Per anni, fin da quando eri un bimbo che camminava appena e non parlava ancora, ho dovuto fare i conti con il tuo essere terzogenito, con quel tuo bisogno "di luce" - di spazio, di visibilità, di riconoscibilità - per distinguerti dai fratelli che ti avevano preceduto e che rischiavano di rubarti la scena.
Non era un vezzo e ho avuto la fortuna di intuirlo presto, constatando come il terzo figlio occupi in effetti una posizione scomoda (scomoda in molti sensi: a chi mi chiedeva come fosse avere tre figli piccoli, ho sempre risposto che in effetti il terzo mette in crisi poiché, banalmente, non sai dove metterlo, avendo l'adulto soltanto due braccia).
In realtà - te ne accorgerai se avrai nel destino di essere padre a tua volta - vale la medesima regola dell'amore di cui ho scritto prima: ogni figlio affronta problemi diversi, ma la somma totale per ciascuno non cambia e il segreto è vedere sempre il bicchiere mezzo pieno, prendendo il buono che c'è, sfruttando le difficoltà come trampolino, come allenamento per reggere meglio l'urto della vita.
È vero che tu hai incontrato genitori non più in ansia, meno preoccupati di non essere bravi a sufficienza e dunque forse meno premurosi, tuttavia questa apparente "distrazione" ti ha permesso di crescere più libero, meno inchiodato alla responsabilità di dover corrispondere tanta premura, di doverti sentire "all'altezza" (chiedi pure a Giacomo e Giorgia, credo ne sappiano qualcosa).
Non si tratta di una scoperta originale, somiglia piuttosto all'acqua calda, è l'eterna ruota che gira, il perenne percepire dei figli, che suona strano soltanto a chi non si mette mai nei panni dell'altro e non fa tesoro dell'esperienza.
Io, figlio unico, l'ho appreso per interposta persona, avendo in dono la frequentazione di amici con famiglie numerose, in cui ciascuno lamentava distinzioni che a guardarle a tessuto rovesciato erano nel contempo vincolo e fortuna.
Così come vincolo e fortuna è per me avere voi, tutti, una famiglia numerosa a mia volta.
E per famiglia non intendo soltanto io e te e tua madre e i tuoi fratelli, ma anche zii, cugini, nipoti, nonna, amici, comunità intera, dove siete cresciuti, dove vivete, dove costruite relazioni e vi mettete alla prova.
Perché questo ho imparato dei figli: non siete "nostri", siete affidati a noi, per un pezzo di strada e l'unico possesso che è concesso è al plurale, quello in cui ognuno vive in relazione con gli altri, trovando di volta in volta il proprio posto sul palco, da protagonista.
P.S. Ho scritto che sei cresciuto non per arbitrio, bensì per una constatazione, una consapevolezza precisa, giunta al termine della serata finale dell'oratorio estivo, quando ho letto - commosso - queste tue parole postate su Instagram.
"Tristezza, emozione, ma tanta felicità.
Questi i sentimenti provati ieri sera e durante queste tre settimane molto intense.
Tristezza perché è un capitolo della vita che si chiude, perché che piaccia o no, una fine arriva sempre. Tristezza perché guardandomi intorno non vedevo più le stesse persone che mi hanno accompagnato fino all'anno scorso e capivo che ormai il mio tempo qui era finito.
Tristezza perché è un capitolo della vita che si chiude, perché che piaccia o no, una fine arriva sempre. Tristezza perché guardandomi intorno non vedevo più le stesse persone che mi hanno accompagnato fino all'anno scorso e capivo che ormai il mio tempo qui era finito.
Tristezza perché non sono più quel ragazzo quattordicenne che si apprestava ad iniziare il suo cammino come animatore, ma sono quel ragazzo diciottenne ormai alla fine di un'avventura.
Emozione perché vedere nei volti degli animatori più piccoli degli occhi pieni di voglia di fare e mettersi in gioco mi faceva trepidare.
Emozione perché vedere nei volti degli animatori più piccoli degli occhi pieni di voglia di fare e mettersi in gioco mi faceva trepidare.
Emozione perché trascorrere ancora un Grest con gli amici con cui ho iniziato è stato stupendo.
Emozione per tutti i complimenti ricevuti, per tutte le persone con cui ho condiviso questo percorso.
E infine tanta felicità.
E infine tanta felicità.
Tanta felicità perché sono riuscito a mantenere all'oratorio la promessa che gli avevo preannunciato, cioè dare ciò che lui ha dato a me.
Eh già... questo percorso mi ha dato tanto.
Eh già... questo percorso mi ha dato tanto.
Grazie all'oratorio ho scoperto i miei pregi e anche i miei difetti più grandi.
Grazie all'oratorio ho scoperto la bellezza dello spettacolo, dell'intrattenimento, la mia passione.
E io nel mio piccolo sono riuscito a ricambiare tutto ciò che mi è stato donato, impegnandomi e dando tutto me stesso per far sì che quest'ultimo oratorio feriale venisse bene.
Tanta felicità anche perché credo che il mio continuo "mettermi in gioco", proseguendo a sbagliare e a correggere i miei errori, ha fatto sì che io lasciassi un'impronta di me stesso, di Gio nell'oratorio.
Concludendo posso dire soltanto un enorme GRAZIE all'oratorio, al gruppo fantastico che siamo.
Gio ❤️"
Concludendo posso dire soltanto un enorme GRAZIE all'oratorio, al gruppo fantastico che siamo.
Gio ❤️"
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