Chi si ferma è perduto. Al massimo si può diminuire la velocità di crociera, così da gustare meglio il panorama, che nella vita equivale agli incontri, a ciò che restituisce calma, piacere, bellezza, oppure scegliere un diverso punto della pista. Nel lavoro, ad esempio, mi piace partire dal fondo e non per caso, né per modestia, mi occupo dell’ultima pagina, quella delle lettere al direttore. Da lì infatti si ha il polso di ciò che pensa la gente reale, senza filtro o censura, e ogni giorno, rispondendo a questa o a quello, si scrive un piccolo editoriale, trasformando le parole in goccia.
P.S. Restare un passo indietro non mi pesa, ma non ho problemi a occupare la prima fila, com'è capitato lo scorso martedì, all’inaugurazione della mostra per gli ottant’anni del GdB, avendo l'onore di rappresentare le centinaia di giornalisti che hanno lavorato il GdB e le decine che lo confezionano tuttora, nelle sue varie forme, cartacee e digitali.
Il discorso che ho fatto è stato breve, cominciando con il ricordare che un giornale ha una sua importanza non soltanto di per sé, ma per il territorio a cui appartiene e che racconta. Un territorio senza un suo giornale di riferimento, è un territorio più povero e che si impoverisce.
“Oggi, con questa mostra, rendiamo tributo non a un giornale, bensì al Giornale, questo nostro giornale, con le molte originalità che lo distinguono.
Ne potrei citare molte, ne scelgo tre.
La prima è un’eredità culturale, dipende dalla città in sé, da una città che da duemila anni conosce ricchezza, economica e di riflesso culturale. Una ricchezza ch’è sedimentata e che pretende dal giornale che ne sia all’altezza.
La seconda originalità concerne il modo in cui è nato il Giornale di Brescia, mettendo insieme - come in un crogiolo, potremmo dire, evocando il primato che qui ha da sempre la metallurgia- varie forze, ideologicamente anche distanti tra loro, ma che in un dato momento storico, con un comune obiettivo, hanno trovato unione e forza. Quello spirito, quella vocazione a rappresentare l’intero arco costituzionale delle idee, dei pensieri, delle aspirazioni, continua, così come non cessa quella libertà data da una tradizione forte e da un editore puro, che non ha interessi di bottega, ma cuore per l’intero “sistema Brescia”.
“Oggi, con questa mostra, rendiamo tributo non a un giornale, bensì al Giornale, questo nostro giornale, con le molte originalità che lo distinguono.
Ne potrei citare molte, ne scelgo tre.
La prima è un’eredità culturale, dipende dalla città in sé, da una città che da duemila anni conosce ricchezza, economica e di riflesso culturale. Una ricchezza ch’è sedimentata e che pretende dal giornale che ne sia all’altezza.
La seconda originalità concerne il modo in cui è nato il Giornale di Brescia, mettendo insieme - come in un crogiolo, potremmo dire, evocando il primato che qui ha da sempre la metallurgia- varie forze, ideologicamente anche distanti tra loro, ma che in un dato momento storico, con un comune obiettivo, hanno trovato unione e forza. Quello spirito, quella vocazione a rappresentare l’intero arco costituzionale delle idee, dei pensieri, delle aspirazioni, continua, così come non cessa quella libertà data da una tradizione forte e da un editore puro, che non ha interessi di bottega, ma cuore per l’intero “sistema Brescia”.
La terza originalità è invece dovuta all’età di questo giornale, agli ottant’anni, che sono moltissimi, in relazione alla vita di ciascuno, ma lo qualificano come relativamente giovane se si pensa agli altri grandi giornali a cui si paragona, agli stessi dove ho lavorato io, ai cento e trentatré anni de La Provincia di Como, ai centoventisei anni de Il Cittadino di Monza, ai cento quarantacinque dell’Eco di Bergamo. Ottant’anni dunque sono un tempo relativamente breve per un giornale ed è una "gioventù" che io noto limpida, per lo spirito effervescente, brioso che ha, per la voglia di fare, per come ha raccolto le sfide del digitale, ma pure perché in piena crisi, quando tutti gli altri quotidiani tiravano i remi in barca, Brescia ha investito capitali ingenti per una sede nuovo, bellissima, che profuma di futuro e in cui si sta bene, si lavora bene.
Ecco perché il taglio del nastro non celebra soltanto il passato, ma è di buon augurio per il futuro, per altri ottant’anni - minimo - di vitalità e presenza”.
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