domenica 16 agosto 2009

Resto senza (altre) parole


Mi piacciono le parole. Per questo scrivo. Mi piacciono le parole: come sono fatte, cosa significano, che origine hanno, il loro suono quando si pronunciano. (Pronunciare, ad esempio. L'ho appena scritto e mi chiedo se è la parola giusta per esprimere ciò che intendevo. "Pronunciare: articolare per mezzo della voce". Credo di sì, era il verbo azzeccato. Avrei potuto scegliere anche "dicono": era più semplice, ma faceva meno scena, credo sia per questo d'istinto ho preferito "pronunciano" a "dicono"). D'accordo, scendo dal lettino dello psicanalista di parole e giungo al nocciolo. Mi piacciono le parole, sia prese singole, sia messe in fila, una a una. Quando scrivo mi piace masticarle, stenderle di getto e poi tornare indietro e rileggerle, cambiarle - s'è il caso - o provare a dare loro un nuovo ordine, una diversa scansione, cancellarle persino. Provo ammirazione per coloro che scrivono di getto, per un talento naturale, per coloro che neppure debbono rileggere ciò che hanno scritto, poiché il pensiero s'è posato già così perfetto che non è stato un parto, bensì uno svelamento, uno srotolarsi preciso e netto, nero su bianco. Provo ammirazione ma non farei mai, con loro, il cambio. Poter tornare indietro, cancellare, aggiungere, aggiustare, affinare... (il "labor limae", come m'ha insegnato Maddalena) è un piacere sublime, oltre che l'unico modo che conosco per esprimere un concetto scritto. L'ho fatta tanto lunga, per riportare una bella parola che ho trovato oggi, ascoltando un passo della lettera di San Paolo (Romani, 11, 1-15), che a sua volta ricorda il profeta Elia. Il Signore d'Israele, al suo profeta che si lamenta di esser lasciato solo, risponde che non è così, che ha riservato per lui settemila uomini: un "resto" li definisce. Un resto. Poteva scegliere cento altre parole, più comuni, più usuali, più - secondo un filo logico - adatte e invece San Paolo (o chi ha scritto per San Paolo o chi ha tradotto chi ha scritto per San Paolo) ha scelto proprio quella. Mi ha così sorpreso quella parola, che continuo a pensarci. Non che non abbia fatto altro, tutto il giorno, ci mancherebbe altro. Però ogni tre per due mi tornava in mente e allora ho voluto appuntarla qui, chiedendo scusa a chi si aspettava chissà che ed è stato trascinato dalla curiosità sin qui, trovando soltanto un finale senza fine o, forse meglio, una fine senza finale.



Foto by Leonora

3 commenti:

Wilma ha detto...

Ho lo stesso tuo amore per le parole. Le scelgo, le ascolto, le sostituisco, le modifico. Scrivo e torno sui miei passi. Costantemente. Talmente pedante da mettere, ed esigere, la punteggiatura anche negli sms. E' uno dei piaceri della mia vita. Giocoso e impegnativo. Molto coinvolgente.

Anonimo ha detto...

In cio' che scrivi mi sorprende ritrovare quei pensieri pensati nell'intimo, fra le pareti private del mio personalissimo mondo interiore, espressi da te, una persona, credo, tanto diversa da me e dalla mia indole inquieta.
Anch'io subisco il fascino delle parole. Mi piace pronunciarle, ascoltarle,scriverle,donarle e riceverle in dono. E soprattutto credo in cio' che promettono.Saperle scegliere,misurare,creando empatie o antipatie,determinando un "inizio" oppure una "fine", modulando un percorso, e' senza dubbio un talento. Ma l'umanita' che condividiamo credi basti a renderci simili? e le parole di cui ogni relazione umana si nutre, a comprendersi?O esse celano un'ambiguita' nei molteplici sensi che ciascuno vi trasferisce ed imbrogliano i sentimenti che affidiamo loro? Il mio amore per esse talvolta e' compromesso da questo timore. Beatrice

Anonimo ha detto...

quello che stavo cercando, grazie