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Foto by Leonora |
Venti righe. Indro Montanelli sosteneva che in venti righe si può raccontare tutto. Bastano tre parole invece per spiegare le ragioni di questo blog: comunicare, in libertà. Per il resto, vale per me ciò che scrisse Jorge Luis Borges, "I miei limiti personali e la mia curiosità lasciano qui la loro testimonianza".
martedì 29 maggio 2012
Sull'onore (piccolo vocabolario dei valori perduti)
giovedì 17 maggio 2012
E' da questi particolari che si giudica un giocatore
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Foto by Leonora |
P.S. Sono contento per Giacomo, che nel primo tempo ha vagato per il prato a caccia di farfalle ma nel secondo e nei supplementari ha corso e sputato l'anima. Sono contento per i suoi compagni, nella speranza che abbiano imparato della vita una lezione: mai arrendersi, mai mollare. Sono contento per gli allenatori e per la Parediense, che è fatta di brave persone, generose nel dedicare ai ragazzi tempo e risorse. Mi spiace per i ragazzi del Turate, che ieri ce l'hanno messa tutta ed erano già in paradiso prima di vedere tutto crollare. Mi spiace soprattutto per i genitori dei due ragazzi che, senza giustificazione, con atteggiamenti maleducati, si sono fatti espellere: oltre a tradire i compagni, credo abbiano fatto dispiacere a chi vuole loro bene. O forse è colpa nostra, di noi adulti intendo, che diamo al gioco troppa importanza. In ogni caso, una barriera, una linea di demarcazione tra il giusto e lo sbagliato la dobbiamo segnare. Confido che si siano resi conto da sé e che la prossima volta ci penseranno due volte, evitando di dare in escandescenze e non ripetendo l'errore.
lunedì 14 maggio 2012
Le azioni del bene (o i bastian contrari del buono)
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Foto by Leonora |
L'altro giorno, casualmente, parlavo di una persona che conosco e che non stimo, pur se sono grato al male che mi ha fatto, perché grazie a molte persone buone che ho al mio fianco, quel danno s'è trasformato in un trampolino. Ora non lo frequento più ma altri sì, altri che subiscono angherie e ingiustizie, grandi e piccole, e verso le quali sento di avere una responsabilità. E' giusto che io abbia voltato pagina, che abbia tolto la polvere dei sandali e richiuso la porta alle mie spalle, oppure ho il dovere morale di non infischiarmene, di sporcarmi di nuovo le mani, di fare qualcosa per evitare che quel male dilaghi?
La risposta è nei molti libri che ho letto, nei film che mi piacciono, nelle storie che sento più affini al mio animo, agli eroi dei sonni innocenti quand'ero bambino e pure adesso, che mi commuovo quando Frodo si incammina verso il monte Fato e Sam lo aiuta a portarne il peso una volta diventato macigno.
La giustificazione, finora, è sempre stata: "Lascia perdere Giorgio, non dargli la soddisfazione di prendertela, non rischiare il peggio, cioè di diventare a tua volta male, rancore, rabbia. Sei sereno, restalo". Oggi però sento di questo atteggiamento il limite e il comodo e avverto l'esigenza di non accampare scuse, di scuotermi dal mondo ideale e di essere attivo. Le azioni del bene appunto. Anche se costano.
giovedì 10 maggio 2012
Piange il cielo ed è in buona compagnia
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Foto by www.lyonora.it |
La sorpresa quest'anno me l'ha fatta Giovanna, che in dieci parole e un numero ha fatto eco ad Aldo e raccontato tutto: "Domani, 11 Maggio. Un pensiero al caro Gianni, amico e collega".
Io per le date sono un disastro. Ricordo a malapena quando sono nato, il resto è sforzo di meningi o oblio, compresi quei giorni che mi hanno marchiato a fuoco. L'11 maggio è stato uno di quelli, anche se Roberta, Fabrizio e Marinella ne conserveranno più momenti, mentre io ricordo sopratutto le sbarre fredde del letto, la mano che gli tenevo e le lacrime che sono le stesse che mi riempiono gli occhi ora, che mi sembra di averlo davanti, che non ci credo che se ne sia andato per sempre, di non poterlo vedere ridere, sentire la sua voce. No, non può essere tutto finito, non possiamo essere scie fredde di cometa, particelle a casaccio fatte uomo per caso e poi dissolte nel nulla.
