sabato 22 novembre 2025

Sdraiato chi guarda (Diamo ai giovani fiducia, speranza)

Abbiamo un debito, nei confronti di chi ci segue. È la dote che abbiamo ricevuto a nostra volta: positività, speranza, fiducia.
È una generazione di cui aver cura, quella che sta crescendo ora, cominciando da una narrazione che dia fiato, colore, orizzonte, spogliandola dalle incrostazioni che il benessere raggiunto porta con sé e che a noi adulti fa ritenere tutto «mai abbastanza».
Lo scrivo per coloro che hanno la mia età: togliamoci gli occhiali del pessimismo, del brontolio, della nostalgia per ciò che manca. Gettiamo i bilancini, quel misurare miserevole per cui da ogni minimo sforzo occorre ottenere la massima resa. Vediamo quanto di buono c'è, torniamo a sognare, a desiderare in grande, insegniamo con l'esempio che «esistere» è più importante di «funzionare», che ogni ostacolo può diventare trampolino, che gli interessi, le passioni, i sentimenti valgono quanto un tesoro perennemente a loro portata, come tutto ciò che dipende da sé stessi e non è concesso da autorità esterna. 
Il futuro è una pagina bianca, tutta da scrivere, una tela su cui dipingere, non un drappo scuro da appendere alla finestra. E se abbiamo motivi di risentimento, delusioni, rabbia, frustrazione, paura, evitiamo di farcene sommergere e ricordiamo che anche nella fragilità c'è una forza, così come luce entra da ogni crepa (questa è di Cohen, non mia: e lui, in più, la cantava).

P.S. Michele Serra ci ha scritto un libro, di cui molti ricordano il titolo, meno la lezione che insegna.
In ogni caso, proprio per averlo apprezzato, di mio aggiungo che è un po' come per il gatto di Schrödinger: dipende dall'osservatore, dal momento in cui guarda.
«Sdraiati» stanno loro, ma né più né meno di quelli della mia generazione quando avevamo la loro età. E in più, a differenza nostra, hanno un'indipendenza di giudizio e un'autonomia ben maggiore della nostra nel scegliere la loro strada, nel non appiattirsi su modelli altrui, che invece noi ci siamo ritrovati appiccicati addosso quasi fossi una via obbligata.
Sono ottimista, è vero, ma lo ammetto: non mi costa nulla. Perché davanti agli occhi ho i miei figli e i loro amici, colleghi, compagni, ammirando le mille qualità che hanno, alcune delle quali fanno già da cerotto alle storture che lasciamo noi in dote e che partoriscono ansia.
Potrei citare mille esempi che aprono le porte alla meraviglia, episodi minuti ed eventi rilevanti che dimostrano quanto talento, bravura, sensibilità hanno i ragazzi di oggi.
In superficie possono sembrare superficiali, scostanti, apatici e perennemente incollati al telefonino, ma è un difetto (nostro) di osservazione, una mancanza di profondità dello sguardo che finisce con il distorcere la prospettiva.
Ciò non significa siano esenti da difetti o manchino eccezioni negative, tuttavia se guardo all'insieme ho per loro la stessa stima di quella nei confronti di chi ha ci ha preceduto, di coloro che uscendo da una povertà assoluta hanno costruito pezzo su pezzo il benessere di cui godiamo ora.
E quando sento dire che la prossima sarà la prima generazione a ricevere meno di quanto hanno a loro volta ricevuto, provo rabbia e istinto di controbattere. Poi però penso che in fondo è vero, anche se non nel senso economico, bensì per quella «speranza, positività, fiducia» che è la vera ricchezza a dover passare di testimone e che non merita di essere interrotta.

sabato 15 novembre 2025

In memoria di te (Così vero, così vivo)

