sabato 20 settembre 2025

Non è mai troppo tardi (Potare e coltivare)

Di mamma ce n'è una sola, anche quando la si vede poco.
Imparo molto da lei, tuttora, specialmente quando non proferisce verbo ed è con l’esempio che dà lezioni di vita, a tutto tondo.
Me ne sono accorto nei giorni scorsi, assaggiando una pietanza che non aveva mai preparato e facendo mente locale che nell’ultimo mese non è la prima volta. Ho ricordato allora le trasmissioni di cucina su cui è sintonizzata la sua tv, realizzando che invece di rattrappirsi su ciò che sa, prende spunto per nuove ricette, dimostrando che imparare non ha età, basta averne desiderio e spirito. E che lei ne abbia è indubbio. Basti pensare che un anno e mezzo fa, cadendo dalle scale, s'è rotta entrambi i malleoli, restando allettata un mese e mezzo, ma già dopo quattro era in piedi e al termine del quinto guidava l'auto.

P.S. "Potare" e "coltivare" sono le due parole che mi fanno idealmente da bussola, in questo scorcio di stagione che è un avvio d’anno, anche se per come siamo abituati a contare i mesi ci siamo nel mezzo.
Sul “potare” dico nulla, pur se è la parte più difficile: d'istinto infatti vorrei trattenere, conservare, accumulare, poiché in potenza tutto potrebbe venir utile per un domani che poi - se devo essere onesto - novantanove volte su cento resta vano.
“Coltivare” è azione ugualmente impegnativa, ma che di fatica me ne costa meno, evocando qualcosa che sento nelle corde: il prendersi cura. In questo da mia madre ho preso moltissimo, anche se lei non è esente da limiti e proprio in questo so di poter fare meglio. E anche in ciò mi è da maestra, non facendomi mai sentire schiacciato, avendomi così aiutato a spiegare le ali, affinché nella vita mi librassi in volo libero, da solo.

sabato 13 settembre 2025

Tra le regole (Un universo)

Ripensandoci, ho commesso un peccato: di supponenza.
Mi riferisco al finale del post di settimana scorsa, alle due regole spicce riguardanti l'amore.
Non che siano inesatte, tutt'altro. "La verità è che non gli/le piaci abbastanza" e "Se non ti fa stare bene non è la persona giusta" rimangono due stelle polari, in grado di orientare le relazioni con l'affidabilità di una bussola.
Altresì la vita mi ha insegnato che nessun bordo nei rapporti umani è tagliato con il bisturi del chirurgo e sovente è proprio nelle sfumature, nei gradi intermedi tra il possibile e l'ideale che alberga l'emozione, il sentimento, la bellezza.
Se così non fosse basterebbe un bilancino per sancire se vale la pena frequentare questa o quello, così come in quattro e quattr'otto si salterebbe alla conclusione, lascia o raddoppia, con precisione certosina. 
Sbagliato. E fuorviante.
I ragionieri contabili sono pessimi consiglieri in questo ambito di vita e nessuno può predire combinazioni ed incastri delle mille variabili che definiscono ogni incontro con la complessità di una formula chimica.

P.S. Che in amore non esistano regole rigide e di razionale ci sia poco o nulla l’ho compreso pian piano, sbattendoci spesso il muso, a mia volta. Altre lezioni di vita le ho scoperte all'istante, mentre la maggior parte non le conosco tuttora e per esse ho una curiosità pari a ciò che per il motore è la benzina. Di imparare, capire, imparare, non sono mai sazio, perciò mi piace leggere, osservare, ascoltare, soprattutto confrontarmi, ch’è nel rapporto, nello scambio di pensieri che le idee si formano, con una nitidezza da far restare increduli sul come mai non ci era apparso chiaro prima.
Poi ci sono momenti di vera e propria epifania. Come l’altro giorno, un mattino di cielo terso e frescura settembrina, quando sono uscito a correre e nella quiete del bosco all'improvviso ho avuto la certezza che tutto sia collegato, che le proprie molecole siano in relazione con altre miliardi di molecole appartenute ai propri avi, alle generazioni e generazioni che ci hanno preceduto, senza sosta, e che ora quelle stesse molecole parlano in noi, come un ripetitore senza tempo, di cui non conosciamo il linguaggio, ma se si è in grado di avvertirne perfettamente (“sentirne”) la frequenza d'onda.

