sabato 2 agosto 2025

Ma se verrai (Il cuore in pace)

Tranne forse un paio, il resto dei peccati li ho commessi tutti. A dispetto o forse a conferma delle apparenze.
C'è tuttavia un appiglio al quale appendo il puntiglio della mia indulgenza: ritenere di aver cercato sempre il bene. Che per me consiste in questo: ciò che unisce e non quel che divide.
Amore, amare, lo declino così: un'azione prima che un sentimento.
Un manuale d'uso applicabile ad ogni contesto, nel grande come nel piccolo. Non mi spaventa infatti il vuoto, la distanza o il conflitto, bensì la decisione consapevole di rinunciare a un punto di incontro.

P.S. Qualche sera fa m'è capitato tra le mani un libro e, sfogliandolo, vi ho trovato un biglietto, appuntato chissà dove, chissà quando. C'era scritto così:
«A me farà piacere se verrai, stasera. Molto.
Ma se verrai senza aver compreso a fondo quanto accaduto, allora non venire.
Ma se non avrai il cuore in pace e non sarai serena con tutti, allora non venire.
Ma se la delusione (anche giustificata), il dispiacere (anche comprensibile), la rabbia (anche motivata) sono più forti della capacità di perdonare e di fare tu il primo passo e di tendere la mano, allora non venire.
E se non credi a me o ritieni le mie soltanto belle parole, non scordare che "se giudichi le persone non avrai tempo per amarle"».

sabato 26 luglio 2025

Metamorfosi (Ci si abitua a tutto)

«Forse non a tutti è manifesto (è “patente”) che la parola “patente” sia un participio presente. Il fatto di averla usata sempre come un sostantivo femminile (la patente) ci distoglie da un’analisi corretta».
Luigi Casale

Cosa m'ha insegnato "rallentare" è il racconto della mia difficoltà maggiore: lasciare l'appiglio dello scoglio, abbondonare il certo per l'incerto, la luce - pur se fioca - per lo scuro.
Ci voleva un evento secco e imprevisto per fare leva sulla vongola che sono: il ritiro della patente, a inizio inverno, causa aver usato come navigatore il telefonino. Non si può, "sapevatelo". E se siete abituati a usare il "touch screen" della vostra vettura, quando ne guidate una che ne è sprovvista, non utilizzate quei supporti che reggono il cellulare al centro del cruscotto: per gli agenti che vi accostano e sbirciano dal finestrino siete in difetto e ne pagate le conseguenze del caso. Nel mio, multa salata e ritiro della patente "sine die", nel senso che te la tolgono e non sai quando potrai riaverla e dunque tornare a guidare, se tra quindici giorni o due mesi.
Comunque sia, questo non è che il preambolo, mentre ciò che mi interessa condividere di mio è l'esperienza che ho maturato. Innanzi tutto per i primi tre giorni non l'ho detto a nessuno, con la scusa che potevo fare a meno dell'auto, mentre dal quarto l'ho confidato a una cerchia strettissima di familiari, tre persone in tutto. Il resto s'è sviluppato così: settimana al lavoro, andando avanti il lunedì e il venerdì indietro, in treno, e weekend scarrozzato da altri.
Morale: all'inizio ero mortificato quanto un leone in gabbia, dalla seconda settimana mi sono acquietato, dalla terza ho cominciato a farci l'abitudine e alla quarta mi sono scoperto persino contento.
È l'eterna ruota del cambiamento, quella che spaventa in principio, mentre l'esperienza insegna che tutto si supera, per cui "non avere paura" e non provare apprensione è sempre l'atteggiamento giusto.

