mercoledì 15 luglio 2009

La ricetta della felicità


Primo giorno di ferie e computer acceso sul terrazzo, con qualche soffio d'aria, silenzio assoluto e un caldo buono. In questi giorni circola in rete un video con l'ultima lezione del professor Randy Pausch, malato di cancro, che sarebbe morto un paio di mesi dopo. Non cerco surrogati per commuovermi, ma me lo sono visto volentieri, così come volentieri rileggo la poesia di Jorge Luis Borges (o di Don Herold, come sostiene qualcuno), che inizia "Se potessi rivivere la mia vita" e pure non disdegno, tra le poesie di Neruda, i versi di "Ode alla vita". Ne prendo spicchi, spunti, avendo abbandonato da tempo l'idea che esista una regola aurea, una saggezza in pillola, che una volta scovata possa non dico deragliare in meglio la propria esistenza, ma almeno dare una sterzata, anche un'impercettibile cambio di direzione. Non è così. So, sento ciò che sarebbe pieno, giusto ma vado avanti con la ricetta che mi sono fatto da solo e che mi fa tribolare: credo sia la condizione dell'uomo e non ne faccio scandalo. Però ammiro quelle persone che scelgono di fare il bene, rifiutando il modello, l'ideale del successo, del potere, del denaro. Penso ai miei amici Maurizio Ferretto e Franco Vecchio, che si prendono cura dei malati quando non si possono più guarire. Sono angeli, il cui valore è conosciuto nel vero e a fondo, soltanto da coloro che soccorrono, così come l'acqua l'apprezza appieno l'assetato. L'altra settimana, quando sono andato a trovare Maurizio, mi ha presentato un suo collega, medico, Mario Minotti, che avrà all'incirca la mia età. "Sai Giorgio - mi ha detto Maurizio, prima che Mario arrivasse - se dovessero offrirgli il doppio dello stipendio, Mario non rinuncerebbe a fare quello che fa, a correre di casa in casa, di camera in camera, per dare una mano". Non lo conosco Mario. Aveva i capelli arruffati dal casco, gli ho stretto la mano e l'ho visto sorridere, d'un sorriso limpido. E mentre gliela stringevo, mentre ripensavo a lui e a Franco e a Maurizio, pensavo che il potere, i soldi, il successo non valgono nulla a confronto di una vita spesa pienamente, alla ricerca del bene (proprio e altrui). Pensavo che ci sono altri modelli, altri ideali, anche con la i minuscola, su cui mettere in pila uno a uno i propri giorni. Pensavo che comprendere queste ragioni, fare propria questa consapevolezza, è un segreto di felicità. E non importa se è una scoperta che non basta una volta per tutte: può darsi che, goccia a goccia, la saggezza possa scalfire non solo a parole pure gli zucconi come me.
Foto by Leonora

4 commenti:

LUCA ha detto...

Parole sante!
"La felicità sta nel dare": è banale è ma è la pura verità.

Wilma ha detto...

Svolgo una professione cosiddetta "di aiuto". A volte mi chiedo se son io a dare a loro o loro a me. Ho in mente mille storie, mille episodi in cui cercando di alleviare pene, portando conforto, semplicemente ascoltando, ho ricevuto pillole preziose di autostima, gratificazione, sentimenti profondi...
Questo lavoro ha cambiato la mia prospettiva, mi ha modificato enormemente, ha esasperato la mia già profonda disapprovazione della superficialita...

Wilma ha detto...

Non scrivi più??!! Ferie decisamente troppo lunghe...:-))

Anonimo ha detto...

quello che stavo cercando, grazie