Un paio di settimane fa sono andato ad ascoltare Sandro Sallusti, per lo stesso motivo per il quale l'anno scorso ero a sentire Nicola Porro. Stessa rassegna, identico salone affacciato sul lago, profondamente diversi loro, pur scrivendo per la medesima testata.
Sono schietto: Porro l'ho apprezzato, poiché instilla il dubbio, citando fatti; Sallusti mi ha infastidito, riportando opinioni, mistificando e in più ostentando la sindrome di Calimero (noi vittime, noi accerchiati, noi ostacolati, noi etichettati). La sua teoria è: "Siamo tutti uguali", ma non è vero. Tutti prendiamo una "parte", però c'è chi cerca di comprendere le ragioni degli altri e chi invece non ci prova nemmeno, usando le proprie convinzioni come una clava, un martello.
La differenza non sta in destra o sinistra, conservatori o progressisti, liberali o socialisti, bensì tra “pendenti” (opinionisti che parlano ai loro “clienti” e cercano adepti, piegando o cercando di piegare ogni fatto alla loro teoria) e indipendenti (commentatori che di volta in volta valutano i fatti e cercando di comprenderne il buono e il gramo attraverso i loro valori di riferimento).
Gli uni non sono “meglio” degli altri. Semplicemente appartengono a due generi diversi e le persone, possono scegliere quale preferiscono. Una varietà di voci che distingue l'opinione pubblica democratica da quelle di altro stampo. La verità assoluta non esiste, l'unica garanzia di informazione libera è il pluralismo.
P.S. Se lo guardo a ritroso, tutta il mio percorso professionale è una continua ricerca di indipendenza nel giudizio. Cioè un vedere e raccontare ogni cosa come chiedeva Montanelli: "in chiaro scuro". Se infatti si enfatizza il "troppo chiaro" si è dei leccapiedi, se si predilige il "troppo scuro" si diventa canaglie. Sono occhiali, non verità. Però gli occhiali degli indipendenti permettono di dire che il re è nudo, a prescindere che stia simpatico o meno. I "pendenti" lavorano per giornali di schieramento, gli "indipendenti" per testate “generaliste”, come lo sono quasi tutte quelle “locali” per altro, nelle quali l’appartenenza è quella di un territorio, in cui c'è sia chi la pensa in modo, sia chi in quello opposto. Ecco perché a Brescia mi trovo a mio agio: pensare alle ragioni degli altri diventa necessario, esattamente come per i Sallusti, Belpietro, Travaglio, Fabozzi è obbligatorio restare nell’alveo dell’opinione omogenea del loro gruppo.

Nessun commento:
Posta un commento