Foto by Leonora |
Me ne ricordo oggi, di lui, di mio padre, perch'è morto un altro Bardaglio: Ugo, di Lezzeno.
Qualche settimana fa ero andato a trovarlo, in casa di riposo, dove l'avevano da pochi giorni ricoverato. Essendo noi parenti alla lontana, era la prima volta che lo facevo, senza immaginare che sarebbe stata insieme l'ultima. Si vedeva tuttavia quanto fosse provato ed era stata la stessa moglie ad avvisarci che non si trattava di semplice vecchiaia, che c'era d'ostacolo qualcos'altro.
Di Ugo ricorderò sempre le mani diafane, dalla pelle sottilissima e quelle pupille colore del cielo quand'è giugno, un pozzo d'azzurro, turchese acceso. Sorrideva tutto, non soltanto gli occhi, quando mi vide sulla porta e compresi chi ero. Non alto di natura e reso curvo dalla malattia alle ossa, mi avvolse in un abbraccio da figliol prodigo ritrovato.
In vita, lui e mio padre si sono incontrati raramente e mai negli ultimi cinquant'anni. Abitavano a poche decine di chilometri l'uno dall'altro, senza sapere esattamente dove. Erano figli di un'altra epoca, non quella dei telefonini, di Internet, della comunicazione prima di tutto e la consapevolezza che esistevano, che erano parenti, era flebile, un riflesso d'infanzia, quando vivevano in Valtellina, mio padre appena nato e Ugo già ragazzo fatto e finito, pronto a prendere la strada dell'emigrato.
E pensare che a Lezzeno mio padre passava spesso e sono convinto che abbia incontrato più volte la moglie di Ugo, andando per lavoro nell'officina dove lei aveva un impiego, senza che entrambi avessero il sospetto dell'esistenza l'uno e dell'altro. Queste considerazioni posso farle io, che ho intrecciato le informazioni pian piano, mentre loro camminavano in universi paralleli, ignorando il filo che li univa nel destino. Ogni tanto mio padre diceva: "Sì, c'è un Bardaglio che ha casa sul lago" ma era un'ipotesi vaga, che svaniva veloce, come un fiocco di neve quando lo si tiene sul palmo di mano. Lo stesso valeva per Ugo, che una volta, tanti anni fa, passando per Lurate con il suo camion ebbe la tentazione di deviare e indovinare la strada dove la mia famiglia ha messo radici, in quel posto chiamato Barozzo, dove lui una volta era stato. "Poi però non ebbi il coraggio" mi ha detto, quando l'ho incontrato, quasi scusandosi per quella fretta nell'accantonare il proposito buono.
Chissà se finalmente si sono ritrovati, ora.
Chissà se in qualche dimensione, in qualche posto, possono finalmente incontrarsi e stupirsi e battersi la mano in fronte e darsi degli sciocchi per non essersi mai cercati davvero, per aver lasciato scorrere una vita tra mille rinvii e cose più importanti da fare mentre l'essenziale era proprio quella scartata, rimandata, lasciata in un angolo.
Ovviamente spero che esista, quel posto, perché vorrebbe dire che un giorno li raggiungerò anch'io, anello di congiunzione nello spirito. Ma se anche se non fosse così, se all'azzurro e al nero dei loro occhi facesse eco soltanto il buio, m'hanno lasciato una lezione che non scordo: qualsiasi siano gli impegni, qualunque urgenza nella vita si abbia, nulla è tanto importante da non accantonare tutto e fare visita alle persone a cui siamo legati dal sangue o da un patto d'amicizia pur siglato in un tempo lontano.
1 commento:
Gli affetti e chi li genera come i dolori e le gioie non ci abbandonano mai.E non possiamo fuggire da loro,
sono il succo della nostra esistenza.
Chi rinnega o dimentica ha perso il senno.
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