P.S. Ma come "dalla quarta" settimana? Avendo io una fedina immacolata e più punti patente della Carta Fragola Esselunga mi è spettata la pena minima, cioè quindici giorni di sospensione. In teoria almeno. Nella realtà tutto procede un tanto al chilo, nessuno ti fa sapere nulla e neppure aver inviato una mail certificata alla Prefettura ha ottenuto per effetto risposta. Così ho atteso paziente e non più “patente”, sentendomi un po' personaggio kafkiano, con la metamorfosi in “appiedato” che mi è piaciuta a lungo. Lo scrivo sottovoce e con pudore estremo, pensando a quanti invece della patente hanno urgenza e bisogno, dovendo fare i conti con uno Stato vessatore, che meriterebbe disobbedienza civile e biasimo.

sabato 19 luglio 2025

A dorso Bruno (Annodare fili)

L'unica cosa in cui non ha avuto fretta è stata morire.
Impaziente di natura, in ampio anticipo ad ogni appuntamento, spiccio nei modi quanto nei discorsi, Bruno se n'è andato a novantasei anni compiuti da pochissimo.
Una sofferenza, quella degli ultimi anni, che la sua famiglia s'è caricata sulle spalle, accompagnandolo mentre si estingueva come un lumicino, dopo che la sua Adelrosa l'ha preceduto, consunto prima nel morale e poi nel fisico.
Quel che resta di Bruno è però altro, a conferma che dall'ultima riga delle favole non si evince il nocciolo di una storia e il lieto fine a volte è accessorio.
Lui, giovane, a Sant'Agostino, in riva al lago, a dorso nudo, come gli piaceva restare anche d'adulto, sintomo di una libertà ch'era l'unico abito che portava cucito addosso: così lo ricordiamo perché così raccontava di sé, con gli occhi scintillanti di chi ha conosciuto la contentezza davvero. "Ho fatto una vita bellissima, sempre quello che ho voluto, senza mai ricevere ordini da nessuno. Anche quando ero in Marina! Che tempi quelli. Avevamo poco, eppure era moltissimo".
Riassunto: se c'è un tesoro che egli ha lasciato in dono è proprio l'assenza di lamentela, il riconoscimento della fortuna ricevuta in dote, la gioia di vivere pienamente appena si può e non quando è troppo tardi e non si riesce neppure ad uscire dal letto.

P.S. Bruno aveva novantasei anni, Anna ne compie ottantacinque proprio oggi e la festeggeremo tutti assieme, a dispetto della sua volontà, che sarebbe quella di soprassedere, di far finta di nulla, di non disturbare nessuno. Anche Anna, come Bruno, comasca nel profondo. Entrambi mi inducono a pensare alla "costrizione" come aspetto positivo e al "dovere" come opportunità, non soltanto giogo. La felicità non è un fiore che si trova per caso, bensì un seme che si mette a dimora e di cui ci si prende cura, passo passo, anche sforzandosi di fare quello che d'istinto eviteremmo. Lo scrivo per me stesso, rigettando l'idea che la spontaneità sia criterio dirimente tra giusto e sbagliato, ma anche per i discendenti di Bruno. Non tanto per i figli, Fulvio e Danila, la cui storia è garanzia di vicinanza, bensì per nipoti e pronipoti. Fisicamente non avranno più un punto di sutura comune nella casa del nonno e a volte ritrovarsi comporterà un impegno, a tratti addirittura un peso, ma essere "famiglia" è proprio riuscire a superare quel balzello e lasciare che il bene faccia da collante, riannodando i mille fili che Adelrosa e Bruno hanno tessuto.

sabato 12 luglio 2025

La ruota che gira (Io fermo)

