sabato 19 luglio 2025

A dorso Bruno (Annodare fili)

L'unica cosa in cui non ha avuto fretta è stata morire.
Impaziente di natura, in ampio anticipo ad ogni appuntamento, spiccio nei modi quanto nei discorsi, Bruno se n'è andato a novantasei anni compiuti da pochissimo.
Una sofferenza, quella degli ultimi anni, che la sua famiglia s'è caricata sulle spalle, accompagnandolo mentre si estingueva come un lumicino, dopo che la sua Adelrosa l'ha preceduto, consunto prima nel morale e poi nel fisico.
Quel che resta di Bruno è però altro, a conferma che dall'ultima riga delle favole non si evince il nocciolo di una storia e il lieto fine a volte è accessorio.
Lui, giovane, a Sant'Agostino, in riva al lago, a dorso nudo, come gli piaceva restare anche d'adulto, sintomo di una libertà ch'era l'unico abito che portava cucito addosso: così lo ricordiamo perché così raccontava di sé, con gli occhi scintillanti di chi ha conosciuto la contentezza davvero. "Ho fatto una vita bellissima, sempre quello che ho voluto, senza mai ricevere ordini da nessuno. Anche quando ero in Marina! Che tempi quelli. Avevamo poco, eppure era moltissimo".
Riassunto: se c'è un tesoro che egli ha lasciato in dono è proprio l'assenza di lamentela, il riconoscimento della fortuna ricevuta in dote, la gioia di vivere pienamente appena si può e non quando è troppo tardi e non si riesce neppure ad uscire dal letto.

P.S. Bruno aveva novantasei anni, Anna ne compie ottantacinque proprio oggi e la festeggeremo tutti assieme, a dispetto della sua volontà, che sarebbe quella di soprassedere, di far finta di nulla, di non disturbare nessuno. Anche Anna, come Bruno, comasca nel profondo. Entrambi mi inducono a pensare alla "costrizione" come aspetto positivo e al "dovere" come opportunità, non soltanto giogo. La felicità non è un fiore che si trova per caso, bensì un seme che si mette a dimora e di cui ci si prende cura, passo passo, anche sforzandosi di fare quello che d'istinto eviteremmo. Lo scrivo per me stesso, rigettando l'idea che la spontaneità sia criterio dirimente tra giusto e sbagliato, ma anche per i discendenti di Bruno. Non tanto per i figli, Fulvio e Danila, la cui storia è garanzia di vicinanza, bensì per nipoti e pronipoti. Fisicamente non avranno più un punto di sutura comune nella casa del nonno e a volte ritrovarsi comporterà un impegno, a tratti addirittura un peso, ma essere "famiglia" è proprio riuscire a superare quel balzello e lasciare che il bene faccia da collante, riannodando i mille fili che Adelrosa e Bruno hanno tessuto.

sabato 12 luglio 2025

La ruota che gira (Io fermo)

È arrivato. Quel tempo è arrivato. L’avevo previsto diciotto anni fa, nel secondo post di questo blog che nel frattempo è cresciuto e s’è moltiplicato.
Allora - era il 2 ottobre del 2007 - immaginavo e temevo di diventare un giorno come mio padre, che si era arreso alla tecnologia e perdeva la pazienza subito. “La regola del videoregistratore” l’avevo chiamata, perché quello fu il primo apparecchio con il quale rifiutò di cimentarsi, di comprenderne i tasti, il funzionamento.
“Tra un po’ sarai come tuo padre, che non ha mai imparato ad usare il videoregistratore” aveva ironizzato il mio amico Marco un paio di giorni prima.
Oltre a scriverci un post, quelle parole mi hanno sempre accompagnato. Compreso stasera, al ritorno da Brescia, sbuffando quanto un mantice, constatando che la password del wifi era cambiata, che non si collegava più la tv, che il decoder non dava traccia di sé e compariva la scritta: “Nessun collegamento, controllare il cavo”.
Il cavo non l’ho controllato, ho borbottato invece stizzito, forse pure imprecato, mi sono seduto sul divano e rinunciato in partenza, con una frase tipo: “Ecco, torno a casa una volta la settimana e non funziona nulla!”.
Giovanni, che stava uscendo, è tornato indietro e con voce calma mi ha detto: “Tranquillo, ci penso io”. Ci ha pensato. E risolto. In quarantacinque secondi, forse uno meno. Poi mi ha dato un bacio sulla testa, ha sorriso benevolo ed è sparito.
È stato lì, in quel momento, che ho realizzato: sono entrato in quella fase di vita in cui tutto è complicato, l’alba di quel tempo in cui il mondo finisce di essere “il tuo mondo”. A differenza di diciotto anni fa, quando al sarcasmo di Marco mi ero ribellato, ora capisco di essere più pigro, meno disposto a rimboccarmi le maniche, stare al passo delle stagioni.
O forse no. Forse, se mi impegno, posso spostare un passo più in là il declino, posso diventare come coloro che ammiro perché pur a una certa età vogliono sempre imparare qualcosa di nuovo, anche nella tecnologia, non soltanto dell’essere umano o della storia, della politica, della fisica, della letteratura o della filosofia, che adoro.