sabato 6 settembre 2025

In amore (Due regole e una forza)

Vengo da una terra che della tessitura è maestra, pur s'è un arte che scivola via dalle dita, con mani sempre meno abili e una vocazione che pian piano va persa.
Nei miei occhi però ci sono ancora gli orditoi, i banchi di stampa e i telai, con pettini enormi e rocchetti di migliaia di fili, che quando se ne rompeva uno c'erano donne che in una frazione di secondo lo riannodavano, un gioco di prestigio che pareva magia.
È lì, se ci penso, che ho imparato uno dei segreti della vita: l'importanza della trasversalità, della relazione capace di trasformare in incrocio ogni linea, come ogni ordito s'appoggia alla sua trama per partorire tela.
Per ogni ascissa, un'ordinata: è così che da singoli costruiamo comunità; è così che andiamo d'accordo, evitando i compartimenti stagni, anche rispetto alle "bolle" in cui tendono a mantenerci per primi i social.
Se l'omologazione risulta infatti rassicurante, è l'ago appuntito delle differenze che permette di sviluppare comprensione, tolleranza, coesistenza.
Penso alla fede calcistica o alla politica, trasversali tra colleghi, tra compagnie di amici, nelle famiglie. E le stesse famiglie, trasversali alle generazioni. E le generazioni, trasversali a loro volta alla fede calcistica o alla politica. Oppure l'amore, di cui la trasversalità è tratto distintivo, oltre che una forza, capace di congiungere ciò che natura o cultura separa. 

P.S. La diversità è ingrediente fondamentale, pure nella coppia. Anche quando razionalmente cerchiamo chi ci è simile, la natura riproduttiva crea attrazione per le discrepanze. Ed è nelle pieghe giganti o minuscole che differenziano l'una dall'altro che sta il cemento dell'unione di lunga durata. Così come, parimenti, fiato corto e orizzonte limitato hanno coloro che restano immobili, che non sono disposti a cambiare, neppure di una virgola.
"Se mi ama, deve accettarmi come sono" è una frase infida, da coltello bilama. 
Siamo noi che, se amiamo, dobbiamo smetterla di essere come eravamo prima di incontrarci e abbandonare il vecchio bozzolo, trasformarci da bruco in farfalla, sbattendo le ali per andare incontro, per lasciare poco a poco o tutto d'un colpo il ramo a cui eravamo aggrappati con forza.
Anche se poi, alla fine, nelle relazioni sentimentali, a due si riducono le regole auree che andrebbero scritte a caratteri cubitali sulle pareti di casa, come i greci dipingevano sui frontoni dei tempi le verità rivelate.
Primo: il noto, ma sempre dirimente “se lui o lei esita, la verità è che non gli/le piaci abbastanza”.
Secondo: lo spiccio ma essenziale “se non ti fa stare bene, non è la persona giusta”.
Il resto è mancia.

sabato 30 agosto 2025

La terza verità (Eccedenza e dimenticanza)

