Un equilibrio precario, in cui mi barcameno, ogni giorno, in molte situazioni, dalle più spicciole a quelle esistenziali, che riguardano il lavoro, gli affetti, le relazioni umane, l'amicizia.
Un confine labile, che raramente distinguo e mi fa sentire quasi sempre in colpa, per aver fatto troppo o troppo poco, senza mai giusta misura.
Tra i due estremi, solitamente scelgo la prima, la disponibilità ad insistenza limitata, stretta parente della pigrizia e che è un po' per la coscienza come il detergente Ava, quello che sbianca che "più bianco non si può".
La seconda, invece, la pratico meno e con più frustrazione, specie quando allo sforzo di continuare a bussare alla porta, non c'è replica alcuna e dall'altra parte nessuno apre, al massimo sorride, ringrazia, rimanda.
Non è un caso.
Per carattere non sono un "fondatore di imperi", un leader carismatico, un conquistatore, un ammaliatore, né chi persegue senza sosta una causa.
Preferisco fermarmi sulla soglia, anche se in questo periodo avverto impellente la necessità di prendere, insieme con il coraggio, la faccia tosta, e rompere le scatole, osare, difendendo e propugnando ciò che ritengo giusto. E quando mi viene da lamentarmi per non essere ascoltato, dovrei considerare la possibilità che faccia a me stesso da zavorra, non credendoci io per primo, abbastanza.
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