Sei alto più di me e forte, con quelle braccia e gambe che paiono rami verdi di larice, compatti e tosti.
I lineamenti invece sono rimasti dolci, così come gli occhi, luminosi, tali e quali a quelli del bimbo che eri quando in questa casa - la tua casa - sei arrivato.
Con te sperimento un bene vero, ricambiato. Sei cresciuto migliore di chi ti sta attorno e anche questo è un piccolo miracolo: fa onore a te e stupisce coloro che sanno soltanto misurare, ignorando che nella vita uno più uno non fa sempre due: l'amore moltiplica pure lo zero.
Così ti osservo mentre cucini, in quello che hai scelto per lavoro, e ammiro la tua meticolosità paziente, l'indipendenza d'azione, la confidenza tipica di chi agisce, prima che di ragione, d'intuito. Diventi ogni giorno più adulto, conservando per fortuna tratti fanciulleschi, che sulla soglia del diciottesimo compleanno stridono soltanto per quanti confondono il serio col noioso.
"Benedizione", sei una benedizione, è la prima parola che a te associo, convincendomene ogni giorno che passa, considerando ciò che sei al fondo: un dono.

P.S. C'è stato un tempo che scrivevo molto di te, pur se in forma anonima, poiché non volevo condizionarti e parimenti tenevo al fatto che di te bambino e poi ragazzo non andasse disperso tutto. Facevo memoria ed era una sorta di corredo. Se penso a te riesco a cogliere nitidamente ciò che non so, ma sento: l'esistenza di una rete di connessioni vasta e tuttora misteriosa, ch'è come il mare per i pesci, che essendo ovunque non dà modo di esser percepita dal di dentro. Ricordo il modo in cui sei arrivato; le coincidenze che - prima ancora - ti hanno portato al mondo; quel portento che è la natura, che segue suoi percorsi e non dà soddisfazione agli umani che vorrebbero ordinarla a loro piacimento, avendo la presunzione - la tracotanza - che esista un giusto e uno sbagliato e che lo sbagliato o il giusto siamo noi a deciderlo. Pia illusione. E tu sei qui a dimostrarmelo, ogni giorno, senza dover proferire parola, con quegli occhi scuri e profondi che per fortuna sovente si illuminano.

sabato 8 novembre 2025

Due rimpianti (Per tacer del cane)

Viviamo una stagione in cui dominiamo tutto, soltanto il “tempo” sfugge al nostro controllo. Pur sembrando infinito ne abbiamo poco, è limitato, così cerchiamo di piegarlo, ingabbiarlo, comprimerlo, forzarlo, sottometterlo, suddividendolo, frazionandolo. La rivoluzione industriale ha imposto un modello "a ore" che portiamo tuttora tatuato nel cervello. Un’altra rivoluzione, quella digitale, potrebbe ribaltare le carte sul tavolo e sgretolare la gabbia in cui ci siamo rinchiusi oppure sublimarla, dare un altro giro di vita alla morsa, mascherando per liberazione ciò che in verità è schiavismo.
Di certo è l’unica risorsa limitata, dunque preziosa, che esista al mondo. Assai più dello spazio, per dire. Eppure, non per il tempo, bensì per un lembo di terra i popoli si annientano, per cento metri quadri di casa sacrifichiamo buona parte della nostra esistenza, per accaparrarci materie prime si è disposti a lotte spietate e il denaro, da comodità, è diventato misura e padrone di tutto.
Se penso al mio, d’un tempo, riscontro che faccio cose che fino a ieri l’altro trascuravo. Una  dimensione più contemplativa, la definirei, senza rammarico per esserci arrivato soltanto adesso. “Ogni cosa a suo tempo” è sentenza ineluttabile, prima ancora che buon proposito.

P.S. Ieri l'altro, da qualche parte, ho letto questa frase: “Nessuno, sul letto di morte, si pente di aver passato troppo poco tempo davanti allo schermo di un telefono".
Credo sia vero. Il punto però è: cosa rimpiangerò io?
L'elenco potrebbe essere lungo. Provo a citare le prime due cose che mi vengono in mente, d'istinto.
Primo: sedere a tavola con persone amiche, vivere maggiormente la convivialità, le chiacchiere, le risate, la condivisione dei pensieri, i confronti. Ed essere più audace nel tessere relazioni, bussare alle porte, importunare chi merita di essere ascoltato.
Secondo: stare più a contatto con la natura, lasciarmi ammaestrare da colei che è maestra per antonomasia, in tutto; respirare più pollini nonostante sia allergico, potare più alberi, imparare ad aver cura delle piante, avere cura dei fiori, godermi più Larry, stare con lui sotto il faggio, che specie in questi mesi è uno spettacolo (la foto qui sopra ai dubbi non lascia scampo), tenermelo accanto mentre leggo, vivere quella relazione unica che si instaura tra essere umano e animale, invece di rinviarla colpevolmente, quando appunto avrò più tempo.