Di me, se avrò la fortuna di diventare vecchio e di avere nipoti e di restare seduto quieto all’ombra dell’ampio faggio che troneggia dirimpetto casa, immagino questa scena.
Un giorno, un pomeriggio, mentre sarò assorto in meditazioni tranquille, di quelle riguardanti il meteo o le pietanze da cucinare per cena o assaggiate a pranzo, sentirò suonare all’improvviso la pesante campana d’ottone accanto al cancello.
Per prima cosa sbufferò, che io - ursus spalaeus - mi indispettisco sempre quando si presenta qualcuno senza preavviso, mentre se avvertono in anticipo non soltanto mi indispettisco, ma pure impreco. Comunque sia, in entrambi i casi, sia una visita preannunciata o meno, i nuvoloni neri si diraderanno in un palpito, perché per educazione mi hanno insegnato a “far la bella faccia” quando si incontra qualcuno.
Con un sorriso ampio accoglierò dunque l’estraneo, che poi estraneo non lo sarà affatto, poiché si tratterà del figlio o della figlia già grande di uno dei miei figli.
In quel caso la contentezza sarà autentica e farò accomodare anch’egli o anch’ella sotto il faggio, e chiederò se desidera un tè, che sono già le quattro, oppure una tisana, una gazzosa, una fetta di torta o altro.
Vengo al punto. Dopo una mezz’ora di chiacchiere, nel momento in cui la discussione abbandonerà il faceto, lui o lei, così, a bruciapelo, se ne usciranno con una domanda apparentemente ingenua, del tipo: «Ma tu, dovessi scegliere una cosa, una soltanto, cos’è che lasceresti in eredità come idea, come concetto?».
Io, lì per lì, fingendomi dubbioso, finanche sorpreso - mentre non lo sarei affatto, perché è da adesso, da anni prima che ci sto pensando - risponderei serafico: «Le auto sono come il mare: restituiscono le cose e te le fanno ritrovare, quando ormai pareva perso».
Stupore.
Sì, lo so. Potevo trovare di meglio.
Però che le auto siano come il mare, cioè che in esse si ritrovi, anche a distanza di anni, ciò che pareva irrimediabilmente perduto, è un dato di fatto. Potrei sciorinare molti esempi, mi limiterò a due: un anello smarrito e cercato ovunque, invano, salvo comparire sotto il sedile, accanto al tappetino, un paio d’anni dopo; un documento letteralmente inghiottito nella vettura finché essa è stata venduta ed è ricomparso allorché il titolare della concessionaria che l’aveva acquistata aveva tolto i sedili per una pulizia radicale, svolta a fondo.
In ogni caso, pur essendo una verità quella delle auto che sono come il mare, si tratterebbe di una frase paravento, di quelle che si usano per schermirsi, evitando di dare eccessiva importanza a ciò che si pensa davvero, per non apparire tromboni o patetici, nel darsi tono.
Potendo liberamente confessare ciò che ho intuito da un pezzo e che vorrei lasciare in eredità, senza troppe spiegazioni, così come si lancia al cane un osso, affinché altri ci rimuginino sopra, a lungo, direi questo: «Dio è eccedenza e dimenticanza». Punto.

P.S. L’ho tirata lunga, auspicando che chi passa di qui apprezzi pure l’affabulazione, la serietà di sguincio, come ornamento. Tuttavia, a parte le convinzioni autentiche sull’auto e su Dio, c’è altro di vero. Questo: quando sarò in là con gli anni vorrei che ogni giorno ci fosse un momento fisso di accoglienza, sotto il faggio oppure se piove o tira vento e fa freddo, in cucina o in un locale arredato con sedie, divani, un tavolo basso e libri tutt’attorno. «L’ora del tè» mi piacerebbe chiamarla, mutuandola dal finale de “Lo Hobbit”, allorché Bilbo dice al resto della compagnia: «Se qualcuno dovesse passare da casa Baggins, il tè è alle quattro. Ce n’è in abbondanza. Siete sempre i benvenuti». Anche nel mio mondo, nonostante l’indole d’orso. Che la vita è bella così, se ti spiazza, se qualcuno o qualcosa ti fa di uscire dal guscio. E anche questa è una verità. La terza, se non ho tenuto male il conto.

sabato 23 agosto 2025

Lo sguardo positivo (Fratelli e sorelle)