Nel frattempo, nell'attesa che sia svelato il mistero, tiriamo dritto, andiamo avanti, senza troppe scene, cercando di portare nel cuore più ricordi possibile, immaginandolo ancora qui, potendogli dire ciò che forse non ci siamo mai detti per bene, cioè che gli volevamo bene, che era tutto per noi, e che abbiamo imparato anche dai suoi difetti, che non se ne faccia un cruccio adesso, che siamo ciò che lui avrebbe voluto, anche se quando ha chiuso gli occhi non lo sapevamo, non immaginavamo di poterlo essere, tante erano le sue aspettative o forse erano soltanto quelle che pensavamo avesse, mentre per lui andavamo bene così e teneva soltanto la corda tesa, per quel suo carattere che non accettava la rinuncia, il ribasso. Vorrei che potesse vedere com'è diventato alto Alberto, che donna ormai s'è fatta Silvia, come gioca volentieri al pallone Christian e che faccia da furba ha Alice. Carne della sua carne, seme che ha dato frutto, che porterà traccia di lui negli anni, in saecula saeculorum, anche se c'è altro, precisamente quel filo che grazie a lui unisce loro a me a mia mamma a Giovanna ad Aldo e alle decine di persone che l'hanno conosciuto. No, non è vissuto invano. E ora, al buio, accanto al mio letto mi pare di vederlo, vestito elegante, ben pettinato, che ride schiacciando un occhio e si appoggia allo stipite per non perdere l'equilibrio. Lo stesso equilibrio che non perdiamo noi, nonostante lui sia da un'altra parte e ci manca un sacco.
lunedì 7 maggio 2012
Siamo una squadra fortissimi
Il calcio può far male (se preso sugli stinchi), rafforzare le ossa (assunto in dosi omeopatiche) oppure unire, com'è avvenuto in questo scorcio di stagione, con più famiglie e almeno tre generazioni attorno a uno schermo piatto e alle partite in diretta della Juventus. Lo dicevo con Loris e con Angelo: se la tv satellite ha un merito è quello che, non avendola tutti, costringe o, meglio, sprona ad unirsi, ad aggregarsi, a fare gruppo. Ch'è poi la storia dei primi televisori, quelli che trasmettevano il giro d'Italia o il Lascia e raddoppia con Mike Bongiorno in bianco e nero (i colori, stasera, non sono scelti a caso), prima che da fenomeno sociale diventasse privatissimo, ciascuno con la sua bella tele, chiuso a casa propria, in contatto soltanto virtuale con il resto del mondo. Il cerchio qui viene spezzato nelle annate buone dei mondiali di calcio ed è tornato a riaprirsi nelle ultime settimane, sempre per il pallone, con le partite serali della Juventus. Un ritrovarsi tra famiglie che ha portato, oltre a tante domenica sera meno tristi del solito, pure uno scudetto, meno di quattro ore fa. Onore ai vinti (l'arcigno Milan), agli alleati che non ti aspetti (l'orgogliosa Inter), ai vincitori (i ragazzi del mitico Conte, a cui spetta un monumento per l'impresa compiuta partendo dal bassissimo). Qui però vorrei ricordare la formazione titolare schierata anche stasera, a casa Bardaglio. In porta Anna, che dalla porta e facendo due rampe di scale andava avanti e indietro. Terzino sinistro, guardando lo schermo, Loris, terzino destro Angelo. Difesa a due centrali, con Laura, spesso in piedi, e il sottoscritto. Linea mediana folta, con Amelio, Federico, Giacomo, Roberta e Silvia sul divano, e da sinistra a destra Stefano, Giorgia e Alberto, dietro la punta unica, l'agile Giovanni, libero di spaziare su tutto il fronte d'attacco, basta non frappoorsi tra la squadra e il video. Fantasista: Isabella, che in quanto a fantasia ne ha parecchia, vedendo un calcio tutto suo. È con questa squadra, perfetta nello schema quattro - cinque - tre - uno - uno, che abbiamo vinto il campionato. In tribuna (in alto in alto, ma il più contento di tutti) nonno Gino, che se fosse stato ancora vivo avrebbe saltato tutto il secondo tempo, non reggendo la pressione, preferendo la quiete del pollaio, salvo poi precipitarsi in casa e saltare di gioia come un grillo, urlando e abbracciando tutti, uno a uno. Un abbraccio che io anche questa sera ho sentito. Forza Juve!