sabato 1 novembre 2025

Stelle pendenti (Trova le differenze)

Un paio di settimane fa sono andato ad ascoltare Sandro Sallusti, per lo stesso motivo per il quale l'anno scorso ero a sentire Nicola Porro. Stessa rassegna, identico salone affacciato sul lago, profondamente diversi loro, pur scrivendo per la medesima testata.
Sono schietto: Porro l'ho apprezzato, poiché instilla il dubbio, citando fatti; Sallusti mi ha infastidito, riportando opinioni, mistificando e in più ostentando la sindrome di Calimero (noi vittime, noi accerchiati, noi ostacolati, noi etichettati). La sua teoria è: "Siamo tutti uguali", ma non è vero. Tutti prendiamo una "parte", però c'è chi cerca di comprendere le ragioni degli altri e chi invece non ci prova nemmeno, usando le proprie convinzioni come una clava, un martello.
La differenza non sta in destra o sinistra, conservatori o progressisti, liberali o socialisti, bensì tra  “pendenti” (opinionisti che parlano ai loro “clienti” e cercano adepti, piegando o cercando di piegare ogni fatto alla loro teoria) e indipendenti (commentatori che di volta in volta valutano i fatti e cercando di comprenderne il buono e il gramo attraverso i loro valori di riferimento).
Gli uni non sono “meglio” degli altri. Semplicemente appartengono a due generi diversi e le persone, possono scegliere quale preferiscono. Una varietà di voci che distingue l'opinione pubblica democratica da quelle di altro stampo. La verità assoluta non esiste, l'unica garanzia di informazione libera è il pluralismo.

P.S. Se lo guardo a ritroso, tutta il mio percorso professionale è una continua ricerca di indipendenza nel giudizio. Cioè un vedere e raccontare ogni cosa come chiedeva Montanelli: "in chiaro scuro". Se infatti si enfatizza il "troppo chiaro" si è dei leccapiedi, se si predilige il "troppo scuro" si diventa canaglie. Sono occhiali, non verità. Però gli occhiali degli indipendenti permettono di dire che il re è nudo, a prescindere che stia simpatico o meno. I "pendenti" lavorano per giornali di schieramento, gli "indipendenti" per testate “generaliste”, come lo sono quasi tutte quelle “locali” per altro, nelle quali l’appartenenza è quella di un territorio, in cui c'è sia chi la pensa in modo, sia chi in quello opposto. Ecco perché a Brescia mi trovo a mio agio: pensare alle ragioni degli altri diventa necessario, esattamente come per i Sallusti, Belpietro, Travaglio, Fabozzi è obbligatorio restare nell’alveo dell’opinione omogenea del loro gruppo.

sabato 25 ottobre 2025

Volti e disinvolti (Cercare lavoro)

Le carta della “disinvoltura”, nel mazzo dei sostantivi, è una comparsa. Tra le qualità fa capolino di rado, una semplice damigella d'onore, al cospetto di matrone quali onestà, generosità, empatia, coraggio, pazienza, rispetto, entusiasmo, fiducia...
Io stesso, lo confesso, non è che l'abbia mai considerata. Eppure un atteggiamento di sicurezza, di naturalezza, di “disinvoltura” appunto, nove volte su dieci fa la differenza, in positivo. 
A farmici pensare è stata Maura Gancitano, durante un convegno che ho moderato a Brescia, nel quale di passaggio, quasi con noncuranza, ne ha fatto riferimento, elogiandola.
Un tributo a cui mi associo, riconoscendole la dignità che merita, soprattutto quando è cercata, coltivata.
Esiste infatti una disinvoltura naturale, propria di chi ha un talento, una sicurezza di sé, parente stretta della sfacciataggine, della sfrontatezza.
La disinvoltura a cui invece mi riferisco non si riceve in dono, bensì si acquisisce o, meglio, si costruisce. È frutto dell’esperienza, discende da una confidenza che a sua volta deriva dalla pratica, da un costante allenamento ad affrontare questa o quella situazione.
La prima, quella naturale, è un “carisma”: chi lo possiede, lo stende come un velo, su tutto.
La seconda è settoriale, dipende dal contesto: si può essere disinvolti negli affari e imbarazzati negli affetti; brillanti nei discorsi a tavola e rigidi su una pista da ballo; eleganti con jeans ed anfibi e impacciate quando si indossano abiti e tacchi a spillo; campioni sul campo da calcio e pasticcioni con la racchetta da padel in mano.
In questo senso, la “disinvoltura” è una capacità e come tale può essere appresa e allenata, dunque a nessuno è preclusa e chiunque, impegnandosi, può smetterla di essere… imbranato. Appuntiamocelo.

