mercoledì 15 luglio 2020

Le bionde trecce (Ciao Laura)

Nelle fotografie sbiadite in bianco e nero il biondo non si vede, ma si intuisce. Ti si distingueva così, anche da lontano, quando avevi vent'anni e giocavi uno sport che non era ancora lavoro, che non lo sarebbe mai stato, perfino nelle stagioni in cui i soldi per giocare te li davano davvero.
Tu appartenevi alla generazione precedente, quella degli allenamenti in palestre spesso diverse, prese in prestito, alle otto di sera, per consentire a tutte, commesse e impiegate, di arrivare in tempo.
Sei sempre stata così, in bilico. Tra un ruolo e un altro, tra un'epoca e l'altra, nella vita, come nella pallacanestro.
Quando ieri l'altro ho letto che te ne sei andata, oltre al dolore, allo sgomento, ho pensato che questo è proprio un anno strano, in cui tutti abbiamo avuto il timore di morire e debbo salutare persone mai godute appieno, eppure apprezzate, che hanno lasciato qualcosa di indelebile, nel tempo.
Ricordo gli infiniti momenti insieme, prima che la Comense diventasse il colosso che è stato e che poi crollasse, in uno schianto che non cancella le imprese sul campo.
In quella squadra tu sei stata l'anello di congiunzione, riuscendo a esserci sia quando si lottava per non retrocedere, sia nel momento in cui si puntava a coppe e scudetto: una giocatrice di sostanza, più di volontà che di talento, messa alla prova dalle fuoriclasse che all'inizio degli anni Novanta arrivavano, capaci tra mille distanze di fare gruppo e lasciare qualcosa di buono.
Eri bionda, ma non dentro. Per entrare in confidenza ci ho messo parecchio, nonostante ti vedessi praticamente ogni giorno e non ci fosse una gran differenza di età. Avevi parole misurate, spesso la durezza del volto, che si illuminava soltanto a tratti e in quel caso era come uno sciogliersi, un commuoverti pure quando ridevi, di gusto.
Ti ricorderò sempre così, Laura, con la tuta da basket o in piedi, al chiosco di Viale Varese e poi di Brunate. Come l'ultima volta che ti ho incontrato e non hai voluto lasciarmi andare prima di aver chiacchierato, prima di avermi parlato di Alice, di avermi offerto la colazione e ricordato qualcosa di buffo.
L'ultimo "terzo tempo" l'hai concluso con un'uscita di scena senza palleggio, lasciando tutti noi con il naso all'insù, a guardare la retina vuota del canestro, con però nel cuore l'esempio della lottatrice che sei stata e che dobbiamo essere anche noi, per andare avanti quando invece la tentazione sarebbe di fermarsi, guardando soltanto indietro. 


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