P.S. Non sono soltanto il router del wifi e le impostazioni del computer. Quando osservo i miei figli mi accorgo quante capacità hanno, a che velocità ragionano, come affrontano i problemi pratici. L’altro giorno, ad esempio, scrutavo Giorgia mentre era in riunione, in videoconferenza, e mentre gli altri parlavano utilizzava l’intelligenza artificiale per comprendere meglio, in tempo reale, con un’abilità da pianista e la tranquillità di Tom Cruise con gli schermi di “Minority report”. Perciò io mi impegnerò per non arrendermi, ma quella partita è persa, l’hanno vinta loro, com’è giusto che sia, in quell’instancabile ruota che è la vita. Ma proprio per questo non sono triste, tutt’altro. Penso infatti alle ricchezze che mi aspettano su un altro terreno, quello delle relazioni quiete, delle riflessioni profonde, delle emozioni forti, dei sentimenti senza imbarazzo, dei piaceri semplici, delle scoperte sorprendenti, del non dover dimostrare nulla e nel prendere al volo quello c’è, di gramo e di buono.

sabato 5 luglio 2025

Alla fine del giorno (Partendo dalla rana)

Nel diario minimo dell’accadimento quotidiano registro i benefici di una pratica di apparente ingordigia esotica: mangiare la rana.
Letteralmente “Eat the frog”, frase idiomatica che indica la tecnica di affrontare subito le attività difficili o sgradevoli della giornata, tutto ciò che pesa di più, per primo.
Nelle ultime settimane lo faccio spesso, guadagnandone in efficienza e tranquillità dello spirito. Che poi le giornate corrono in discesa, come l’addobbo dell’albero di Natale dopo che hai piazzato in cima la stella o l’angelo.

P.S. Sull’inizio del giorno ho detto, sulla fine invece ho in mente l’ultima pagina consegnata in tipografia, ieri l’altro, cambiando un dettaglio. Ne parlavo questa mattina con Kadir, che è ancora nell’alba degli anni e si sta affacciando ora sul mondo del lavoro. La differenza tra patirne le fatiche oppure trarne massima soddisfazione sta tutta lì, nel piacere intrinseco di fare il proprio mestiere al meglio. Un articolo ben scritto per me, una pasta alla carbonara cucinata “bene e veloce” per lui. Il compenso economico, il prestigio che ne deriva, il riconoscimento altrui sono tutte conseguenze, che possono arrivare o meno, mentre il piacere, l’orgoglio, il gusto dell’artigiano nel realizzare la propria opera è il vero motore della produttività. E soprattutto garanzia di un’esistenza felice, vissuta appieno (di quelle che alla fine del giorno, quando vai a letto, a prescindere da tutto, sei contento).

sabato 21 giugno 2025

La vita larga (Lezioni senza parole)

Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le rocce ti insegneranno cose che nessun maestro ti dirà”.
Bernardo di Chiaravalle 

