Il primo giorno in cui sei nata non lo ricordo perfettamente, so che eri in anticipo di un mese, a differenza dei ritardi con cui rincasi spesso ora, la sera. Allora come oggi non ne ho mai fatto un dramma, sapendo che sarebbe impossibile, oltre che contro natura, metterti sotto una campana di vetro, pretendere di proteggerti “togliendoti” dal mondo. Per questo fin da quando eri bambina ho cercato di intrecciare per te due sentimenti che stanno in piedi soltanto se vanno a braccetto: coraggio e fiducia.
Ci sono attimi di noi a cui sono più affezionato. Ad esempio la mattina presto quando per svegliarti ti sussurro all’orecchio frasi che vorrebbero essere divertenti e tu sorridi anche se divertenti non ti sembrano affatto e nove volte su dieci manderesti a quel paese chiunque. Chiunque, tranne me. A conferma di quanto forte è il legame degli affetti, il considerarsi speciali a vicenda.
I momenti brutti li vivono tutti, quello peggiore con te è stato una vigilia di Natale, undici anni fa. Ti avevano ricoverato per quella che pareva una banale febbre alta, invece il medico ci aveva chiamati per dirti che qualcosa non andava, che il tuo polso batteva strano, che occorreva fare accertamenti immediati e nel caso operarti al cuore, intervenire d’urgenza. Ricordo la corsa nei corridoi sotterranei del vecchio Sant’Anna, tu piccina piccina sulla barella, io che chiamavo tua nonna per dirle che non potevo andare a prendere all’altro ospedale tuo nonno, ormai in fin di vita, tacendo però su quello che stava capitando con te, per non spaventarla. Buio. Buio per una mezz’ora. Il silenzio delle stanze vuote, il ronzio dell’apparecchiatura che diagnosticava, l’attesa del responso finale. Luce. La luce della lampada accanto alla dottoressa della specialistica, la sua voce calda, le rassicurazioni, la mano di tua madre nella mia, le lacrime liberatorie sulle guance, tu sdraiata sul lettino con i capelli raccolti a treccia, nessuna malattia grave, nessuna operazione al cuore da fare, lo scampato pericolo e una gioia piana, immensa.
Oltre i singoli istanti memorabili del passato c’è l’attesa per la persona che sarai, la donna che già sei e che diventerai. Attesa, non ansia. Dare tempo al tempo è una lezione che ho imparato dalla vita, pur se comprendo la tua impazienza, il tuo desiderio di provare, di sperimentare, di crescere e diventare adulta. Non ti fermerò, non farò prediche mettendoti in guardia o ammonendoti che invece l’età più bella è la tua. Mi limiterò a questo: goditi sempre il tuo tempo, cerca di gustarne ogni istante, ogni stagione, sappi vedere di ogni bicchiere il mezzo pieno e abbi sogni ad occhi aperti a cui pensare, specie quando chiudi gli occhi e vai a letto. Non conosco altre ricette per diventare una persona soddisfatta, realizzata, contenta.
T’innamorerai, come e forse più di quanto ti sia innamorata finora. T'innamorerai e imparerai ad amare, che rispetto all'innamorarsi non "capita", bensì richiede un moto di volontà, un'azione concreta, precisa. T'innamorerai e imparerai ad amare e soprattutto ad essere amata, pur se raramente incrocerai occhi identici a quelli che hai incontrato oggi, mentre ti veniva consegnato un ricordo piccolo ma prezioso, che parla delle tue radici e rimanda a quanto forte è il legame d'amore, che sbaraglia persino le barriere del tempo, dello spazio, della distanza. Siine fiera e testimone di quell'amore, a tua volta.
Ti ho detto quasi tutto, spero di non essere stato pedante.
Ormai sono alla fine di questo post, ho scritto molto. Otto capoversi, che - se ci fai caso - iniziano ciascuno con lettere che se le metti in fila compongono il numero dei tuoi anni, oggi: diciotto. Te l’ho scritto all’inizio: anche la vita è così e queste righe ne sono una conferma: per comprenderla devi “leggerla” fino in fondo e guardarla dall’alto, senza fretta. Auguri Giorgina.
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