"La fai facile tu". "Non essere ingenuo". "Per te va sempre tutto bene".
Me lo sento ripetere spesso e no, non va sempre tutto bene.
Però è vero che mi infastidisce sentire certe frasi, espresse con pregiudizio e pressapochismo: "I giovani d'oggi...", "Ai miei tempi", "È sempre peggio".
No. Anche in questo caso.
Mi ribello al giudizio del "sempre peggio", lo considero un errore di valutazione, un difetto di prospettiva, non comprendere che è una ruota che gira.
So che qualcuno scuoterà la testa e non nego lacune, difetti, storture, contraddizioni nella generazione che si affaccia sul mondo, ma nel complesso né più né meno dei ragazzi e delle ragazze d'ogni epoca.
Un'ostinazione, la mia, per la quale tengo la barra dritta, pure controcorrente, sapendo benissimo che in una società sempre più anziana, qual è la nostra, i giovani sono minoranza.
Se lo faccio è perché credo profondamente in loro, nelle qualità che possiedono: basta saperli osservare con benevolenza, che di occhi così c’è un gran bisogno.
"Io mi sono educato negli anni a guardare il mondo con sguardo positivo" ha dichiarato in un'intervista uno dei miei punti di riferimento ideali, Luigino Bruni. A quella positività cerco di educarmi ogni giorno anch'io.

P.S. Sui giovani sono di parte, lo ammetto, avendone quattro che mi fanno da pilastro e, circondandosi a loro volta di amici, moltiplicano le occasione che ho di confronto, apprendimento, crescita. Grazie ad essi imparo anche il valore della differenza, della peculiarità di ogni essere umano, che pur essendo partorito dagli stessi lombi e cresciuto grossomodo in un'identica maniera, sviluppa un'originalità ch'è come impronta digitale: unica. Chi ha la fortuna di avere fratelli o sorelle sperimenta sulla propria pelle questa distinzione, sottile e insieme profonda, di peso. 

sabato 16 agosto 2025

Il tavolone (Rinnovare il senso)

Sono state vacanze più complicate del previsto, un po’ perché si diventa vecchi e resistenti al cambiamento, un po’ perché nulla è dato una volta per tutte: occorre rinnovare continuamente il carisma, attingendo alla profondità del senso originario.
Il nostro, come famiglia, potrei riassumerlo in questo: la bellezza di stare insieme, anche con poco, e la disponibilità all’apertura, ad essere accoglienti, nonostante tutto.
Soltanto così, con questo spirito, quella “insieme” è una vacanza memorabile, di quelle che hai voglia di farne un’altra, il giorno dopo.
Premesso ciò, la ciambella è uscita col buco anche quest’anno, nel senso che al tirare delle somme è stato bello, permettendomi di conoscere meglio chi per parentela mi è vicino, ma non frequento con assiduità, vedendoci una volta a settimana, un paio d’ore, se va liscio.

P.S. La “regola di Capovalle” potremmo chiamarla, quella scritta sopra in neretto, perché trae spunto dalle decine di volte che abbiamo trascorso lì, sopra il lago d’Idro, il mezzo d’agosto. Lo chalet fatto costruire dal signor Bruno aveva tre stanze con due posti letto ciascuna, un cucinino, un locale d’entrata con camino e un bagnetto munito di doccia, che tra un lavaggio e l’altro dovevi aspettare mezz’ora per non farla al freddo. Per mangiare s’apparecchiava fuori, all’aperto, a seconda di dove picchiava il sole, per scansarlo. Non si stava una settimana ma quanti giorni capitava, a seconda dell’anno, dandosi il cambio con l’altra metà dei Noseda, quando arrivavano, e invitando amici o altri parenti a passare, per bere qualcosa o fermarsi una notte, “che tanto Fulvio dorme sul divano”.
Il casale in Toscana, quest’anno, era un incanto, di bagni ne aveva una mezza dozzina, i locali numerosi e le mura ampie, che riparavano dal caldo, in più una piscina gigante, come quelle comunali: lamentarsi sarebbe stato proprio peccato d’irriconoscenza, giusto ammetterlo. Il momento più bello (e anche profondo, di spessore) è rimasto quello conviviale, della cena o del pranzo, quando eravamo tutti attorno a un tavolone e c’era una gran caciara, e chiacchiere, risate, ottimo cibo e vino buono: come un film di Ozpetek o qualche scena di Sorrentino. So che un giorno rimpiangeremo tutto questo, per il momento ce lo siamo goduti e non è poco.