P.S. Il valore della “disinvoltura” è sottostimato anche in ambito lavorativo. Lo scrivo soprattutto per i più giovani che, mancando di esperienza, è probabile non ce l’abbiamo. Una zavorra che pesa soprattutto all’inizio del percorso, quando un mestiere si comincia a cercarlo. Il consiglio - non richiesto, come lo sono sempre i suggerimenti dei vecchi tromboni - è di osare. Specialmente in principio, non è importante quale lavoro si trova, bensì che si impari a “cercare un lavoro”.
Le prime occupazioni con ogni probabilità non saranno quelle di un'intera esistenza, ma ciò che si apprenderà trovandole quello sì sarà utile per tutta la vita.

venerdì 17 ottobre 2025

Quant'è profondo (Il bene)

Ha compiuto sessant'anni qualche settimana fa e per una serie di sfortunate coincidenze non sono riuscito a festeggiarlo. Stasera, tornando da Brescia e rovistando tra i libri ho trovato casualmente la sua firma, con dedica. Un libricino che mi ha regalato a metà degli anni Settanta e di cui non conservavo memoria.
Raffaele, oltre che un vero "sapiente", è uno dei miei migliori amici, una persona con cui non smetto mai di crescere, pur se ci incontriamo con il contagocce e la mancata assiduità nella frequentazione è uno dei pochi rimpianti di questa vita per il resto piena e generosa. Di contro, se immagino i miei anni futuri, quelli che trascorrerò se riceverò in dono l'abbondanza d'età, mi "vedo" al suo fianco, nel convivio di una tavola apparecchiata e di cibi semplici ma saporiti, come quelli che prepara. Ciò che provo per lui, al netto di tutto, è un "bene" fatto persona, un sentimento che incide e lega e tutto supera, nulla intralcia. Un "bene" che assomiglia a ciò che chiamiamo Dio, “senza misura”.

P.S. Ci sono case e chiese e bar e piazze e spiazzi. Poi ci sono luoghi del cuore: quelli in cui ci si sente a proprio agio. Uno che frequento spesso, di recente, è il duomo vecchio di Brescia, una magnifica basilica romanica a pianta circolare, che si erge massiccia e parimenti è piantata profonda nel terreno, tanto che per raggiungervi il basamento occorre fare due rampe di scale, in discesa. La associo a Raffaele perché un'identica quiete mi ispira, la stessa sensazione di pace, di essere al posto giusto, di non avere più nulla di chiedere, di bastare a se stessi e non essere mai soli. Quelle mura, proprio come l'amicizia, hanno un respiro antico, primigenio, sedimentato nel tempo, capace di fornire riparo, protezione, e allo stesso modo di proiettare verso l'alto, la luce, qualcosa che ci trascende e trasmette unità, nel corpo e nello spirito.
Due lasciti, che a mia volta ho ricevuto e di cui rendo testimonianza,
Il dono è quello della povertà, una povertà che non è miseria, bensì sufficienza per una vita serena, senza angosce e con limitate preoccupazioni materiali (quelle che ho sono dovute a un difetto di percezione e una bramosia insita nell’essere umano che sono).
Il sogno è quello della mente che riflette e studia e crea e non è mai sazia di comprendere ed è aperta al mondo e ai misteri che esso porta in grembo.