Foto by Leonora
domenica 6 maggio 2012
Ogni cosa a suo tempo (pro memoria per me stesso)
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Non è questo tuttavia il motivo per cui lo scrivo, bensì per una risposta che mi ha dato. Questa: "
La mia fidanzata è una tipa tranquilla. Le piace stare sul divano, faccio fatica a farla uscire di casa e a portarla da qualche parte". Ma come - ho pensato - questi hanno venti o trent'anni e giocano a far la coppietta pucci pucci, a recintare la propria intimità tra le mura di un soggiorno, a indossare i panni del pensionato, senza altra pretesa di un televisore acceso, un plaid caldo e magari pure una tisana verso sera, alle dieci e mezzo?
È allora che m'è suonato in testa un campanello: vuoi vedere che la linea continua che conoscevamo - dall'infanzia alla vecchiaia - s'è geneticamente modificata e non si capisce più un cavolo? Il cavolo, anche quello amaro, si comprende eccome. Basta osservare i molti giovani (molti, non tutti) che giocano a fare gli adulti avendo come orizzonte soltanto divano e telecomando. Di contro, esistono moltissime donne e altrettanti uomini dell'età di mezzo (dai quarant'anni in poi) che sono tutti un ribollir di emozioni, che nei casi più disperati non perdono un brunch o un happy hour e in quelli migliori hanno una predisposizione naturale a godersela, a sparar le (ultime) cartucce senza pensarci troppo, perché "la vita è una sola e tutto il resto può andare al diavolo". In questa fascia, ovviamente, ci sto anch'io, non esente da questo piano inclinato che m'è dolce persino, quando riesco tutto sommato a tenere un equilibrio cioè a non scordare che non sono vecchio bacucco o votato soltanto alla casa e al lavoro ma nel contempo neppure pretendo di scalciare come un puledro e imitare Fabrizio Corona nell'eccesso.
Morale: non so se esista una morale. Però al mio amico trentaseienne ho ricordato che il proverbio "ogni cosa a suo tempo" suggerisce di non impigrirsi troppo sul divano, men che meno scimmiottando il gioco "della mamma e del papà" che invece di anni ne hanno sessantuno. Lo stesso vale per me stesso e per i molti miei coetanei (e coetanee), ricordando che un conto è vivere appieno la vita, evitando noia e appiattimento, un altro trasformare lo svago, il divertimento, il piacere di sentirsi vivi, tuttora giovani, in una fuga patetica dalla realtà che termina dieci volte su dieci in un ancora più patetico risveglio.
Foto by Leonora
Morale: non so se esista una morale. Però al mio amico trentaseienne ho ricordato che il proverbio "ogni cosa a suo tempo" suggerisce di non impigrirsi troppo sul divano, men che meno scimmiottando il gioco "della mamma e del papà" che invece di anni ne hanno sessantuno. Lo stesso vale per me stesso e per i molti miei coetanei (e coetanee), ricordando che un conto è vivere appieno la vita, evitando noia e appiattimento, un altro trasformare lo svago, il divertimento, il piacere di sentirsi vivi, tuttora giovani, in una fuga patetica dalla realtà che termina dieci volte su dieci in un ancora più patetico risveglio.
Foto by Leonora
sabato 5 maggio 2012
In principio la parola (i giochi di parole son venuti dopo)
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Vabbé, non volevo metterla giù dura. Dopotutto, che saranno mai le domande fondamentali dell'uomo ("Chi siamo? Dove andiamo? Ci sarà posto?" riassumeva Woody Allen) per disturbare la stolida quiete a immagine di occhio bovino d'un qualsiasi sabato pomeriggio?
