venerdì 20 marzo 2009

Impastare parole



Riprendo in mano "Alzaia", di Erri De Luca. E' raro che rilegga un libro: le mie letture sono a immagine e somiglianza del mio vivere, corro e accumulo ripromettendomi di tornare un giorno indietro e di sostare su ciò che in genere sfioro con un dito. Non è così. Non mi fermo, vado avanti, sbuffando come la locomotiva di un vecchio treno, macinando terreno, fino a che non so nemmeno più da dove sono passato, dimenticando ciò che ho visto dal finestrino e colto soltanto un istante, visione veloce, embrione di un desiderio. Sono stato dai miei diciannove anni un divoratore di pagine, onnivoro. Lo sono tuttora. Un paio di giorni fa però, mi sono fermato. D'accordo, fermato è una parola grossa. Diciamo che sono tornato indietro, riprendendo a correre da un punto già sorpassato. "Alzaia" sono pagine d'appunto. Le rileggo volentieri. Mi piace De Luca, perché ha "una testa che impasta sempre parole" e fa diventare letteratura il letterale, non badando soltanto ai rami, al senso ultimo delle parole, bensì al primo significato, alla loro radice. Per associazione d'idee, penso al mio mestiere, a quell'artigianato delle parole che è fare la cronache delle giornate, di ciò che succede in città. Scrivere articoli, raccontare storie. Penso ai tanti ragazzi che vorrebbero farlo per professione e non mi vengono in mente altri consigli di tenere duro, di restare aggrappati a quel desiderio con i denti e con le unghie e non perdere mai la passione di farsi domande e cercare risposte. Il resto è talento e soprattutto metodo: mettere la notizia nelle prime cinque righe; pensare un finale e specialmente un inizio non banale; usare gli aggettivi con parsimonia che sfiora l'esser tirchio; raccontare i fatti e far parlare e le persone, senza perdersi in proprie teorie; rileggere il tutto, frase per frase, con gli occhi della propria madre e domandarsi: "Avrebbe capito?". Se la risposta è sì, non sarà un brutto articolo. Ed è tutto.

Foto by Leonora

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