Guardo "Ombre rosse" di John Ford, un film western che mi faceva impazzire quand'ero bambino. Lo rivedo ora e penso che - essendo stato girato nel 1939 - è più vicino all'epoca in cui è ambientata la vicenda (con cow-boy, indiani, dilegenze, fucili Winchester e tutto il resto) che a quella attuale. Allora, visto nel televisore Mivar in bianco e nero che si accendeva grazie a un trasformatore pesante, rumoroso e grigio, sembrava un prodigio della modernità, ora è esso stesso un reperto storico. In quegli anni mi pareva che tutto fosse immortale, che la storia umana, che l'intera creazione universale esistesse solo per dare compimento al bimbo che ero, principio senza fine di tutto. L'esatto opposto di quanto credo adesso, avvertendo fisicamente la sensazione che tutto muta e che in quest'enorme e pur spettacolare ruota che gira, nulla si conserva, né i pensieri, né le opere e neppure la memoria. Tempo. E' solo questione di tempo e ogni cosa finirà, tutto verrà cancellato. Non è un pensiero triste. Ammetto anzi che la qual cosa mi consola, perché toglie l'ansia di rimanere aggrappato sul piano inclinato, di lasciare impronta di sé più a lungo di quel paio di generazioni che seguiranno. Anche se fossero dieci, cento, mille, arriverà sempre l'ora in cui il tempio in tre giorni verrà distrutto.
Non c'è speranza allora? No, tutt'altro. Perché spesso le apparenze ingannano.
Foto by Leonora
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