mercoledì 18 febbraio 2009

Mettiamo giacche


Ho molti appunti che ripeto a memoria, per timore di scordarli e a cui mi piacerebbe dedicare un post. Prima però volevo raccontare una cosa urgente, di cui porto notizia da mesi ma che per la prima volta ho realizzato oggi.

Stasera infatti ho incontrato la crisi. Sì, la famosa crisi di cui tutti parlano, noi giornalisti per primi, lo tsunami economico che viene da lontano (dall'America, persino) e i cui venti, le cui alte maree sono state annunciate a lungo. Gli effetti li registriamo ogni giorno. Aziende che chiudono, scenari cupi, cassa integrazione massiccia, previsione fosche, incertezza per il futuro... Tutto ciò, tuttavia, era l'eco di un rumore lontano. Sì, qualche ditta ha chiuso, ma ce ne sono altre che funzionano. Sì, qualcuno è rimasto senza lavoro, ma c'è la cassa integrazione. Sì, i prossimi mesi si annunciano duri, ma c'è una fine per tutto e sarà solo questione di tempo, basterà tirare un po' la cinghia e trattenere magari il respiro. Cose che passano insomma...

Stasera però, terminata la riunione a scuola, per consegnare le pagelle, mi ha fermato un amico. Un caro amico, pakistano, gran lavoratore (uno dei più grandi lavoratori che conosca), che ha sei figli ed è venuto in Italia vent'anni or sono e che qui ha realizzato il suo sogno, comprando casa, pagando un mutuo.

"Giorgio - mi ha detto - se senti qualcosa, qualcuno che cerca lavoro, dimmelo, perché da settimana prossima sono a casa, la ditta chiude e con la cassa integrazione e basta io non vivo".

"Mi spiace" sono le uniche parole che gli ho detto, che sono stato capace di dirgli. Lui mi ha sorriso, d'un sorriso buono, unico, e ha continuato. "E' tanto tempo che cerco, ma non c'è niente. Hanno lasciato a casa anche mio figlio (suo figlio studia all'università ed è bravissimo, nonostante lavorasse già part-time) ".

Sono state però le ultime due cose che mi ha detto a lasciarmi sconcertato, sgomento. Le due cose sono queste: "Giorgio, dimmi anche se cercano lavoro per una ragazza, magari in un bar o dappertutto. Mia figlia fa la prima superiore ma non ce la facciamo e piuttosto che far smettere mio figlio, che ha soltanto tre anni per finire l'università, meglio che lasci lei. E' dura, Giorgio, è dura. Pensa che non accendiamo da due mesi il riscaldamento: mettiamo giacche".

Non sorrideva più, quell'amico, mentre lo diceva, ma l'ombra gli è passata subito ed è tornato l'uomo cortese e positivo, pieno di dignità che ho sempre conosciuto e che per me è sempre stato un esempio e che stasera mi ha fatto capire che la crisi non è solo una parola che scriviamo noi, sui giornali, ma un fatto vero, un sacrificio vissuto.


Foto by Leonora

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