Dopo una certa età, le mattine migliori sono quelle in cui non si ha sonno e si sperimenta ciò che Recalcati chiama “la vita larga”, la capacità di vivere pienamente, intensamente, ogni momento, riempiendolo di emozioni, sentimenti, significati.
Me ne sto seduto così, sul terrazzo di casa, mentre a partire da est tutto attorno si illumina e nel giardino prendono forma i contorni di alberi e arbusti. Assomigliano ai figli: anch’essi hanno vita propria e crescono quando non li osservo (un po’ come il gatto di Schrödinger!), mentre sto facendo altro. Ed esattamente come loro, qualcosa mi insegnano, ricordandomi che le lezioni più vere sono quelle che non hanno bisogno di parole.

P.S. Qualche esempio, sotto gli occhi. Il fico, dai tralci teneri, pericoloso da salirci e fragile al punto che un colpo di vento può abbatterlo intero, mentre è al massimo dello splendore, eppure ogni volta risorge, incessantemente, con polloni capaci di generare nuovi rami, inestirpabile com’è l’amicizia, tra persone vere. O il faggio, maestoso di fronde, che si ritaglia lo spazio vitale facendo ombra e togliendo, a chi sta sotto, il sole, incarnando un egoismo crudele, eppure prezioso per la specie. E il calicanto, che mette i fiori per primo, a febbraio, fuori stagione, distinguendosi con un profumo che inebria le narici, a dimostrazione che la bellezza autentica si riconosce sempre e non si percepisce soltanto con gli occhi.


domenica 1 giugno 2025

L’età relativa (Saper cambiare)

(Lo so, lo so che detesti esser fotografata)
Tra poco saranno ottantacinque e so che non li festeggerai o almeno non organizzerai nulla, anche se docilmente accetterai il nostro ritrovarci, metterci attorno a un tavolo in tanti ed essere conviviali, a casa, alla buona.
Sarà che sono lontano cinque giorni su sette e ti vedo pochissimo, sarà che il tempo leviga i caratteri e smussa gli angoli, sta di fatto che mi sembri più tenera o forse sono io a provare tenerezza e a vederti sotto una luce ancora più tenue, calda.
Ho sempre stimato di te il misto di dolcezza e ostinazione, i gesti di generosità concreta e l’essere arcigna nel difendere chi ami.
Di recente rimango ammirato, oltre che dalla resistenza, anche dal tuo adattarti, dal riuscire tuttora a cambiare, a stare al passo dei tempi, a migliorare.
Due esempi.
Sulla resistenza basta dire che nel febbraio di un anno fa, cadendo, ti spezzavi entrambi i malleoli e sette mesi dopo eri già in auto, alla guida.
Sul cambiamento invece cito le pietanze, il tuo sperimentare piatti nuovi, traendo recente ispirazione dalle trasmissioni tv e adattandole, affinando un talento che hai sempre avuto senza ostentazione.
Lo scrivo come pro memoria per me stesso, che con l’età tendo ancor più a irrigidirmi, eccedendo in pigrizia, oltre che in presunzione.

P.S. L’età. Un’unità che misuriamo con precisione, esattamente come facciamo per grammi, litri, metri, senza renderci conto di quanto sia limitante piegare la realtà alle nostre categorie mentali. Lo pensavo qualche giorno fa, associandolo alla circostanza per cui gli esseri umani per migliaia di anni, dovendosi spostare, non calcolavano la distanza da un luogo all’altro in miglia, stadi, leghe o chilometri, bensì in “tempo per arrivarci”. Un valore che dunque mutava in base al mezzo di trasporto: era un conto andare da Como a Brescia passando per Monza e Bergamo camminando a piedi o a cavallo o trainati da carro e buoi oppure in treno a vapore. Così, per l’età, i numeri contano, ma non meno di condizioni di salute fisica e mentale, curiosità intellettiva, voglia di vivere.

sabato 17 maggio 2025

Dall’altra parte del ponte (La terza sciagura)

