Per definizione comune “il destino presuppone che un fatto sia legato ad altri fatti da una catena di eventi: è una visione deterministica del mondo. La coincidenza, al contrario, spesso implica che le cose accadano per caso, non quindi secondo una determinata catena di eventi”. Per quanto mi riguarda, invece, mi paiono la stessa cosa, soltanto guardata da un punto di vista diverso: prima e dopo.
La linea che li separa, nella vita, è meno netta di quando la si scrive nero su bianco. Dire che possiamo contribuire a creare la realtà, trasformare il caso in destino, ha un suo significato.
Pensiamo a quella che in psicologia si chiama “profezia che si auto avvera”, una previsione che si realizza per il solo fatto di essere stata espressa. Non è scontato, però conta.
La differenza è sottile, la stessa che passa tra conoscere e intuire, tra il sapere e il sentire. Al caso non si comanda, semmai lo si orienta, lo si instrada, gli si prepara un solco dove sarà più facile che si incanali, sapendo che se lo si prende di petto, s’impunta, mentre se lo si ghermisce, lusinga, è più facile che si sdrai nel letto che abbiamo preparato per lui.
P.S. In questi mesi ho un espediente per scacciar le nubi quando l’orizzonte si fa cupo: faccio l’elenco di ciò che c’è di positivo.
Stendo così luce sull’ombra, consapevole che mai tutto è nero e sempre fa differenza la prospettiva, ciò che i nostri occhi scelgono di guardare, il pieno o il vuoto, il buono o il gramo, fuori dalla finestra o dentro un pozzo.
Credo valga in special modo quando si affronta un periodo difficile o si porta nel cuore una pena.
Non esistono bacchette magiche, né ricette miracolose o clausole di salvaguardia: sempre la tribolazione - per uscirne - va attraversata. Creare però degli appigli, compiere piccoli gesti di resistenza, può accorciare la strada.
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