È arrivato. Quel tempo è arrivato. L’avevo previsto diciotto anni fa, nel secondo post di questo blog che nel frattempo è cresciuto e s’è moltiplicato.
Allora - era il 2 ottobre del 2007 - immaginavo e temevo di diventare un giorno come mio padre, che si era arreso alla tecnologia e perdeva la pazienza subito. “La regola del videoregistratore” l’avevo chiamata, perché quello fu il primo apparecchio con il quale rifiutò di cimentarsi, di comprenderne i tasti, il funzionamento.
“Tra un po’ sarai come tuo padre, che non ha mai imparato ad usare il videoregistratore” aveva ironizzato il mio amico Marco un paio di giorni prima.
Oltre a scriverci un post, quelle parole mi hanno sempre accompagnato. Compreso stasera, al ritorno da Brescia, sbuffando quanto un mantice, constatando che la password del wifi era cambiata, che non si collegava più la tv, che il decoder non dava traccia di sé e compariva la scritta: “Nessun collegamento, controllare il cavo”.
Il cavo non l’ho controllato, ho borbottato invece stizzito, forse pure imprecato, mi sono seduto sul divano e rinunciato in partenza, con una frase tipo: “Ecco, torno a casa una volta la settimana e non funziona nulla!”.
Giovanni, che stava uscendo, è tornato indietro e con voce calma mi ha detto: “Tranquillo, ci penso io”. Ci ha pensato. E risolto. In quarantacinque secondi, forse uno meno. Poi mi ha dato un bacio sulla testa, ha sorriso benevolo ed è sparito.
È stato lì, in quel momento, che ho realizzato: sono entrato in quella fase di vita in cui tutto è complicato, l’alba di quel tempo in cui il mondo finisce di essere “il tuo mondo”. A differenza di diciotto anni fa, quando al sarcasmo di Marco mi ero ribellato, ora capisco di essere più pigro, meno disposto a rimboccarmi le maniche, stare al passo delle stagioni.
O forse no. Forse, se mi impegno, posso spostare un passo più in là il declino, posso diventare come coloro che ammiro perché pur a una certa età vogliono sempre imparare qualcosa di nuovo, anche nella tecnologia, non soltanto dell’essere umano o della storia, della politica, della fisica, della letteratura o della filosofia, che adoro.

P.S. Non sono soltanto il router del wifi e le impostazioni del computer. Quando osservo i miei figli mi accorgo quante capacità hanno, a che velocità ragionano, come affrontano i problemi pratici. L’altro giorno, ad esempio, scrutavo Giorgia mentre era in riunione, in videoconferenza, e mentre gli altri parlavano utilizzava l’intelligenza artificiale per comprendere meglio, in tempo reale, con un’abilità da pianista e la tranquillità di Tom Cruise con gli schermi di “Minority report”. Perciò io mi impegnerò per non arrendermi, ma quella partita è persa, l’hanno vinta loro, com’è giusto che sia, in quell’instancabile ruota che è la vita. Ma proprio per questo non sono triste, tutt’altro. Penso infatti alle ricchezze che mi aspettano su un altro terreno, quello delle relazioni quiete, delle riflessioni profonde, delle emozioni forti, dei sentimenti senza imbarazzo, dei piaceri semplici, delle scoperte sorprendenti, del non dover dimostrare nulla e nel prendere al volo quello c’è, di gramo e di buono.

sabato 5 luglio 2025

Alla fine del giorno (Partendo dalla rana)

Nel diario minimo dell’accadimento quotidiano registro i benefici di una pratica di apparente ingordigia esotica: mangiare la rana.
Letteralmente “Eat the frog”, frase idiomatica che indica la tecnica di affrontare subito le attività difficili o sgradevoli della giornata, tutto ciò che pesa di più, per primo.
Nelle ultime settimane lo faccio spesso, guadagnandone in efficienza e tranquillità dello spirito. Che poi le giornate corrono in discesa, come l’addobbo dell’albero di Natale dopo che hai piazzato in cima la stella o l’angelo.

P.S. Sull’inizio del giorno ho detto, sulla fine invece ho in mente l’ultima pagina consegnata in tipografia, ieri l’altro, cambiando un dettaglio. Ne parlavo questa mattina con Kadir, che è ancora nell’alba degli anni e si sta affacciando ora sul mondo del lavoro. La differenza tra patirne le fatiche oppure trarne massima soddisfazione sta tutta lì, nel piacere intrinseco di fare il proprio mestiere al meglio. Un articolo ben scritto per me, una pasta alla carbonara cucinata “bene e veloce” per lui. Il compenso economico, il prestigio che ne deriva, il riconoscimento altrui sono tutte conseguenze, che possono arrivare o meno, mentre il piacere, l’orgoglio, il gusto dell’artigiano nel realizzare la propria opera è il vero motore della produttività. E soprattutto garanzia di un’esistenza felice, vissuta appieno (di quelle che alla fine del giorno, quando vai a letto, a prescindere da tutto, sei contento).