Tre sono le sciagure che per me stesso più temo.
In ordine d’importanza: che capiti qualcosa ai miei figli; che prenda un male di quelli in cui la mente è lucida ma incapace di dare ordini al corpo; ciò che chiamiamo demenza senile o “morbo di Alzheimer”, per cui si vive ma non si è più se stessi al modo in cui ci conosciamo.
Lo so, non sono argomenti allegri.
In ogni caso, i primi due neppure li considero, tanto sono abissi profondi, tali per cui sprofonderei in un buio da uscirci pazzo soltanto al pensiero.
Con il terzo invece comincio a ipotizzare di scenderci a patti, almeno in teoria - che tra il dire e il fare, tra l’essere e l’immaginato, c’è sempre un salto triplo - e il motivo ha a che fare con questo blog. Rileggendo post del passato infatti già adesso mi capita di pensare: ma l’ho scritto io? Fatico infatti a riconoscere la mia mano. Non per il contenuto, condivisibile tuttora al cento per cento, bensì per la forma, per le parole scelte, la formulazione delle frasi, che mi piacciono sì, ma come se le avesse composte qualcun altro.
Forse hanno ragione quei filosofi di cui mi parla Giorgia, secondo i quali non siamo sempre la stessa persona, un “unicum”, bensì esseri diversi di attimo in attimo, poiché l’esperienza ci cambia sostanzialmente di continuo e il me stesso che ha iniziato a scrivere dieci minuti fa non è il Giorgio che mette un punto adesso.
Se dunque dovesse capitarmi la ventura di non ricordare nulla, di non riconoscere neppure i volti di chi amo adesso (che poi è il vero terrore di ciò che chiamiamo “morbo”), sarà come un essere già morto, eppure continuare a vivere, rinascendo ogni momento, restando aperto al mistero.

P.S. Lo so, potevo scrivere qualcosa di più divertente o evitare semplicemente l’argomento, che tante sono le persone che a ciò che si reputa “brutto” non vogliono neppure pensare, per scaramanzia o scrupolo. Però ho una regola: con le giuste parole si può parlare di tutto. E il rischio di urtare la sensibilità di qualcuno mi fa meno paura della mancanza di coraggio nell’ammettere una debolezza e dire certe cose ed essere sincero, innanzi tutto con me stesso.


sabato 26 aprile 2025

Giovanni e i suoi fratelli (Fare luce)

Debbo a te e ai tuoi fratelli e ai tuoi molti amici ciò che mi distingue e fa da antidoto alla vecchiaia: saper guardare al futuro con fiducia.
Sei il terzo dei miei figli, quello cresciuto al riparo e con poca pressione, poiché osservato meno e perciò in grado di sorprendere sempre. Il complimento più bello e più vero credo te lo abbia fatto Giacomo, constatando una verità lapalissiana: quando entri in un posto, illumini la stanza.
È successo pure l'altra mattina, di buon ora, nell'aula dove hai concluso il tuo triennio universitario, laureandoti in scienze dei beni culturali, raggiungendo con la tesi un punteggio da cifra tonda.
Io però ti ammiro anche per altro.
Innanzi tutto, la perseveranza. La tenacia paziente, carsica, con cui ti applichi in ciò che ti interessa. Poi la capacità di relazionarti, di coltivare amicizie di lunga durata, di non eccedere. Non ti è mai mancato nulla, eppure sono certo tu abbia attraversato il dolore, la sofferenza, magari a strappi, a lampi, dai quali è scaturita e s'è intessuta per reazione una trama spessa di empatia.
Quando eri piccolo avevo il timore potessi crescere debole, condizionabile. Mi sono reso conto presto che si trattava d'una paura falsa. Ora di preoccupazioni ne ho meno - la dose fisiologica di ogni genitore adulto, credo - per cui posso permettermi una raccomandazione blanda, affinché tu sappia che già così sei per noi, per tutti, moltissimo, non devi dimostrare nulla. Goditi il tuo tempo dunque, a pieni polmoni, senza ansia, senza fretta.