P.S. Come Alkaselzer, visto che a Clara e a qualcun altro erano piaciuti, aggiungo qua qualche altro gioco di parole, di quelli che m'invento nelle notti in cui non giunge il sonno.
Mors tua... Ahia!!!
Natale con i tuoi... Pasqua con i buoi
L'erba del vicino... se l'è fumata lui
Tra moglie e marito... C'è la e
Gallina vecchia... fa l'uovo sodo
Chi di spada ferisce... è maldestro
Una mela al giorno... ha rotto i maroni
Sposa bagnata... un po'... (qui ometto una volgarità)
Se son rose... fanno tre euro l'una
Ride bene... chi non ha i denti guasti
Patti chiari... Walter Smith (questa è per intenditori)
I panni sporchi... puzzano
Chi fa da sé... rischia di diventare cieco
Chi ha tempo... beato lui
Finché c'è vita... devi allargare la cintura
Ogni lasciata... si sente sola
Paese che vai... Fermati!
Scarpe grosse... risuolarle costa un patrimonio
Dimmi con chi vai... Fatti i cavoli tuoi!
Chi non risica... preferisce il Monopoli o il Trivial
Se non è zuppa... ho preparato i crostini per niente
Foto by Leonora
martedì 1 maggio 2012
Fiore di (primo) maggio
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Io sono tra i fortunati che ne hanno uno tagliato su misura per loro, pur se non sempre è stato così e per anni e anni l'ho desiderato senza raggiungerlo. Parlo del lavoro, a cui il giorno odierno è dedicato, festa senza lustrini, trombette, cappellini buffi e stelle filanti, un primo maggio sobrio, specie in questi mesi di equilibrio precario.
Veniamo da decenni dove averne uno era scontato, almeno dalle mie parti. Bastava un pizzico di buona volontà e qualcosa si trovava, con spesso la prospettiva di migliorare, poiché le brave persone erano contese. Non è più così e ciò che prima era indifferente o addirittura mal sopportato ora lo vedo come un piccolo paradiso, perduto.
Ripenso a mio padre e all'Ambrogio, suo socio. Rispetto a loro ho avuto una vita facile facile, non mi sono mai spezzato la schiena, non conosco il gelo del ferro sulla pelle, d'inverno, né quando brucia, a luglio, né i tagli che ogni tre per due si facevano, la polvere nel naso e il grasso da grattar via dalle mani, a mezzogiorno e la sera, quando si fermavano. Mio padre sopportava benissimo la fatica fisica, lo sforzo di braccia, gambe e busto, mentre soffriva per le pratiche burocratiche, per la contrattazione sul prezzo, per i viaggi in posti che non conosceva e in cui doveva arrivare, col camion. Ricordo che al mattino, dopo la scodella di caffélatte con dentro il pane avanzato il giorno prima, aveva degli strappi di vomito. A vuoto. "E' il nervoso" spiegava, le volte che lo incrociavo e sembravo più preoccupato del solito. Il "nervoso" era condizione che lo accompagnava sempre, anche nell'unica settimana all'anno - a metà agosto - che si prendeva.
Me ne sono ricordato l'altro giorno, quando alla partita di Giacomo ho incontrato Amelio, che di mio papà era amico e quasi coetaneo. Parlavamo di Pep Guardiola, che ha lasciato il Barcellona motivando l'abbandono con la stanchezza per quattro anni faticosi e con la necessità di prendersi qualche mese di riposo. "Alùra ùl to pà e l'Ambroes - mi ha detto Amelio, in dialetto - a dùevan fermàs dudàs an ogni trì mes". Tradotto: allora tuo padre e l'Ambrogio dovevano fermarsi dodici anni ogni tre mesi di lavoro".
Ecco perché questo primo maggio lo dedico a loro, a tutti coloro che non possono fermarsi e a quanti invece fermi lo sono già, non per colpa loro.
Foto by Leonora
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