venerdì 18 ottobre 2019

A occhi chiusi (Darsi pace, un dono prezioso)


"Sono un paio di giorni che soffro come un cane" mi hai scritto, per il cruccio che ti porti dentro, "non avere figli, il tormento di una vita, la ferita più grande, il desiderio tradito".
Ascolto ciò che dici, incapace di aggiungere altro, sapendo che nessuna parola potrebbe rammendare lo squarcio che hai dentro, consapevole che in questi casi è già molto stare in silenzio, mettere una mano sulla spalla, idealmente o dal vivo, chiudere gli occhi, come mi capita spesso, replicando tale e quale l'espressione di mio padre, come la ricordo.
Di fronte al dolore altrui sto così, a palpebre abbassate, come se il buio possa contenere lo strazio, fare da scudo.
Ti sono vicino, cerco di esserlo con chiunque condivide con me un vuoto, anche se non sempre ho la capacità di comprendere quant'è vasto, profondo.
La sofferenza, pure per me, come per qualsiasi essere umano, resta un mistero, confido però in ciò che hai chiosato, concludendo il messaggio e aprendo le pagine di quello che potrebbe essere un libro: "Devo soltanto dirmelo a voce alta e darmi pace".
Darsi pace. Un dono prezioso, un riaprire gli occhi, dopo avere pianto tanto. Un regalo d'umanità, che ci meritiamo.

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