Post post scriptum: ringraziare qualcuno sarebbe fuori luogo, perché dovrei citare come minimo Angelo, che ha pagato la location; Giulia che si è sbattuta più di tutti per trovare un posto magnifico; Filippo e Fulvio e Kadir, ottimi dispensieri e cuochi d’un certo livello; Manu e Isabella, per l’ordine e il decoro; Michela e Matteo per quel loro modo di stare “dentro” la vacanza, creando legami pur quando restano in silenzio, con in più le star di quest’anno, Vittoria; Roberta, per aver accettato di far parte di questo lato di famiglia, facendo da tramite anche con la sua; Giorgia e Giovanni, perché ci tengono proprio a che siamo famiglia e non soltanto compagni di viaggio. Allora nomino coloro che quest’anno sono passati a trovarci, destabilizzando la nostra protervia quiete e regalandoci occasioni di crescita, come riesce soltanto al “pellegrino” che bussa alla porta, domandando nient’altro che compagnia e ristoro: Giacomo, Annachiara, Matteo, Silvia, Cristian, Bea ed Alberto. Tutt’insieme, un mondo.

venerdì 15 agosto 2025

Tu sii (Fuori dagli schemi)

 
Ho scritto in questi giorni guardando all’indietro, confrontandomi idealmente con chi mi ha preceduto.
Ora mi rivolgo a te, che sei viva e presente, in ogni senso.
Tu, intesa non soltanto come nome proprio che porti e che mi somiglia, bensì alla donna che sei e che siete, tutte, come genere e pure in quanto parte femminile di ciascuno ch’è in noi, maschi inclusi.
La prendo a curva larga, per spiegarmi meglio.
Comincio da un celebre ciclo di lezioni di Baricco, le Palladium Lectures, con l’esempio che portava citando l’arte lirica della Tebaldi, soprano eccelso di metà Novecento, che venne però scalzata dalla Callas, la quale seppe rompere gli schemi, cambiare registro.
Baricco cita anche la bellezza di Kate Moss e la tecnica di Dick Fosbury, quello del salto in alto di schiena, che rivoluzionò l’atletica, introducendo un cambio di paradigma, un ribaltamento del nuovo sul vecchio.
Di mio, dal basso di quel che so, aggiungo il Pascoli. Non quello delle poesie più celebri, l’erede del Carducci e dei suoi versi solenni, bensì quello della sperimentazione, in grado di disintegrare “la forma tradizionale del linguaggio” e sperimentare una poesia immaginifica, fatta di frasi brevi, musicali e suggestive.
Tutto questo per dirti che in un tempo omologato e convenzionale qual è il nostro, appiattito dalle bolle dei social, essere originali senza sentirsi fuori posto è il vero lusso. E combattere la povertà - compresa la peggiore, cioè quella di chi possiede soltanto denaro - può essere una buona missione per dare alla tua vita spessore e senso.
In un mondo di Tebaldi e Carducci, tu sii Callas e Pascoli, senza tentennamento.

P.S. A prescindere da ciò che sceglierai o da quanto il destino deciderà per te, armati non di spada né frecce, semmai di scudo. Che proteggersi e voler bene a se stessi è il primo dovere di chi ha a cuore il bene dell’altro. Un conto infatti è l’espressione sincera, onesta, della propria personalità, considerando la diversità un valore profondo e la tolleranza il collante di tutto, un altro la condanna che ci autoimponiamo affinché tutti vadano d’accordo. Che “accondiscendere” fa già parte del tuo armamentario, un anestetico naturale al conflitto che invece accompagna gli esseri umani quanto un marchio e che di recente - come abbiamo insieme letto - cerchiamo di rimuovere ad ogni costo, sostituendo alla naturalezza dei rapporti un contesto sterile, igienizzato, immune da tutto. Ma “immune” è anche assenza di “munus”, di dono. Ed un mondo povero è proprio quello nel quale, a furia di scartare il negativo, si finisce per stare peggio.