Foto by Leonora |
Trent'anni, un giorno. Tanto sono trascorsi in fretta, almeno a guardarli da quassù, in cima alla salita (o forse è soltanto mezza costa, ma fino al prossimo passo ogni spuntone dell'esistenza è vetta).
Il ragazzo che ero fatico a riconoscerlo pure in fotografia, cambiato nella fisionomia dentro e fuori, anche se fuori che si è cambiati lo si capisce prima.
Trent'anni, un giorno. Da quel 1985 che allora non mi pareva nulla di che, preso com'ero nel prendere la rincorsa, a spiccare il volo, con una paura di cadere fottuta ma altresì un entusiasmo che avrei spostato a spinta una montagna e il timore di non farcela era nulla al confronto del desiderio di salire la scala.
"Trent'anni, un giorno" è anche il nome che ho dato al gruppo di WhatsApp e riservato ai compagni del liceo che mi piacerebbe ritrovare, per una sera o due, prima che l'anno finisca. Nulla di nostalgico, men che meno l'occasione riveduta e corretta di mettersi in fila, di ricomporre i giudizi dati allora sul registro e che poi ha scompaginato la vita. Semplicemente il desiderio di ritrovarsi attorno a un tavolo, guardarsi negli occhi, sentirsi parte per un istante di una storia più lunga, vasta, in cui siamo rimasti soli, lontani gli uni dagli altri, dovendo andare avanti, come ciascuno meglio poteva.
"Trent'anni, un giorno" l'ho pensato ieri l'altro, quando da uno scaffale, impolverato, ho recuperato quell'edizione ormai smunta e ingiallita del Nome della Rosa e ho cominciato a rileggerla, cosa che per nessun libro ho mai fatto finora. Sfogliando le pagine e tornando a immergermi nella lettura, al vago sentimento di riconoscenza che avevo per quel testo ho aggiunto il piacere di riscoprirne i dettagli, la ricchezza, comprendendo aspetti che certo mi erano sfuggiti allora, perché differente era colui che lo leggeva. Ho rammentato così ciò che molti già sanno, cioè che esiste una stagione per ogni cosa e ogni stagione ha una sua ricchezza. Importante è non immalinconirsi per ciò che è stato o non è stato, e viverla, qui ed ora.
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