P.S. Hai scelto un titolo di tesi ambizioso, non di nicchia. Ne riporto qua le parole con cui l'hai presentata.
«Buongiorno a tutte e tutti, la tesi che ho portato oggi si intitola: "Società multiculturale, identità e cittadinanza: un'analisi comparata tra la Roma repubblicana e l'Italia attuale".
L'idea di questo lavoro è nata da una convinzione che ho sempre avuto: la storia serve a capire il presente. Tante delle sfide che viviamo oggi - come il rapporto con la diversità, l'integrazione, il riconoscimento dell'identità e dei diritti - non sono sicuramente nuove. Al contrario, sono temi che le società hanno già affrontato in altre epoche, in forme diverse.
Ma la motivazione è anche personale. Sei anni fa infatti la mia famiglia ha accolta in affidamento mio fratello Kadir. Lui è nato in Italia, da madre moldava e padre marocchino, e parla italiano come me, vive da sempre qui, eppure non è cittadino italiano. Questo paradosso mi ha colpito profondamente.
Questi due punti di partenza hanno dato luogo ad alcune domande: cosa significa davvero essere cittadini e cittadine? Su quali basi si costruisce oggi l'appartenenza a una comunità?
Da lì la volontà di approfondire questi concetti: identità, cultura, cittadinanza, confrontando due società diverse ma entrambe multiculturali: la Roma repubblicana e l'Italia di oggi.
Ho scelto di utilizzare un approccio comparativo, ma sempre facendo attenzione a non cercare somiglianze forzate. Ho cercato invece di cogliere elementi ricorrenti, riflettendo su come due contesti molto diversi abbiano affrontato problemi simili: l'integrazione dei "nuovi arrivati", l'accesso ai diritti, la definizione di chi può far parte della comunità politica.
Nella prima parte della tesi, ho definito i concetti fondamentali di cultura, identità e cittadinanza. Ho fatto riferimento a studiosi come Geertz, Tylor, Bauman, Stuart Hall, Amartya Sen e Habermas. Questo mi ha permesso di costruire una base teorica utile per leggere entrambi i contesti.
La parte centrale è dedicata alla Roma repubblicana, vista non soltanto come potenza militare, ma come società profondamente multiculturale. Ho analizzato la concessione della cittadinanza, gli status intermedi, e soprattutto il dibattito sulla romanizzazione. Ho messo a confronto visioni diverse: da quella più critica di Mouritsen, che la interpreta come un processo di assimilazione forzata, a quella più dinamica di Traina e Cecconi, che parlano di "métissage" culturale e mediazione.
Infine, nella parte conclusiva, ho guardato all'Italia di oggi: un paese sempre più eterogeneo, in cui la normativa sulla cittadinanza resta legata a principi come lo ius sanguinis, che esclude chi, pur vivendo e crescendo in Italia, non ha ancora pieno riconoscimento. In questa parte ho anche individuato alcuni parallelismi, come la cittadinanza per meriti o per matrimonio, già presente in età romana.
Nella conclusione, ho cercato di mettere in luce come la cittadinanza, al al la del suo aspetto giuridico, rappresenti anche un elemento chiave nella costruzione dell'appartenenza.
In chiusura, se guardiamo al confronto tra Roma e Italia di oggi, credo si possano cogliere due spunti principali.
Il primo è che un'integrazione efficace non può essere rigida, ma deve sapersi adattare alle differenze e ai contesti. Roma, pur con tutti i suoi limiti, seppe creare un sistema flessibile, fatto di status intermedi, alleanze e percorsi graduali verso la cittadinanza.
Il secondo è che i cambiamenti profondi non avvengono da un giorno all'altro, ma richiedono tempo, equilibrio e pragmatismo. La storia romana mostra che è possibile includere nuovi soggetti senza stravolgere l'identità collettiva, ma anzi, arricchendola.
L'Italia di oggi è un contesto completamente diverso, ma affronta sfide che, in forme diverse, sono già state vissute. Non si tratta di imitare il passato, ma di trarne ispirazione: per costruire una cittadinanza più aperta, consapevole, e capace di tenere insieme differenze e coesione. Spero che questo lavoro possa offrire uno sguardo storico utile per riflettere sul presente e magari contribuire, nel suo piccolo, a una visione più consapevole e aperta, inclusiva, della nostra società».