio a ipotizzare di scenderci a patti, almeno in teoria - che tra il dire e il fare, tra l’essere e l’immaginato, c’è sempre un salto triplo - e il motivo ha a che fare con questo blog. Rileggendo post del passato infatti già adesso mi capita di pensare: ma l’ho scritto io? Fatico infatti a riconoscere la mia mano. Non per il contenuto, condivisibile tuttora al cento per cento, bensì per la forma, per le parole scelte, la formulazione delle frasi, che mi piacciono sì, ma come se le avesse composte qualcun altro.
Forse hanno ragione quei filosofi di cui mi parla Giorgia, secondo i quali non siamo sempre la stessa persona, un “unicum”, bensì esseri diversi di attimo in attimo, poiché l’esperienza ci cambia sostanzialmente di continuo e il me stesso che ha iniziato a scrivere dieci minuti fa non è il Giorgio che mette un punto adesso.
Se dunque dovesse capitarmi la ventura di non ricordare nulla, di non riconoscere neppure i volti di chi amo adesso (che poi è il vero terrore di ciò che chiamiamo “morbo”), sarà come un essere già morto, eppure continuare a vivere, rinascendo ogni momento, restando aperto al mistero.
P.S. Lo so, potevo scrivere qualcosa di più divertente o evitare semplicemente l’argomento, che tante sono le persone che a ciò che si reputa “brutto” non vogliono neppure pensare, per scaramanzia o scrupolo. Però ho una regola: con le giuste parole si può parlare di tutto. E il rischio di urtare la sensibilità di qualcuno mi fa meno paura della mancanza di coraggio nell’ammettere una debolezza e dire certe cose ed essere sincero, innanzi tutto con me stesso.
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