sabato 21 giugno 2025

La vita larga (Lezioni senza parole)

Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le rocce ti insegneranno cose che nessun maestro ti dirà”.
Bernardo di Chiaravalle 

Dopo una certa età, le mattine migliori sono quelle in cui non si ha sonno e si sperimenta ciò che Recalcati chiama “la vita larga”, la capacità di vivere pienamente, intensamente, ogni momento, riempiendolo di emozioni, sentimenti, significati.
Me ne sto seduto così, sul terrazzo di casa, mentre a partire da est tutto attorno si illumina e nel giardino prendono forma i contorni di alberi e arbusti. Assomigliano ai figli: anch’essi hanno vita propria e crescono quando non li osservo (un po’ come il gatto di Schrödinger!), mentre sto facendo altro. Ed esattamente come loro, qualcosa mi insegnano, ricordandomi che le lezioni più vere sono quelle che non hanno bisogno di parole.

P.S. Qualche esempio, sotto gli occhi. Il fico, dai tralci teneri, pericoloso da salirci e fragile al punto che un colpo di vento può abbatterlo intero, mentre è al massimo dello splendore, eppure ogni volta risorge, incessantemente, con polloni capaci di generare nuovi rami, inestirpabile com’è l’amicizia, tra persone vere. O il faggio, maestoso di fronde, che si ritaglia lo spazio vitale facendo ombra e togliendo, a chi sta sotto, il sole, incarnando un egoismo crudele, eppure prezioso per la specie. E il calicanto, che mette i fiori per primo, a febbraio, fuori stagione, distinguendosi con un profumo che inebria le narici, a dimostrazione che la bellezza autentica si riconosce sempre e non si percepisce soltanto con gli occhi.


domenica 1 giugno 2025

L’età relativa (Saper cambiare)

(Lo so, lo so che detesti esser fotografata)
Tra poco saranno ottantacinque e so che non li festeggerai o almeno non organizzerai nulla, anche se docilmente accetterai il nostro ritrovarci, metterci attorno a un tavolo in tanti ed essere conviviali, a casa, alla buona.
Sarà che sono lontano cinque giorni su sette e ti vedo pochissimo, sarà che il tempo leviga i caratteri e smussa gli angoli, sta di fatto che mi sembri più tenera o forse sono io a provare tenerezza e a vederti sotto una luce ancora più tenue, calda.
Ho sempre stimato di te il misto di dolcezza e ostinazione, i gesti di generosità concreta e l’essere arcigna nel difendere chi ami.
Di recente rimango ammirato, oltre che dalla resistenza, anche dal tuo adattarti, dal riuscire tuttora a cambiare, a stare al passo dei tempi, a migliorare.
Due esempi.
Sulla resistenza basta dire che nel febbraio di un anno fa, cadendo, ti spezzavi entrambi i malleoli e sette mesi dopo eri già in auto, alla guida.
Sul cambiamento invece cito le pietanze, il tuo sperimentare piatti nuovi, traendo recente ispirazione dalle trasmissioni tv e adattandole, affinando un talento che hai sempre avuto senza ostentazione.
Lo scrivo come pro memoria per me stesso, che con l’età tendo ancor più a irrigidirmi, eccedendo in pigrizia, oltre che in presunzione.

P.S. L’età. Un’unità che misuriamo con precisione, esattamente come facciamo per grammi, litri, metri, senza renderci conto di quanto sia limitante piegare la realtà alle nostre categorie mentali. Lo pensavo qualche giorno fa, associandolo alla circostanza per cui gli esseri umani per migliaia di anni, dovendosi spostare, non calcolavano la distanza da un luogo all’altro in miglia, stadi, leghe o chilometri, bensì in “tempo per arrivarci”. Un valore che dunque mutava in base al mezzo di trasporto: era un conto andare da Como a Brescia passando per Monza e Bergamo camminando a piedi o a cavallo o trainati da carro e buoi oppure in treno a vapore. Così, per l’età, i numeri contano, ma non meno di condizioni di salute fisica e mentale, curiosità intellettiva, voglia di vivere.